Il Minore straniero non accompagnato seguito dal Sistema Sanitario Nazionale: un’intervista.
Quali sono gli aspetti più delicati quando si accoglie un minore straniero non accompagnato da un punto di vista sanitario?
Le difficoltà sono molteplici e cambiano in rapporto al tipo di servizio di accoglienza: nel caso di una prima accoglienza è lo staff di operatori sociali a predisporre ed attivare tutti gli aspetti di tutela e prevenzione sanitaria del minore, non essendo quasi mai presenti nelle strutture figure specializzate che possano recuperare la storia clinica dei minori o trasmettere, col supporto di un mediatore linguistico, l’anamnesi personale del soggetto, specie quando l’età del minore lo consentirebbe (a sedici o diciassette anni i ragazzi e le ragazze hanno memoria o gli è stato riferito, per esempio, dei vaccini fatti nel paese d’origine).
In seconda accoglienza (che di solito fa capo al Sistema di Protezione di Richiedenti Asilo o Rifugiati: SPRAR, da alcuni anni titolare della protezione dei minori in quanto minori, come status detentore di vulnerabilità a prescindere dalla presentazione della domanda di protezione internazionale o della richiesta di permesso di soggiorno per minore età, che avvia un diverso iter burocratico di regolarizzazione sul territorio), talvolta, ma non sempre, si posseggono alcune informazioni in più circa la stato di salute del beneficiario del progetto, derivanti appunto dal precedente lavoro in prima accoglienza. Tuttavia sono davvero pochissime le indicazioni sulle quali possiamo contare e il notevole lavoro d’indagine e raccolta dati ricade sull’equipe di accoglienza e sulle competenze acquisite con l’esperienza: personalmente ho sempre incontrato persone collaborative ed assolutamente disponibili, ma non bisogna mai dimenticare che le notizie che cerchiamo, anche e soprattutto nell’interesse della persona coinvolta, sono strettamente correlate ad un rapporto di fiducia che si instaura con l’operatore, il quale, peraltro, non deve mai valicare con invadenza e prematuramente una sfera della vita che rimane privata ed intima e che negli ultimi mesi della storia personale di ciascuno di loro ha subito turbamenti, aggressioni e shock su molti fronti.
Esiste una relazione tra il lavoro d’accoglienza ed il sistema sanitario italiano?
Ogni minore straniero non accompagnato viene iscritto al Sistema Sanitario Nazionale ed ha certamente accesso alle prestazioni sanitarie del territorio (peraltro in esenzione fiscale totale), così come gli viene assegnato un libretto sanitario ed un medico di base dall’ ASL, che verifica la disponibilità sul territorio. Gli operatori sociali dell’accoglienza hanno nel tempo acquisito una cultura burocratica circa le pratiche d’iscrizione, legate ciascuna ad una serie di documenti (dichiarazione d’accoglienza del minore, attribuzione del Codice Fiscale, delega del tutore del minore,…) e spesso sono gli unici agenti di formazione sul territorio che interagiscono col personale amministrativo dei vari uffici. Ci capita spesso di doverci confrontare con impiegati non completamente informati e aggiornati circa le normative vigenti e non è un aspetto da poco nella quotidianità di ogni operatore subire talvolta i rallentamenti o i respingimenti degli uffici preposti.
Quali sono le malattie più frequenti ed il pensiero degli addetti ai lavori?
Non esiste un centro di raccolta dati o un censimento dell’incidenza delle malattie più significative della popolazione straniera a livello nazionale e di conseguenza non è stata pianificata un’opera diffusa e capillare di formazione del personale sanitario ospedaliero, eppure ogni centro d’accoglienza ed ogni progetto Sprar comunica al Servizio Centrale, tramite la Banca Dati, anche le prestazioni sanitarie richieste ed effettuate. Basterebbe mettere in relazione il Servizio Centrale e il Ministero della Salute, ma sono ben consapevole che, come altri progetti, un’operazione del genere dovrebbe sottendere un vero intento di cura ed un reale piano di presa in carico oltre che necessitare di fondi e risorse indisponibili.
Posso quindi rispondere solo riguardo la mia limitata e circoscritta esperienza: l’anemia falciforme colpisce alcuni beneficiari dei nostri progetti poiché è molto presente in alcuni territori dell’Africa ed è una malattia ereditaria a trasmissione familiare. Diversi sono i casi di presunta e sospetta tubercolosi con cui abbiamo a che fare e, riguardo la prevenzione della salute delle donne, anche molto giovani, che mi sta particolarmente a cuore, la prevenzione sessuale è un aspetto cruciale che molto si lega, oltre che alla salute, anche ad aspetti di affrancamento ed emancipazione. Nei nostri consultori e nei nostri ospedali, dal pronto soccorso ai reparti di maternità a quelli di pediatria non è prevista quasi mai la figura di un/una mediatrice culturale ed è un chiaro segnale d’inaccessibilità comunicativa e non solo per molte persone.
Quali sono le difficoltà dei ragazzi provenienti da culture differenti quando devono farsi curare o visitare?
Posso rispondere soltanto esprimendo una tendenza, poiché, come sempre, ogni ragazzo, ogni persona, per quanto appartenente ad una cultura di riferimento, è un universo a parte, e posso dire che il loro rapporto con le terapie per esempio è spesso scostante (in verità come spesso accade negli adolescenti tutti): ritrovano un senso ed un’utilità alle medicine solo nella fase acuta del dolore, dopodiché vivono la prosecuzione del piano terapeutico come “un’accanimento” o un abuso di sostanze. Infine, sempre limitatamente alla mia esperienza, posso solo ringraziare tutti quegli infermieri e quei medici che attraverso un approccio empatico e di evidente apertura hanno dischiuso le sofferenze non solo fisiche di tutti i minori che ho accompagnato in ospedale, trasformandole e trasformandoli in vettori di fiducia e affidamento al sistema di accoglienza italiano ed europeo. E’ l’unica chiave umana di Cura.
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