Lo ha detto Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up: «Il 2026, termine di scadenza per completare l’iter progettuale del Piano Nazionale di Resilienza, non è poi così lontano. Per quanto riguarda la Missione Salute e il rilancio della sanità territoriale, non smetteremo mai di sottolineare di essere di fronte ad una straordinaria opportunità, viste le ingenti risorse a disposizione, che però potrebbe anche trasformarsi, e non lo vorremmo mai, nella più amara delle occasioni perse.
I numeri di report autorevoli, che corroborano le nostre indagini, non mentono e fomentano le nostre legittime preoccupazioni. Servono ad oggi ben 40mila professionisti sanitari in più per garantire la gestione quotidiana delle cure che Ospedali di Comunità e Case di Comunità devono offrire alla collettività in termini di prestazioni. Di questi professionisti che mancano all’appello, poco meno della metà sono infermieri (circa 15mila)».
Già. E il fantomatico PNRR, con i suoi fondi, può sostenere ‘solo’ l’ammodernamento, l’acquisto e la creazione di strutture e macchine per la nuova medicina territoriale. Ma… Il personale? Basteranno gli indiani, i sudamericani, i Super OSS e gli “assistenti infermieri”? «A far funzionare le nuove realtà sanitarie – evidenzia De Palma – dovranno però pensarci medici, infermieri, tecnici, operatori sociosanitari, amministrativi. Siamo di fronte, quindi, ad un vero e proprio esercito di professionisti che al momento rappresentano solo una “suggestiva ipotesi”, visto che, di fatto, non si sa se davvero saranno reperiti nel numero sufficiente indicato dal piano programmatico delle neonate strutture, e soprattutto da chi saranno contrattualizzati e da dove arriveranno i fondi per le retribuzioni delle loro indispensabili attività.
Dove andremo senza il giusto numero di professionisti sanitari? Senza investire nei talenti e nelle competenze? Senza garantire, a partire dalle università, il giusto ricambio generazionale? Si tratta di riflessioni doverose che l’imminente scadenza del PNRR ci impone di fare. Certo è che il tempo che trascorrerà dal 1 luglio al 31 dicembre 2026 sarà dedicato alla realizzazione materiale delle strutture e all’acquisto dei macchinari e delle apparecchiature necessari all’attivazione dei servizi. Insomma, le premesse sono tutt’altro che rosee.
Nel complesso per le Case di Comunità serviranno circa 11mila infermieri in più, mentre ne serviranno quasi 4mila per gli Ospedali di Comunità. Ora si entra nella fase attuativa e in quella della contrattazione di dettaglio tra Governo e Regioni, per individuare modalità e risorse, umane e finanziarie, da dedicare al piano di rilancio della sanità di prossimità. Insomma, i nodi stanno davvero per arrivare al pettine».
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