La sorveglianza sanitaria sul lavoro consiste in una serie di visite mediche e di eventuali accertamenti clinici organizzati per tenere sotto controllo lo stato di salute dei lavoratori e l’idoneità alla specifica mansione cui sono adibiti.
È responsabilità del datore di lavoro
Già, perché il datore di lavoro, per legge, risponde in prima persona della salute e della sicurezza sul lavoro dei suoi dipendenti ed è perciò tenuto a mettere in atto ogni iniziativa finalizzata a tutelare la loro integrità psicofisica, soprattutto quando questi per il loro status si ritrovano a contatto con sostane pericolose o devono svolgere attività a rischio.
Per questo motivo, vengono disposte ciclicamente delle visite mediche (con opportuni esami e/o accertamenti clinici di varia natura) effettuate dal medico aziendale, da un medico del Servizio sanitario nazionale o dal dipartimento di prevenzione dell’Asl che il lavoratore è tenuto a eseguire su richiesta dell’azienda.
Quando viene “ordinata” la visita
Di norma, la visita viene eseguita prima dell’assunzione, prima che il lavoratore venga adibito a una specifica mansione, in occasione di un cambio di mansione, su richiesta del lavoratore (se il medico competente ritiene che la visita sia correlata ai rischi lavorativi), prima della ripresa del lavoro (dopo un’assenza per malattia superiore ai 60 giorni continuativi), alla cessazione del rapporto di lavoro (solo in alcuni casi) e periodicamente secondo la cadenza stabilita dal datore o da un contratto aziendale insieme al medico.
I vari controlli, onde evitare disservizi o disagi ai lavoratori, devono necessariamente essere strutturati tenendo conto degli orari di lavoro e della reperibilità dei dipendenti.
La visita non può essere “ordinata” solo in alcuni casi: per accertare l’eventuale stato di gravidanza della lavoratrice o per appurare l’idoneità o l’infermità per malattia o infortunio di tutti i lavoratori (tali accertamenti possono essere compiuti solo attraverso strutture pubbliche o Istituti specializzati di diritto pubblico).
L’esito e i successivi scenari
Appena eseguita la visita, il medico del lavoro si esprime (per iscritto) circa l’idoneità del dipendente alle sue mansioni: può esserlo (anche temporaneamente o parzialmente), non esserlo, esserlo con limitazioni o prescrizioni di vario genere.
Se non idoneo, l’azienda dovrà collocarlo in un contesto lavorativo adatto alle sue condizioni di salute, possibilmente con una mansione equivalente. Se ciò non risultasse possibile, il datore potrà adibire il lavoratore ad una mansione inferiore, anche se con lo stesso trattamento economico precedente.
Cosa si rischia se si rifiuta la visita?
Eppure c’è chi, ancora oggi, per diversi motivi (paura di essere non idonei e di essere spostati di reparto, di cambiare mansioni, ecc.), non si presenta alla visita, tergiversa e fa di tutto per non essere valutato.
Ebbene… Cosa rischia? Una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione è stata piuttosto chiara: il lavoratore che non si presenta alla visita ordinata dalla medicina del lavoro rischia la pena massima, ovvero il licenziamento per giusta causa.
La sentenza si riferisce a una lavoratrice che, convocata per due volte per il controllo sanitario aziendale, non si è presentata in quanto non riteneva illegittime le nuove mansioni che l’azienda stava per assegnarle.
Un ragionamento almeno teoricamente lineare, il suo: non voglio cambiare mansione, quindi prendo tempo e non mi presento alla visita. Un accertamento che, se lo accettassi e mi presentassi, andrebbe a certificare in un certo senso la mia accettazione implicita del nuovo lavoro.
Sull’eventuale demansionamento
Ma la Suprema Corte ha totalmente bocciato questo ragionamento, reputando legittimo il controllo deciso dalla direzione aziendale e il successivo licenziamento della lavoratrice.
Anche in un caso estremo, ovvero quello in cui l’azienda decidesse di inviare a visita il dipendente col fine di adibirlo illegittimamente a mansioni inferiori, il lavoratore dovrebbe comunque presentarsi al controllo sanitario per non incorrere nel licenziamento.
Dopodiché, qualora lo ritenesse opportuno, potrebbe impugnare l’esito della visita (se non condiviso) oppure fare causa all’azienda per demansionamento.
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