“Da eroinomane, spacciatrice e senzatetto a infermiera”: il nuovo titolone che in realtà racconta di una OSS

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Attrattività? I media seguitano a gettare fango sulla categoria degli infermieri italiani, nel colpevolissimo silenzio di chi dovrebbe tutelare a brutto muso i professionisti. Stavolta non si parla di “missione” e missionari come qualche giorno fa (VEDI articolo Care film festival presentato come: “La missione degli infermieri”. BASTA!), o di gente che ricuce cadaveri sorridendo (VEDI articolo Quella che ricuce cadaveri col sorriso NON è un’infermiera, ma ormai la frittata è fatta), fortunatamente.

Bensì di eroinomani, spacciatori e senzatetto che “si salvano” facendo gli infermieri. Eccolo, infatti, il nuovo titolone strappalacrime: “Milano, la storia di Anna: «Ero schiava dell’eroina, ora faccio l’infermiera in ospedale con contratto a tempo indeterminato»” (Firmato: Il Corriere della Sera).


Cosa c’è di male? Quasi nulla, se non nel fatto di instillare nella mente dei cittadini (si spera inconsapevolmente) l’immagine di un infermiere che, ancora oggi, è una figura poco raccomandabile presa in qualche modo dai bassifondi della società, per fare cose che non farebbe nessun nessun altro e per “assistere” i poveri signori medici (pochi e malpagati, VEDI) intanto che, loro sì, elargiscono scienza. Altro che un professionista laureato dotato di scienza e di coscienza.

Cosa c’è di così scandaloso? Quasi niente, se non nel fatto che con quest’altra storia, l’ennesima raccontata dai media con la denominazione “infermiere” in evidenza nel titolo, gli infermieri italiani non c’entrino proprio niente. Già, perché la protagonista, quella che è passata “dalla spirale della dipendenza dalle droghe alla rinascita con un contratto a tempo indeterminato” è un’OSS: un’operatrice socio sanitaria.


Ancora una volta, stanchi come non mai, ci domandiamo: visto che con la pacatezza, con le buone maniere e con le timide richieste di rettifica non si è risolto un granché… Non sarebbe il caso di iniziare a querelare, denunciare, a richiedere risarcimenti adeguati e scuse pubbliche per tutelare finalmente (con le cattive!) il nome dell’infermieristica italiana da questo scempio?

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Alessio Biondino

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