La crescente violenza negli ospedali, con episodi di aggressioni ai danni degli operatori sanitari, sta trasformando i luoghi di cura in scenari a rischio. Questi atti non solo minano il benessere fisico e psicologico di medici e infermieri, ma compromettono anche la qualità dell’assistenza ai pazienti.
Di fronte a questa emergenza, ricordata ogni 12 marzo in cui si celebra la Giornata nazionale di Educazione e Prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari, un gruppo di associazioni ha avanzato proposte concrete per arginare il fenomeno e garantire maggiore sicurezza agli operatori, tra cui infermieri, medici e operatori socio-sanitari.
Indice
Progetto Professione SiCura
Il progetto Professione siCura nasce direttamente dagli operatori sanitari che vivono quotidianamente la realtà ospedaliera e ambulatoriale. Secondo i promotori, intervistati da Wired, è fondamentale affiancare alle misure coercitive già adottate dal governo degli interventi basati su solide evidenze scientifiche.
Il documento, frutto del lavoro congiunto di società scientifiche e professionisti del settore — tra cui Aies, Anpse, Apsilef, Cnai e Gft — propone strategie mirate per affrontare in modo strutturale il problema della violenza nei contesti sanitari. Il 14 marzo è previsto un incontro con i rappresentanti della maggioranza di governo per discutere le proposte e valutare la loro implementazione concreta.
La violenza contro gli operatori sanitari, a giustificare la necessità del progetto, è un fenomeno preoccupante e in crescita. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), fino al 62% dei professionisti della salute ha subito almeno un episodio di aggressione sul posto di lavoro. Le categorie più colpite sono il personale del pronto soccorso e gli infermieri, con un dato ancora più allarmante: due terzi degli attacchi sono rivolti a professioniste sanitarie donne.
L’ultimo rapporto del Ministero della Salute fotografa una realtà drammatica: solo nel 2023 si sono registrate oltre 16.000 denunce per aggressioni, coinvolgendo più di 18.000 operatori sanitari.
Non solo violenza, c’è anche il mobbing
La violenza in corsia non arriva solo dai pazienti. Spesso, il vero peso da sopportare è quello delle dinamiche tossiche tra colleghi e superiori, fatte di pressioni, umiliazioni e atteggiamenti vessatori. Il mobbing infermieristico è una realtà diffusa, ma troppo spesso sottovalutata o nascosta dietro la routine ospedaliera.
Hai mai avuto la sensazione che qualcosa, sul lavoro, non fosse giusto? Un ambiente ostile, pressioni ingiustificate, piccoli soprusi quotidiani che, col tempo, si trasformano in un peso insostenibile. “Il mobbing infermieristico”, edito da Maggioli e scritto dal Prof. Mauro Di Fresco, getta luce su una realtà che molti operatori sanitari vivono, ma che pochi sanno riconoscere e affrontare.
Di Fresco, esperto di diritto del lavoro sanitario e presidente dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico (ADI), offre un’analisi approfondita del fenomeno, con un linguaggio chiaro e coinvolgente. Fin dalle prime pagine, il testo cattura il lettore con un incipit potente, capace di parlare a ogni infermiere, facendo emergere esperienze comuni e situazioni troppo spesso normalizzate.
Disponibile su MaggioliEditore.it e su Amazon, non è solo un libro da leggere, ma uno strumento per comprendere, difendersi e riprendere il controllo del proprio ambiente di lavoro.
Il Mobbing Infermieristico
Il mobbing infermieristico
“Sono stato mobbizzato nel 1994.”Ho subito 10 procedure disciplinari in un anno e le ho vinte tutte perché, durante i 270 giorni di sospensione dal servizio, ho messo mano ai libri di diritto.”Avevo rifiutato di preparare e portare una tazza di latte ad una paziente perché, secondo il mio parere, era un preciso compito del personale ausiliario. “Non solo ho scoperto, studiando, che non era mio compito preparare la colazione dei pazienti, ma ho anche scoperto tante altre cose che gli infermieri non devono sapere e chi ci rappresenta e ci dirige non vuole e non può assolutamente dire. “Lo farò io al posto loro. Lo scopo è liberarvi dall’ignoranza che vi rende succubi dello sfruttamento. Lo sfruttamento è costituito sostanzialmente dal demansionamento che è garantito, a sua volta, dal mobbing”. Struttura1. Struttura e fenomenologia del mobbing infermieristico2. Gli attori del mobbing infermieristico 3. I danni risarcibili del mobbing infermieristico 4. Tutela dal mobber Mauro Di Fresco insegna Diritto Sanitario ai master infermieristici di I e II livello della Prima Facoltà di Medicina e chirurgia di Roma. Alla Seconda Facoltà (ospedale Sant’Andrea) insegna Diritto del Lavoro Sanitario al Corso di Laurea Magistrale in Infermieristica. Relatore di diversi corsi ECM di carattere nazionale, responsabile del link Diritto sanitario nella rivista La Previdenza, scrive anche su Studio Cataldi, Diritto e Diritti, Infoius.it. È consulente legale nazionale di diversi sindacati che operano nel comparto Sanità e nella Dirigenza Medica oltre che in 52 Associazioni di pazienti. È Presidente dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico.
Mauro Di Fresco | Maggioli Editore 2014
24.70 €
La mancata denuncia: paura e sfiducia nelle istituzioni
Molti infermieri e medici scelgono, purtroppo, di non denunciare le aggressioni subite. Le ragioni? La paura di ritorsioni, la sfiducia nelle istituzioni e, in alcuni casi, la difficoltà nel riconoscere la violenza, soprattutto quella verbale. Come sottolineano i promotori del progetto, nei contesti più critici gli episodi di violenza vengono addirittura interiorizzati, accettati come una componente inevitabile della professione.
Questo atteggiamento, però, non fa che alimentare un circolo vizioso, in cui gli operatori restano esposti e privi di tutele adeguate. Riconoscere la violenza per quella che è, e non come un “effetto collaterale” del mestiere, è il primo passo per contrastarla in modo efficace.
Non solo: in alcuni contesti ospedalieri, secondo le associazioni e i promotori del progetto, si scoraggia addirittura la denuncia delle aggressioni, nel timore di danneggiare l’immagine della struttura o di creare tensioni con i pazienti.
Per invertire questa tendenza, le associazioni propongono misure concrete: rendere obbligatoria la segnalazione degli episodi di violenza e introdurre schede di monitoraggio delle aggressioni. Un passo ulteriore potrebbe essere l’inserimento di questi requisiti nei criteri di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale per le aziende sanitarie private, così da garantire maggiore trasparenza e tutela per gli operatori.
Le 5 proposte contro le aggressioni a infermieri, medici e OSS
Il governo ha introdotto misure più severe per proteggere il personale sanitario, consentendo l’arresto in flagranza o entro 48 ore se l’aggressione è documentata.
Sebbene rappresenti un passo avanti, la letteratura scientifica evidenzia che la sola repressione non è sufficiente. Per questo, medici e infermieri del progetto propongono un approccio basato sulla prevenzione, articolato in cinque punti chiave:
- Tracciabilità digitale del percorso assistenziale: un sistema digitale potrebbe aggiornare i familiari sulle fasi del percorso ospedaliero del paziente, riducendo lo stress legato alle attese indefinite e migliorando la trasparenza.
- Obbligo per le aziende sanitarie di costituirsi parte civile: molti operatori sanitari evitano di denunciare per paura di restare soli nel percorso giudiziario. Se l’azienda sanitaria si costituisse parte civile nei processi per aggressioni, si invierebbe un segnale forte di tutela al personale e si aumenterebbero le conseguenze economiche per gli aggressori, disincentivando ulteriori violenze.
- Introduzione di body cam nelle aree a rischio: l’uso di body cam in pronto soccorso, 118, psichiatria e guardia medica potrebbe rappresentare un deterrente importante. Già impiegate con successo da forze dell’ordine e operatori dell’emergenza in altri paesi, le telecamere personali registrerebbero eventuali aggressioni, fornendo prove utili e scoraggiando comportamenti violenti.
- Educazione alla segnalazione della violenza: inserire nei percorsi formativi di medici e infermieri moduli specifici sulla gestione del conflitto e la prevenzione della violenza potrebbe favorire un cambio culturale.
- Polizze assicurative specifiche: si propone l’istituzione di un fondo straordinario per gli operatori sanitari vittime di violenza. Questo garantirebbe un risarcimento in caso di aggressione, anche quando l’autore del reato è prosciolto o risulta incapiente, offrendo maggiore protezione economica a chi subisce danni fisici o psicologici.
Queste misure, se attuate, potrebbero contribuire a un ambiente di lavoro più sicuro, riducendo l’esposizione del personale sanitario alla violenza e promuovendo una maggiore consapevolezza e prevenzione del fenomeno.
Ma fintanto che le istituzioni provano a trovare delle reali soluzioni, è compito dell’infermiere imparare a salvaguardarsi dalla violenza, il primo passo è imparare a gestire il paziente aggressivo grazie alle tecniche di de-escalation, continua a leggere con il box qui sotto!
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