Le schede di valutazione del personale, se non congrue, possono essere impugnate dal giudice del lavoro.

Redazione 29/05/19

Riceviamo e pubblichiamo la nota AADI: ” Le schede di valutazione del personale, se non congrue, possono essere impugnate dal giudice del lavoro, Commento a Sentenza Corte Territoriale dell’Aquila sez. lavoro” a cura del Dott. Carlo Pisaniello.


Le schede di valutazione del personale, se non congrue, possono essere impugnate dal giudice del lavoro.

La Corte di Appello dell’Aquila, Sez. Lavoro (Pres. Sannite, Rel. Santini) ha affrontato con particolare attenzione il tema delle schede di valutazione del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, e quindi anche del personale del SSN, richiamando l’orientamento oramai ius receptum dei giudici di legittimità.

Il giudice della Corte Territoriale ha confermato la sentenza del primo grado con la quale era stato respinto il ricorso di un dipendente di un comune Abruzzese, volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità della scheda di valutazione del Dirigente dell’ente, offrendo una adeguata motivazione e rinviando alla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. 10450/2000; Cass. 2252/1995).

La Corte di Cassazione di recente (sentenza 27 settembre 2011 n. 19710), ha statuito che le valutazioni del datore di lavoro, in ordine al rendimento ed alla capacità professionale del lavoratore, espresse attraverso le note di qualifica, sono sì sindacabili dal giudice, soprattutto in riferimento ai parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo ed agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. incombendo invece sul datore di lavoro l’onere di motivare queste valutazioni proprio allo scopo di permettere il controllo da parte del giudice dell’osservanza di quei specifici parametri.

Peraltro, questo controllo non può essere limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto anche la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo giudizio di valutazione, il quale, richiede di prendere in esame tutti i dati in possesso del datore di lavoro, ovverosia, sia quelli positivi sia quelli negativi che risultano essere rilevanti al fine della valutazione.

Non possono invece essere ricompresi i paramenti estranei alla prestazione lavorativa come ad esempio il comportamento nella vita privata (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898; Cass. 11 febbraio 2008, n. 3227; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450; Cass. 16 maggio 2002, n. 7138; Cass. 25 maggio 1996, n. 4823).

E’ stato dunque di nuovo chiarito che, il datore di lavoro, sebbene esprima un giudizio che ha certamente degli aspetti di discrezionalità è tuttavia soggetto ad alcuni limiti, tali limiti, sono certamente riferibili a criteri obiettivi previsti dal contratto collettivo, come l’obbligo di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., il divieto di perseguire attraverso la ratifica di questi atti intenti discriminatori o ritorsivi contro il lavoratore, oltreché motivi illeciti od irragionevoli, quali quelli non inerenti al dipendente nella sua specifica qualità di lavoratore.

E’ quindi certamente censurabile in sede giudiziaria l’inosservanza da parte del datore di lavoro dei predetti limiti, oltre alla presenza di motivi illeciti, la ragionevolezza e la contraddittorietà dei giudizi.

Sul datore di lavoro poi, incombe l’obbligo di motivare adeguatamente i predetti giudizi e la loro eventuale valutazione negativa, in modo da consentire a chi dovrà poi verificarli una completa disamina delle motivazioni che hanno condotto il datore di lavoro ad una valutazione negativa.

Quindi le note di qualifica dei dipendenti pubblici, che di norma sono atti meramente interni alla sfera organizzativa del datore di lavoro, sono a maggior ragione sottoposte al controllo giudiziale di conformità alla legge quando assumono rilievo esterno, ponendosi in rapporto di strumentalità con atti di gestione del rapporto di lavoro (es. affidamento di mansioni; promozioni; concessioni di premi di rendimento).

In questi casi quindi, se il lavoratore deciderà di contestare in sede giudiziaria tali note personali, avrà solo l’onere di dedurre che una valutazione corretta e positiva avrebbe potuto comportato il beneficio ad essa stessa connesso, lasciando così l’onere al datore di lavoro della prova dell’esistenza di cause ostative ad una valutazione positiva (Cass. 10 novembre 1997, n. 11106, come richiamata da Tribunale di Pavia del 20 giugno 2003).

Dott. Carlo Pisaniello

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