Quando l’infermiere soffre di “coolout”


Una psicoterapeuta di Berlino, Tanja Sahib, ha dedicato oltre 20 anni della sua carriera ad assistere le donne che hanno subito violenza o traumi durante il parto, così come le infermiere e gli infermieri che spesso si trovano a fornire assistenza in circostanze estremamente difficili.


Il caso di un suo paziente l’ha profondamente colpita, tanto da spingerla a scrivere un libro intitolato “Quando l’ingiustizia diventa giusta”. Durante un’intervista, la psicologa ha condiviso la sua esperienza, sottolineando come, in questo caso particolare, l’umiliazione (fatta di scarsa assistenza e negazione di antidolorifici) subita in clinica da una partoriente si sia purtroppo protratta anche in tribunale. Cosa ha portato a tutto questo? Il personale sanitario era in pieno “coolout”.


Il concetto di “coolout”, come suggerisce il nome (dall’inglese “to cool out”), rappresenta l’opposto del burnout, cioè uno stato in cui le persone cercano di proteggersi prendendo le distanze dalle situazioni stressanti o traumatiche. Tuttavia, nel caso degli infermieri, anche questo meccanismo di “sopravvivenza” può avere un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza erogata, causando un calo dell’empatia e dell’attenzione per gli utenti. Ma non solo.


Perché secondo la psicoterapeuta Sahib, questo fenomeno non si limita semplicemente a una mancanza di assistenza e a un pericoloso distacco, ma… Può sfociare addirittura in abusi di potere nei confronti dell’utenza. L’esempio fatto dalla psicoterapeuta è quello di una coordinatrice infermieristica che, di fronte alle urla di dolore di una donna reduce da un taglio cesareo, convinta che stia simulando la fa spostare in fondo al corridoio per non disturbare gli altri.


Cos’è che da vita a questo triste meccanismo? La professionista spiega (VEDI Berlino Magazine): «Il problema spesso risiede in un errore di sistema, perché il sistema a un certo punto fa sì che gli infermieri agiscano in modo così disumano. Tutti coloro che imparano questa professione, siano essi educatori, insegnanti, ostetriche o infermieri, in realtà l’hanno scelta perché hanno un atteggiamento umanistico. Nessuno entra nella professione per abusare del potere».


Come trovare un equilibrio tra la necessità di autopreservazione e l’obbligo etico di fornire cure efficaci? Bella domanda. Di sicuro, tra carezza di personale, stress insostenibili, stipendi da fame, sfruttamento sistematico e riconoscimento sociale pari allo zero, gli infermieri italiani fanno sempre più fatica a far fronte ai propri obblighi etici…

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Alessio Biondino

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