A certe condizioni (stipendi da fame, sfruttamento e demansionamento sistematici, riconoscimento sociale pari allo zero, aggressioni continue e stress lavoro correlato ai limiti del fattibile), nessuno vuole più studiare da infermiere (VEDI).
E la carenza di professionisti, acuita dalle dimissioni volontarie da parte di chi non ce la fa più e dall’elevata età media insita nella categoria, che genera ogni anno un mare di pensionamenti, sta toccando livelli mai registrati prima.
In questo tristissimo panorama, intanto che la politica vuole produrre pseudo-infermieri a basso prezzo per sostituire i professionisti veri (VEDI l’Assistente Infermiere) e che alla FNOPI sono convinti che il problema principale che attanaglia la categoria sia l’assenza di competenze specialistiche (VEDI), si moltiplicano le testimonianze di chi si licenzia dalle nostre aziende sanitarie per pura disperazione.
Stavolta ci ha colpito quella di un collega 45enne, dimessosi dal pubblico lo scorso anno, che è stato intervistato da Il Dolomiti: «Quando me ne sono andato dopo anni di servizio nessuno dei miei responsabili o coordinatori mi ha chiesto la ragione del licenziamento improvviso. Questo significa che in Azienda sanitaria sei solo un numero, non conti nulla. Sei un numero che deve lavorare e basta».
Sulle cause che hanno portato alla sua drastica scelta, il collega spiega: «Dopo anni di impegno io, come tanti altri, ci troviamo con un rapporto lavorativo e stipendiale che non è per nulla adeguato considerando le responsabilità che si hanno. Basta solo pensare che nel privato ci si può trovare con 700 euro in più in busta paga».
Analizzando i dettagli, l’infermiere racconta: «In Azienda sanitaria lo stipendio che ricevevo era di circa 1800 euro. Dovevo lavorare 3 domeniche, fare sei notti al mese e i turni alla mattina e al pomeriggio. Oggi nel privato il mio stipendio è di 2500 euro senza notti e senza festività facendo 130 ore al mese e certi possono avere anche cifre superiori. Una bella differenza nella gratificazione rispetto l’impegno che viene messo».
Ciò che ci ha colpito e intristito di più, è l’appello che il collega infermiere fa alla fine della sua intervista, rivolgendosi ai giovani: «Ai ragazzi che ho incontrato, per me è difficile consigliare questa professione. Lo dico davvero con dispiacere perché amo fare l’infermiere ma dopo anni di studio quali sono i vantaggi?
Sapevo di essere considerato un numero ma esserlo a tal punto che nessuno chiede perché te ne vai mi ha davvero demoralizzato. A un ragazzo giovane che vuole impegnarsi in una professione sanitaria consiglierei di andare avanti con gli studi e di fare il medico».
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