Licenziato il dipendente che esegue un ordine “illegittimo” del superiore gerarchico.
Con la sentenza n. 84/2017 la Corte di Appello di Bologna ha respinto il ricorso incidentale del lavoratore, accogliendo invece il ricorso principale della cooperativa FP, accertando la legittimità del licenziamento del dipendente per giusta causa.
Il rigetto dell’impugnativa del licenziamento è stato fondato sulla previsione regolamentare della cooperativa che sanziona con il licenziamento senza preavviso le ipotesi di recidiva di una stessa condotta, già precedentemente sanzionata con la sospensione dal lavoro.
Al lavoratore infatti veniva contestata la recidiva dell’uso indebito del carrello elevatore e del danneggiamento di beni aziendali come recidiva già contestata nel biennio precedente con ben tre procedimenti disciplinari definiti con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, l’ultimo dei quali per uso improprio del carrello elevatore sebbene l’utilizzazione fosse avvenuta a seguito di un ordine impartito dal proprio superiore gerarchico, non potendosi escludere l’antigiuridicità del fatto, in quanto, vi era un esplicito divieto aziendale dell’uso del carrello per il del lavoratore essendo esso stesso non ancora formato en tantomeno in regola con le visite sanitarie a tal scopo, infatti questi si sarebbe dovuto rifiutare di eseguire l’ordine.
Il ricorrente incidentale, ossia, il lavoratore, impugna il giudizio della Corte di Appello in cassazione deducendo con unico motivo di ricorso che la stessa corte avrebbe sottovalutato l’aspetto soggettivo e psicologico, non avendo svolto in tal guisa nessuna indagine per valutare appunto l’elemento soggettivo ne valutato la natura del rapporto intercorso tra i soggetti coinvolti.
La condotta del lavoratore non era frutto di una libera determinazione ma di un preciso ordine datoriale impartitogli dal proprio superiore gerarchico intervenuto nonostante il lavoratore avesse palesato chiaramente l’impossibilità di utilizzare il mezzo. Per altro ha evidenziato che le imposizioni datoriali in merito al divieto dell’uso del mezzo fossero quantomeno ondivaghe e imprecise, tanto che lo stesso superiore gerarchico che gli aveva impartito l’ordine non era a conoscenza.
La suprema corte ritiene il ricorso infondato perché la sentenza impugnata non solo ha messo in evidenza la sussistenza del fatto addebitato, ma anche l’antigiuridicità del fatto, osservando che il lavoratore si sarebbe dovuto rifiutare di eseguire l’ordine in quanto consapevole del fatto di non essere in regola dal punto di vista formativo e sanitario, ma anche perché destinatario di una sanzione disciplinare di alcuni giorni prima proprio per indebito uso del carrello, a prescindere o meno dalla circostanza che il superiore gerarchico fosse o meno a conoscenza del divieto aziendale.
Anche volendo considerare l’inadempimento non così grave da giustificare il recesso, ma legittimante una quanto meno la sanzione della sospensione, occorre però considerare che le previsioni statutarie della cooperativa consentono il recesso per giusta causa in presenza di recidiva propria contemperati dal giudizio di proporzionalità della recidiva impropria.
Da quanto risulta, diversamente da ciò che ha affermato il ricorrente, il giudice territoriale ha espressamente preso in considerazione l’elemento soggettivo posto alla base della condotta ascritta al lavoratore mettendola anche in rapporto con i soggetti coinvolti nell’episodio, le censure rivolte quindi alla corte non risultano conferenti.
Valutata quindi l’antigiuridicità della condotta del lavoratore ed esulando dal presente giudizio la questione sollevata di “insussistenza del fatto” rilevante ai sensi dell’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970, la corte rigetta il ricorso condannando alle spese il ricorrente che liquida in 3.500,00 euro.
La questione sollevata dalla seguente sentenza mette in evidenza un aspetto decisamente interessante, pur se siamo in un ambito diverso rispetto alle vicende di origine sanitaria quel che preme mostrare è l’analogia che certamente sussiste trattandosi di rapporto di lavo subordinato.
L’ordine imposto dal superiore gerarchico ancorché potestativo, presenta però degli aspetti che debbono necessariamente essere valutati ai fini i un comportamento diligente e qualificato, qualsia si sia l’ambito lavorativo che trattiamo.
Non sempre quindi un ordine imposto dall’alto è rappresentato da liceità e correttezza, l’adempimento seguente all’ordine potrebbe avere delle conseguenze deleterie per l’azienda anche se solo ai fini della tutela della sicurezza del lavoratore o dei terzi.
È sempre bene quindi valutare con attenzione quali potrebbero essere i risvolti lavorativi nell’eseguire un ordine che risulta poi essere in contrasto con i regolamenti interni, le aspettative datoriali o addirittura le regole di condotta che qualificano la diligenza del professionista, a maggior ragione se si ha a che fare con pazienti o soggetti ricoverati, quante volte capita in aziende medio grandi che il sanitario venga spostato da una unità operativa ad un’altra senza avere la minima formazione necessaria per seguire determinate attività.
Ebbene questo è il caso che fa da esempio, l’assecondare le determinazioni del superiore gerarchico senza avergli manifestato per iscritto le problematiche a cui si andrà probabilmente incontro per scarsa formazione ed esperienza in quel determinato settore potrebbe poi portare ad essere considerati alla stessa stregua del lavoratore nel caso di specie e quindi parimenti responsabili per gli eventi di danno eventualmente sopraggiunti.
Dott. Carlo Pisaniello
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