“Infermieri categoria maggiormente a rischio suicidio”


Uno studio approfondito condotto dalla Columbia University ha rivelato un rischio elevato di suicidio tra gli infermieri, con un tasso di 16 suicidi ogni 100.000 persone, rispetto al tasso di 12,6 tra chi non lavora in ambito sanitario. Anche i medici, seppur meno a rischio rispetto agli infermieri (13,1 su 100.000), non risultano esenti, ma è possibile che fattori come stipendi più elevati e migliori prospettive di carriera contribuiscano a ridurre il livello di allerta nella loro categoria.

Il report, analizzato e commentato dai rappresentanti del sindacato Nursing Up (VEDI Appia Polis) evidenzia come le donne, che rappresentano il 70% della forza lavoro sanitaria globale, siano particolarmente vulnerabili allo stress psicologico, con le infermiere maggiormente a rischio. Infatti, queste ultime risultano avere una probabilità del 65% superiore rispetto ai colleghi uomini di soffrire di depressione e stress.


I recenti suicidi di due infermieri a Palermo (VEDI articolo), avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, sollevano ulteriori riflessioni sulle condizioni psicologiche dei professionisti sanitari, spiegano dal sindacato; specialmente alla luce del deterioramento delle condizioni lavorative all’interno degli ospedali. Particolari difficoltà emergono nei pronto soccorso e nei reparti di emergenza-urgenza, da cui sempre più operatori sanitari stanno cercando di fuggire.

Oltre allo stress psicologico derivante dal confronto quotidiano con la sofferenza e la morte, pesano ulteriormente fattori come stipendi non adeguati, disorganizzazione, turni massacranti, demansionamento, mancanza di opportunità di carriera, carenza di personale e un rapporto squilibrato tra numero di professionisti e pazienti. Spesso, le linee guida dell’OMS, che prevedono un massimo di 6 pazienti per ogni infermiere, non vengono rispettate.


Tutti questi elementi, evidenzia Nursing Up, aggravano ulteriormente il carico psicologico degli infermieri, già impegnati in un lavoro di cura fisicamente e mentalmente logorante. Non sorprende che gli infermieri, in particolare, siano più vulnerabili rispetto ad altre categorie professionali, come confermato da numerosi report internazionali.

In molti paesi economicamente avanzati, dove ci si aspetterebbe che una migliore organizzazione protegga la qualità del lavoro, gli infermieri sono comunque maggiormente esposti a gravi disagi psicologici. Lo studio della Columbia conferma infatti che essi sono più a rischio suicidio rispetto ai medici, e in particolare le infermiere si trovano spesso a lottare contro depressione e stress non denunciati, che possono portare a gesti estremi.


Le condizioni di lavoro degli infermieri, ricordano i sindacalisti, sono spesso così pesanti che, oltre al lavoro ospedaliero, essi devono affrontare ulteriori responsabilità familiari, come il prendersi cura dei figli e dei parenti anziani. Questo carico mentale e fisico può essere particolarmente gravoso per le donne, che, oltre ai disagi lavorativi, devono spesso gestire anche la vita familiare.

In Italia, uno studio dell’Università di Genova evidenzia che il 60% degli infermieri soffre di sindrome da burnout, mentre il 55% ha richiesto supporto psicologico almeno una volta. Tuttavia, molti infermieri lamentano la mancanza di adeguati servizi di sostegno psicologico all’interno delle strutture ospedaliere.


Altresì, un’indagine condotta su 592 operatori sanitari dell’Ausl di Rimini, ricordano dal sindacato, ha sottolineato la necessità di rafforzare il supporto psicologico in corsia per gestire lo stress emotivo derivante dalla relazione con i pazienti e i loro familiari. Le difficoltà psicologiche sono ulteriormente esacerbate da eventi traumatici come la morte di un bambino o i conflitti con pazienti e colleghi. In queste situazioni, la presenza di uno psicologo in corsia sarebbe fondamentale per fornire il giusto supporto emotivo ai professionisti sanitari.

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Alessio Biondino

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