Col benestare della Federazione degli Infermieri italiani (VEDI articolo FNOPI: “Ok gli infermieri indiani, ma bisogna migliorare l’attrattività della professione”), il bel paese sta intensificando gli sforzi per reclutare infermieri low-cost a livello globale.
La domanda interna, si sa, è notevole: mancano almeno 65.000 infermieri e per colmare in parte questo gap sono in arrivo circa 10.000 “professionisti” dall’India (VEDI articolo Schillaci: “Assumeremo 10 mila infermieri indiani. Vanno rivalutati gli stipendi e date nuove mansioni agli infermieri”), grazie a un accordo che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, sta finalizzando con il governo indiano.
A questi si aggiungono altre iniziative locali, come quella della Lombardia, che attende a breve 200 infermieri dall’Argentina (VEDI), seguiti da altri dal Paraguay. Inoltre, il progetto “Samaritanus Care” delle strutture sanitarie religiose aderenti ad Aris e Uneba prevede l’arrivo annuale di oltre 1.000 infermieri formati presso università cattoliche in Paesi in via di sviluppo come Nigeria, Tanzania, Congo, Camerun, Argentina, Perù e India.
L’importante, quindi, in barba alla qualità delle cure e alla credibilità di un’intera categoria di professionisti squattrinati e scarsamente riconosciuti, è fare numero in tempi brevi, accaparrandosi più lavoratori possibili dai paesi poveri, che non sanno nulla della lingua italiana e del nostro sistema sanitario, che non si sa bene che tipo di formazione abbiano e che soprattutto sono felicissimi di percepire i nostri miseri stipendi.
D’altronde, si può sbandierare con nonchalance la scusa che la presenza di infermieri stranieri in Italia non sia affatto una novità e che stupirsi della direzione scelta dal Governo sia quantomeno errato: attualmente sono già oltre 38.000 (VEDI articolo FNOPI: “Indiani? In Italia già 38 mila infermieri stranieri, è un fenomeno tipico del mercato globale”), con le maggiori comunità rappresentate da rumeni (12.000), polacchi (2.000), seguiti da indiani, albanesi (oltre 1.800 ciascuno) e peruviani (1.500). Perché stupirsi e/o fare polemica, quindi?
Con i nuovi massicci arrivi, si prevede che entro il 2025 il numero totale di infermieri stranieri in Italia supererà i 50.000, portando la percentuale a più di uno su dieci tra i 460.000 iscritti all’Ordine. Tuttavia, due sfide rimangono centrali: l’apprendimento della lingua italiana e il riconoscimento dei titoli di studio esteri.
E tutto ciò, a quanto pare, non sembra rappresentare un problema: il Ministero della Salute, dopo il recente G7 della Salute ad Ancona, sta sviluppando un protocollo operativo che prevede corsi di italiano in India, organizzati con il supporto delle università e del consolato italiano. I candidati dovranno ottenere una certificazione B1 di conoscenza dell’italiano.
Sul fronte del riconoscimento dei titoli, invece, l’iter sarà semplificato grazie all’individuazione di percorsi formativi indiani compatibili con gli standard italiani: il Bachelor in Science of Nursing (4 anni) e il diploma in General Nursing and Midwifery (3-3,5 anni), che rispettano il requisito della laurea triennale.
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