La morte dell’ex allenatore di calcio Sven Goran Eriksson, deceduto a 76 anni per un tumore al pancreas, ha commosso il mondo del pallone e non solo.
Quali sono le caratteristiche del male che l’ha portato via? Lo ha spiegato all’Agenzia Dire il professor Francesco Cognetti, Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola e professore di oncologia presso l’International University Unicamillus di Roma.
«Sono estremamente dispiaciuto per la morte di Sven-Goran Eriksson – ha dichiarato il prof –. Non sappiamo ancora se abbia avuto un adenocarcinoma o un tumore neuroendocrino, non conosciamo i risultati delll’esame istologico. Quello che è certo è che il tumore del pancreas non è una entità unica e che la maggiore frequenza è proprio l’adenocarcinoma. Voglio poi aggiungere che ogni anno in Italia circa 6.000-7.000 persone complessive tra maschi e femmine ricevono una diagnosi di carcinoma del pancreas e che l’incidenza dei tumori del pancreas è di 9 su centomila nelle femmine e di 12 su centomila nei maschi».
Però non sono tutti adenocarcinomi, e tra le forme rare ci sono i tumori neuroendocrini. «La differenza non è banale – spiega il prof – perché hanno un comportamento clinico e biologico completamente diverso: l’adenocarcinoma è molto più aggressivo e anche piuttosto insensibile alle terapie mediche che possono essere applicate. In questi casi la diagnosi precoce è molto rara e difficile, perché si tratta di tumori silenti e i sintomi compaiono quando la malattia, purtroppo, è ormai già in fase avanzata con la comparsa dell’ittero, ovvero la cute diventa gialla per effetto dell’aumento della bilirubina per compressione o infiltrazione delle vie biliari, e poi quando la localizzazione è soprattutto nella parte anteriore della testa del pancreas. Quando invece colpisce il corpo del pancreas, di solito la sintomatologia più frequente è il dolore per interessamento dei plessi nervosi».
Il problema è che, in entrambi i casi, per l’appunto, la diagnosi è quasi sempre tardiva: «I rimedi principali – sottolinea Cognetti – sono la chirurgia, che può essere radicale e risolutiva solo in un numero basso di pazienti e i trattamenti medici, per i quali, oltre alla chemioterapia, c’è ora qualche novità di carattere biologico. Purtroppo, la prognosi di questi pazienti è molto infausta, con pochi di loro che sopravvivono oltre l’anno o i due anni. E comunque le persone che hanno una sopravvivenza un po’ più lunga sono espressione di percentuali estremamente basse, dato che la maggior parte muore presto, a poca distanza dalla diagnosi.
Penso che questo sia stato il caso di Eriksson ma, come ho detto all’inizio, dal punto di vista dell’esame istologico non abbiamo notizie certissime. L’altra possibilità è che si sia trattato di un tumore neuroendocrino, una neoplasia che va avanti con maggiore lentezza, più facile da curare, perché la chirurgia è spesso in grado di eradicarlo completamente. Una malattia, in questo caso, decisamente più rara che colpisce prevalentemente la coda del pancreas».
Secondo il professore, «bisogna potenziare la ricerca, perchérispetto a tanti altri tumori che fino a 10 anni fa erano altrettanto letali, il tumore del pancreas è quello che ha ricevuto minori benefici dalla ricerca e minori risultati dal punto di vista dell’innovazione farmacologica».
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