Si alla monetizzazione delle ferie non godute, anche senza l’approvazione del dipendente.
La Corte di Appello dell’Aquila ha confermato la sentenza di prime cure che aveva parzialmente accolto la domanda di un dipendente della ASL Aquila-Avezzano-Sulmona, che, collocato in quiescenza il 1 febbraio 2010, lamentava la mancata concessione di ben 119 giorni di ferie residue.
La Corte di Appello aveva osservato che:
secondo i dettami del CCNL comparto sanità all’art. 19, le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili, salvo in caso di cessazione del rapporto di lavoro;
le ferie vanno fruite anche frazionatamente nel corso di ciascun anno solare in periodi compatibili con le oggettive esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente;
in caso di indifferibili esigenze organizzative che non abbiano reso possibile il godimento nel corso dell’anno, le ferie debbono essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo;
all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, qualora le ferie non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dipendente, l’azienda procede al pagamento delle medesime.
Alla stregua della succitata disciplina contrattuale, la domanda non poteva essere accolta in riferimento agli anni nei quali l’interessato non aveva presentato domanda di godimento delle ferie, per cui la mancata fruizione delle stesse era riconducibile ad una sua scelta, con conseguente esclusione del riconoscimento dell’indennità sostitutiva.
Ricorre in Cassazione il dipendente proponendo ricorso fondato su un unico motivo:
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., art. 2109 cod. Civ., nonché la violazione dell’art. 19 CCNL comparto sanità 1.09.1995.
Nel ricorso si sostiene il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie ed il diritto all’indennità sostitutiva in caso di ferie non fruite, atteso che non è desumibile una rinuncia alle stesse dalla mancanza di una formale richiesta da parte del dipendente.
La sentenza della corte territoriale, ha correttamente indicato la disciplina contrattuale, applicandola però erroneamente alla fattispecie, ritenendo determinate, pur in assenza della prova documentale della mancata fruizione per gli anni 2006-2007 e 2008, l’assenza di una formale richiesta.
Secondo la Cassazione il ricorso deve essere accolto, il CCNL comparto sanità 1.09.1995 all’art. 19 recita: comma 1, “Il dipendente ha diritto, in ogni anno di servizio, ad un periodo di ferie retribuito. Durante tale periodo al dipendente spetta la normale retribuzione, escluse le indennità previste per prestazioni di lavoro straordinario e quelle che non siano corrisposte per dodici mensilità;
comma 8,”Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono fruite nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le oggettive esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente”;
comma 15, “Fermo restando il disposto del c. 8, all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dipendente, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse da parte dell’azienda o ente di provenienza”.
La stessa Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 2496 del 2018, interpretando un contratto collettivo di diversa natura (CCNL EDR 1994/1996 del 7 ottobre 1996) ma con disposizioni analoghe a quelle del CCNL oggetto dell’odierno ricorso, ha affermato che (richiamando anche la sentenza della Corte Cost. n. 286 del 2013 e n. 95 del 2016, nonché Cass. n. 13860 del 2000), una volta divenuto impossibile per l’imprenditore, anche in assenza di colpa, adempiere l’obbligazione di consentire la loro fruizione, dal mancato godimento delle ferie deriva il diritto del lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva che, ricorda la Corte, ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 cod. civ. del valore di prestazioni non dovute e non retribuitili in forma specifica.
L’assenza di una espressa previsione contrattuale non esclude il diritto a detta indennità sostitutiva, non dovuta solo se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie di cui il lavoratore non abbia usufruito, venendo ad incorrere così nella “mora del creditore”.
Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato nella sua esistenza alle esigenze aziendali.
Tali principi devono essere ribaditi per le ragioni su richiamate nella sentenza indicata e qui trascritti.
Va inoltre precisato che la fattispecie del giudizio in esame, si colloca in un alveo temporale anteriore all’entrata in vigore dell’art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1 della legge 7 agosto 2012 n. 135, la quale, stabilisce che “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché’ le autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di eta’. Eventuali disposizioni normative e contrattuali piu’ favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, e’ fonte di responsabilita’ disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.
La Corte Costituzionale intervenuta per decidere sulla fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, l’ha dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma, Cost. in quanto nell’ambito del lavoro pubblico, vieterebbe trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute anche quando la mancata fruizione non sia imputabile al lavoratore; ha inoltre affermato che la norma introdotta dal legislatore si prefigge di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute, contrastando così gli abusi, “riaffermando la preminenza del godimento effettivo delle ferie , per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole”.
Ha altresì richiamato la giurisprudenza di legittimità, ordinaria e amministrativa, che riconosce al lavoratore il diritto ad una indennità per le ferie non godute per cause non imputabili, anche quando difetti una esplicita previsione negoziale in tal senso, ovvero quando la normativa di settore formuli il divieto di “monetizzazione”.
Affermando inoltre che il diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione del servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesse dalla malattia o da altre cause non imputabili al lavoratore (C. Cost. n. 95 del 2016).
E’ utile anche richiamare la sentenza di Cassazione n. 13860 del 2000 summenzionata dalla Corte Cost. nella citata pronuncia, nella quale si è osservato che “….il mancato godimento delle ferie costituisce non solo un fatto negativo, bensì, quale complementare aspetto, un fatto positivo. Ed invero, il godimento delle ferie ha il proprio arco temporale di attuazione nel cui ambito il mancato godimento delle ferie (alle quali il lavoratore aveva diritto) quando diventa irreversibile, si risolve in un lavoro ininterrottamente protratto. E questo lavoro che si è svolto in un luogo del non lavoro (le ferie) assume (nella dimensione corrispondente alla misura temporale delle ferie) la consistenza di una prestazione che non avrebbe dovuto aver luogo; il fatto negativo costituito dall’assenza di ferie, letto positivamente è (come lavoro in luogo delle ferie) prestazione contrattualmente non dovuta. Questa prestazione di per sé non è stata resa in violazione della legge; costituisce adempimento contrattuale. L’impossibilità dell’obbligazione del datore (obbligazione costituita dal consentire il godimento di ferie) anche ove egli ne fosse liberato, esigerebbe (ex art. 1463 c.c.) la restituzione della prestazione (che il datore di lavoro ha ricevuto e che non era dovuta); l’impossibilità di questa restituzione (causata dall’irreversibilità della prestazione) determina nei confronti del datore, il sorgere dell’obbligazione al pagamento di una somma che (per gli artt. 1463 e 20137, secondo e terzo comma c.c.) corrisponde in ogni caso alla retribuzione della prestazione; l’indennità sostitutiva delle ferie. La relativa obbligazione ha pertanto fondamento e natura contrattuale. E sorge per il solo fatto del mancato godimento delle ferie. Né è esclusa dalla mera non imputabilità del godimento al fatto del datore. E’ esclusa solo dalla “mora del creditore” (1207 primo comma e 1217 c.c.); ove il datore nell’ambito del potere di “stabilire il tempo del godimento” (art. 2109 c.c.) offra il proprio adempimento fissando adeguatamente questo tempo che il lavoratore non riceva la sopravvenuta impossibilità della prestazione resta a carico del lavoratore. In questa ipotesi, l’obbligazione datoriale (consentire il godimento delle ferie) essendo divenuta impossibile per fatto non imputabile al debitore, si estingue (art. 1256 primo comma c.c.) ed il lavoro, ininterrottamente reso nell’arco temporale previsto per le ferie, non assume la natura di prestazione non dovuta; l’obbligazione alla restituzione (ex art. 1463 c.c.) non sorge; il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non sussiste. E poiché il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore, è il datore che ha l’onere di provare l’adempimento ovvero l’offerta di adempimento (art. 1207, 1217 c.c.).
Il ricorso viene quindi accolto dalla Suprema Corte che cassa la sentenza impugnata e rinvia al giudice di merito per il riesame facendo applicazione della disciplina contrattuale in senso conforme alla regula iuris suddetta.
Ulteriore conferma che anche nel pubblico impiego, in caso di impossibilità di usufruire delle ferie prima di andare in quiescenza è possibile la monetizzazione e quindi il pagamento delle ferie non godute.
Dott. Carlo Pisaniello
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