Il Ministro della Salute Orazio Schillaci vorrebbe importare dall’India Dio solo sa quanti infermieri. E le sue parole (VEDI), tra chi esulta (VEDI) e chi avalla auspicando però un improbabile “cambio di paradigma” (VEDI), stanno facendo discutere non poco nel mondo infermieristico.
Anche il presidente nazionale del sindacato Nursing Up, Antonio De Palma, si è espresso sulla questione, affidando a un nuovo comunicato tutta la sua amarezza. Lo riportiamo qui per intero.
«Ci stupisce e ci preoccupa non poco la recente proposta del nostro Ministro della Salute, Orazio Schillaci che, sulla triste lunghezza d’onda di un modus operandi che definire paradossale è un eufemismo, e che conosciamo a memoria perché figlio di una politica che continua a non valorizzare a pieno la nostra professione, propone di far arrivare nel nostro sistema sanitario, attraverso accordi con Paesi Extraeuropei, infermieri indiani per tamponare la falla della carenza di personale.
A mancare sono gli infermieri, lo sappiamo bene, lo dicono report autorevoli, e nessuno osi negarlo. Il Ministro si affretta ad affermare che si tratta, in questo caso, di infermieri extracomunitari che possiedono una preparazione che sarà perfettamente adeguata alle esigenze della nostra sanità.
Non abbiamo dubbi, che si tratti di professionisti dalle elevate competenze, ma il problema di fondo è un altro, e si continua tristemente a ignorarlo. La nostra realtà infermieristica è capace di formare, nel caso dei nostri operatori sanitari, vere e proprie eccellenze, ambitissime da quelle nazioni del Vecchio Continente che sono pronte a offrire ai nostri professionisti stipendi adeguati alle loro legittime aspirazioni.
Qualcosa allora non torna, ed è bene che la collettività, che i cittadini, prima di tutto, ne prendano atto. La professione infermieristica, in Italia, dispone di professionisti che Germania, Inghilterra, Svizzera, solo per fare degli esempi, fanno a gara per accaparrarsi e mettere a disposizione dei propri pazienti, offrendo loro stipendi che partono anche da 3mila euro mensili.
La nostra professione, quindi, in Italia continua a perdere di appeal, agli occhi di giovani che non trovano le condizioni per sentirsi valorizzati come meriterebbero. Basti pensare ad uno stipendio che non si avvicina nemmeno lontanamente a quello di Paesi a due passi da noi.
I nostri infermieri letteralmente fuggiti all’estero sono oltre 50mila, un dato che testimonia apertamente che non siamo in grado di creare, qui da noi, le condizioni per trattenere operatori sanitari che, paradossalmente, finiscono con il mettere a disposizione di altre nazioni le proprie competenze, andando a rendere più forte il sistema sanitario di quei Paesi, mentre il nostro perde letteralmente i pezzi.
E se da un lato si può comprendere la ragione della fuga dei nostri professionisti, legata a una retribuzione tra le più basse del Vecchio Continente, dall’altra, la domanda è lecita: cosa pensiamo oggi di fare per tamponare la voragine, quale soluzione pensiamo di adottare per porre rimedio ad una carenza strutturale di 65-80 mila infermieri, che si traduce in 150mila unità se paragonata agli standard degli altri Paesi? Come pensiamo di trattenere i nostri migliori professionisti, arginando quindi una pericolosa fuga di cervelli?
Schillaci pensa bene di chiamare infermieri indiani a prendere il posto dei nostri professionisti. Senza nulla togliere a quelle che potrebbero essere le loro competenze, il nostro Ministro non tiene conto che, in particolare nelle Rsa, con i soggetti più anziani, l’assistenza infermieristica si costruisce ogni giorno su un rapporto legato ad una comunicazione diretta.
Caro Ministro, come la mettiamo allora con le difficoltà linguistiche che questi professionisti di certo avranno e che certamente non permetteranno quell’approccio umano e comunicativo di cui i nostri malati cronici, i nostri anziani, hanno ogni giorno bisogno?
Nelle Rsa ci sono soggetti che necessitano di un approccio comunicativo costante. La nostra popolazione continua a invecchiare e il fabbisogno di infermieri sarà sempre più legato alle esigenze di questa parte della cittadinanza, e a creare strumenti per la tutela della loro salute.
Parallelamente al percorso di cura di una patologia, i malati cronici e gli anziani sentono il bisogno di essere ascoltati. Il linguaggio delle parole è l’arma migliore per comprendere al meglio l’evolversi di una malattia e adottare, così, di conseguenza, gli accorgimenti idonei per sconfiggerla o nella peggiore delle ipotesi tenerla sotto controllo e fare in modo che non evolva in negativo.
E’ assurdo e poco comprensibile, quindi, che un Paese civile, degno di tal nome, si lasci scappare dalle mani le proprie eccellenze, cercando altrove le forze per ricostruire la propria sanità, puntando su professionisti stranieri che con le loro carenze linguistiche non saranno in grado, non da subito almeno, di offrire ai nostri pazienti l’approccio di cui hanno bisogno.
Ci viene da pensare a cosa accadrebbe, se adottassimo lo stesso criterio con i nostri medici, chiamando al capezzale dei nostri pazienti medici indiani, anziché, come si sta facendo, incentivare il nostro personale medico dei reparti nevralgici con indennità fino a 100 euro l’ora.
Il timore palese è quello che la nostra politica continui a trattarci come professionisti sanitari di serie B, quando invece, palesemente, le nostre competenze sono indispensabili per ricostruire la sanità del presente e del futuro».