AADI: Tribunale di Roma dissolve le teorie della FNOPI sull’infermiere factotum

Redazione 17/07/19
Riceviamo e pubblichiamo una nota ADI sulla dura battaglia portata avanti dall’Associazione di Diritto Infermieristico e dal Dott. Di Fresco infermiere e avvocato, autore di numerose pubblicazioni per la difesa legale e giuslavorista della professione infermieristica, che da tanti anni porta avanti un’unica tesi soprattutto: l’infermiere è demansionato e solo la legge è a suo favore.

Che dire, il tempo e la determinazione continuano a dargli ragione. Noi di Dimensione Infermiere, nel nostro piccolo, non possiamo che collaborare alla causa, aiutando l’associazione a diffondere il suo messaggio.


LA BATOSTA ADI E’ ARRIVATA, ALTRO CHE 5MILA EURO: IL TRIBUNALE DI ROMA DISSOLVE LE TEORIE DELLA FNOPI SULL’INFERMIERE FACTOTUM E PUNISCE GRAVEMENTE CHI DENIGRA L’INFERMIERE.

La sentenza n. 6954 del luglio 2019 non è stata redatta da un magistrato qualunque, ma dal presidente della Prima sezione Lavoro di Roma che ha spiegato in 24 pagine, cosa significhi essere infermiere in Italia.

Non è importante sapere come si è conclusa la vertenza (sappiamo che il nostro infermiere ha stravinto e che questa sentenza segna un importante passo in avanti nella giurisprudenza infermieristica), ma è importante sapere perché l’infermiere ha vinto.

Prima di tutto evidenziamo che il tribunale di Roma ha accolto in toto ogni singola teoria che il Presidente ADI Di Fresco va ad insegnare in tutta Italia da oltre 25 anni.

Quando si afferma: “ogni singola teoria”, si intende proprio ogni aspetto che è stato scritto nel ricorso e precisamente: la teoria della falsa scientificità, la teoria dell’indottrinamento di massa, la teoria delle false aspettative, la teoria dello sfruttamento e così via, come vedremo.

Il ricorso è l’esatta rappresentazione del corso ECM sul demansionamento scritto dal Di Fresco.

L’infermiere, oggetto della vertenza legale, che chiameremo sin d’ora Daniele, ha svolto con regolarità tutte le mansioni che, secondo l’ADI, gli erano proprie, come per esempio preparare e somministrare la terapia farmacologica, monitorare i parametri vitali, effettuare medicazioni, aerosol, programmazione esami diagnostici, elettrocardiogrammi, cateterismo vescicale, ecc..

Insieme a queste attività proprie, però, Daniele ha anche svolto assistenza diretta ai pazienti disimpegnando mansioni igienico-domestico-alberghiere e, in particolare, ha alzato ed abbassato lo schienale del letto, versato l’acqua nel bicchiere per far bere il paziente, acceso il cellulare del paziente su richiesta, preso e riassettato lenzuola e coperte, curato l’igiene personale a letto e nella doccia, usato padelle e pappagalli, risposto ai campanelli, pulito e riassettato i carrelli, rifornito il materiale sanitario del magazzino e degli armadi, sistemato i carrelli della biancheria e quant’altro.

Queste attività si palesavano prevalenti rispetto alle proprie, tanto da dover attendere per soddisfarle quelle di cura, come preparare le flebo ed altro.

Spesso la terapia veniva somministrata in ritardo perché Daniele doveva attendere di completare l’assistenza diretta ai pazienti per poter svolgere le proprie attività; in poche parola prima doveva fare l’OSS e poi poteva fare l’infermiere.

A causa di tale preponderante impegno ausiliario, scrive il presidente del tribunale, non ha potuto praticare in maniera soddisfacente e intellettuale la propria professione e cioè non ha potuto aggiornarsi sull’evoluzione terapeutica e patologica dei pazienti e non ha potuto svolgere ricerche infermieristiche aggiornandosi sui processi di nursing.

Non aveva neppure il tempo di leggere le cartelle cliniche di coloro che riponevano la fiducia su di lui!

Le attività ausiliarie hanno impegnato Daniele per il 90% del suo tempo di lavoro, causando così un impoverimento della sua capacità professionale con conseguente danno da perdita di chance in quanto, il datore di lavoro, lo aveva assegnato a precipui interventi elettivi per soddisfare bisogni fondamentali della persona.

Il Policlinico ha da subito tentato di confondere il giudice, sostenendo che queste mansioni asseritamente inferiori, erano stabilite dal sistema NANDA; in poche parole non era colpa loro se Daniele era oberato di lavoro, ma degli americani!

Il sistema NANDA, in uso nella pratica infermieristica per condurre alle diagnosi, non può in verità essere compiutamente gestito dall’infermiere se questi è occupato a mettere padelle e pappagalli in tutto il reparto.

Per fare una vera diagnosi infermieristica ci vuole tempo e d impegno, cosa che un infermiere factotum non ha.

Inoltre, il fatto che il NANDA sia diretto a soddisfare i bisogni fondamentali della persona, non significa che i bisogni debbano essere necessariamente soddisfatti dall’infermiere.

La connessione teleologica infermiere gestisce NANDA = infermiere realizza il NANDA è fuorviante; sarebbe come dire medico scrive in cartella un farmaco = medico somministra il farmaco.

Infatti, se interpretiamo NANDA alla luce del D.M. n. 739/94 che riconosce all’infermiere non solo autonomia gestionale delle proprie attività, ma anche la responsabilità delle finalità assistenziali dirette ad opera del personale subalterno, allora NANDA rappresenta un utile strumento per pianificare e coordinare l’assistenza diretta che dovranno svolgere gli OSS sotto il controllo dell’infermiere.

In pratica il NANDA permette di identificare i bisogni del paziente non di soddisfarli.

Infatti per responsabilità non si intende la realizzazione dell’atto, ma la sua gestione al meglio per rispondere dell’esito e non per lo svolgimento, che rimane sempre esecuzione propria ed autonoma degli operatori di supporto.

Quindi il Policlinico inutilmente può sostenere che per responsabilità si intenda anche esecuzione perchè allora anche i medici, che sono responsabili delle cure del paziente in quanto dirigenti, devono eseguire tutte le attività assistenziali dirette.

Anche il PAI, sistema in uso al Policlinico e creazione diretta del dirigente infermieristico nonchè consigliere OPI di Roma, che se n’è pure vantato durante il suo interrogatorio, supportando le diagnosi infermieristiche, permette agli infermieri di documentare tutti i processi assistenziali.

In verità anche in questo caso è stato posto un tranello che è stato immediatamente cooptato dal Presidente ADI che ha assistito a tutte le udienze.

Il PAI non dimostra lo svolgimento intellettuale della professione come invece sostiene il Policlinico, ma la sua denigrazione, perchè obbliga l’infermiere a registrare l’effettivo svolgimento di quanto eseguito per la cura del paziente cioè di quanto fatto in proprio e non dall’OSS.

Quindi, al pari del NANDA, anche il PAI, creato dal consigliere OPI di Roma, è diretto allo sfruttamento demansionale dell’infermiere e ciò non stupisce l’ADI che da sempre denuncia una politica di emarginazione e vilipendio alla dignità dell’infermiere da parte di alcuni eminenti leader dell’OPI.

Il presidente del tribunale, nella sentenza, elogia il ricorso che nell’esposizione di diritto delle lamentate pretese, ha svolto diffuse argomentazioni, persino con premessa introduttiva di carattere storico circa le figura dell’infermiere, per dimostrare che le mansioni di assistenza diretta non sono proprie dell’attuale professionista laureato, e il ricorso, così come è stato confezionato, ha colto esattamente nel segno.

Questi solo gli encomi profusi nella sentenza a favore di un ricorso scritto con attenta metodologia tecnico-giuridica squisitamente infermieristica che solo l’ADI sa realizzare.

Nella specie, il ricorrente, ha fornito compiuta allegazione delle mansioni che egli, fin dalla data di assunzione, svolge.

Non nega certo di compiere gli atti che sono specificamente propri della sua professione, ma afferma e dimostra che tali atti abbiano un rilievo marginale posto che, prevalentemente, egli deve occuparsi delle attività di assistenza diretta.

La controversia, scrive il Presidente magistrato, verte sulla legittimità o meno dell’assegnazione di attività di assistenza diretta, come aprire una bottiglia, porgere un bicchiere, accendere e spegnere il televisore, imboccare i pazienti non autosufficienti, riassettare i letti, far usare padelle e pappagalli ed indi svuotarli e pulirli.

Il Policlinico sostiene che Daniele svolge tutte queste attività perché sono strumentali ed accessorie a quelle proprie, tanto è vero che, afferma controparte, queste rientrano tra gli interventi elettivi per soddisfare bisogni fondamentali dell’individuo identificati dalle diagnosi infermieristiche NANDA (North American Nursing Diagnosis Association), come specificato alle pagine 11-13 della memoria difensiva del Policlinico.

In particolare, imboccare un paziente risponde alla diagnosi infermieristica di deficit dell’alimentazione e l’intervento da porre in essere consiste appunto nell’aiutare l’assistito nell’assunzione di cibo e bevande; svuotare un pappagallo è utile a diagnosticare la presenza di sangue nelle urine e così pulire la padella, parimenti nelle feci; riassettare il letto permette di vedere eventuali lesioni di decubito e rispondere ai campanelli di verificare esigenze urgenti e indifferibili.

Ora, ammettendo che questo sia vero, a cosa servirebbero quindi gli OSS?

Se la diagnosi infermieristica può essere utilizzata per motivare le attività di assistenza diretta da parte dell’infermiere, allora anche l’OSS che vede del sangue nelle urine e chiama il medico, svolge diagnosi.

Premesso che il sistema NANDA non stabilisce che sia l’infermiere ad effettuare di fatto tali attività ma che effettua solo diagnosi infermieristiche, alla luce del diritto italiano ed anche internazionale, è naturale supporre che l’infermiere faccia tali diagnosi sulla scorta di quanto comunicato dal personale subalterno al quale, invece, spettano tali mansioni.

In poche parole nulla impedisce che il NANDA venga usato dall’infermiere per formulare diagnosi, sulla scorta di quanto comunicato dal professionista OSS oppure, l’OSS, può chiamare l’infermiere all’occorrenza.

Non vi è dubbio che l’infermiere sia essenzialmente, dice la sentenza, un professionista che, in quanto globalmente responsabile della persona a lui affidata, stabilisce quali siano gli interventi che egli stesso direttamente deve porre in essere oppure può affidare a figure professionali socio-sanitarie.

Pertanto, l’assenza di tali figure ausiliarie comporta un danno alla potere di esercitare compiutamente la professione nel senso di svilupparla nella libertà di dover necessariamente far fronte in prima persona alle incombe assistenziali dirette e da qui nasce il danno da perdita di chance.

Afferma l’Ecc.mo tribunale di Roma, duplicando le teorie del prof. Di Fresco, che posta una determinata classificazione del personale da una fonte vincolante per il datore di lavoro, non sarebbe legittimo affidare compiti propri di una determinata categoria di lavoratori a lavoratori appartenenti ad altra categoria per il solo fatto che, per decisione dello stesso datore di lavoro, quelli che sono competenti secondo l’ordinamento applicabile sono mancanti o insufficienti, per l’evidente motivo che le mansioni inferiori sono vietate.

Né appare condivisibile, insiste il tribunale clonando la parte del ricorso che lo riporta, che una particolare organizzazione aziendale non preveda OSS nei servizi al punto di costringere gli infermieri a sostituirli.

Il prof. Di Fresco, quando insegnava ai propri studenti tali materie, rimarcava sempre l’inconciliabilità della natura intellettuale della professione infermieristica con le mansioni costretti effettivamente a svolgere e pertanto evocava un risarcimento che eliminasse questa dicotomia antinomica.

Sulla stessa concezione si è mosso il tribunale di Roma affermando che dalla definizione normativa, emerge che quella dell’infermiere è, al pari delle altri professioni intellettuali ed anche specificamente sanitarie e non dissimilmente da quella medica, attività essenzialmente fondata su un sapere scientifico ed anche se si estrinseca in atti di carattere pratico-manuale, presuppone necessariamente non un comune saper fare in forza di esperienza ed imitazione, ma un insieme di conoscenze complesse ed articolate, tanto che, ex lege, non può essere esercitata se non da persone che abbiano acquisito titolo di laurea ad hoc.

L’infermiere, continua il Presidente, è il soggetto preposto a tutto quanto è necessario per assicurare l’assistenza ai pazienti e in quanto responsabile, a lui è conferita la discrezionalità tecnica di stabilire se un determinato atto debba essere compiuto da lui personalmente o se possa essere eseguito sotto la sua responsabilità, da un suo ausiliario, così come il codice civile, all’art. 2232, stabilisce disponendo che il professionista deve eseguire personalmente l’incarico assunto ma, sotto la sua direzione e responsabilità, può avvalersi di sostituti ed ausiliari.

Allora, tutto ciò considerando, non è mera facoltà del datore di lavoro assegnare ordinariamente all’infermiere lo svolgimento di mansioni che sono caratteristiche dei livelli inferiori in quanto per essere eseguite non richiedono il livello di conoscenze scientifiche e professionali caratterizzanti le professioni intellettuali, fermo che sia il primo a valutare se anche singoli atti propri della figura inferiore livello, debbano essere compiuti da lui direttamente in ragione delle peculiarità del caso.

Dunque, afferma il tribunale, se è compito precipuo dell’OSS curare l’attività di assistenza diretta del paziente, cioè compiere tutti gli atti materiali necessari per consentire la vita quotidiana del malato, come espletare le funzioni fisiologiche ed atti elementari come cambiare le lenzuola, pulirlo, imboccarlo, allora tutte tali attività, devono essere affidate ai lavoratori inquadrati nella categoria B e non possono essere svolte dagli infermieri semplicemente per mancanza o insufficienza di personale di qualifiche inferiori, soprattutto se si considera che l’infermiere esercita la propria responsabilità non eseguendo tali mansioni, ma discrezionalmente decidendo che vengano svolte da altri.

Si evidenzia una peculiare novità inserita nella sentenza e ricordata oltreché accolta in un passaggio dall’estensore: per la prima volta l’ADI conia il termine di assistenza diretta rivolgendosi alle attività igienico-domestico-alberghiere e di assistenza indiretta con riguardo a quelle precipuamente infermieristiche, come da sempre insegnato dal Di Fresco nei cosi ECM a dimostrazione degli attenti studi effettuati dall’ADI sulla materia.

Il Consigliere OPI di Roma, teste del Policlinico, contraddicendosi, ha prima ammesso che il D.M. n. 739/94 riconosce autonomia e responsabilità gestionale dell’infermiere nell’assistenza al paziente e poi ha invece ammesso che l’infermiere per fare diagnosi infermieristica deve svolgere ogni tipo di attività assistenziale diretta.

Il D.M. citato in realtà non disciplina la diagnosi infermieristica, frutto invece di teorie estranee alla legge e create per razionalizzare concettualmente la funzione infermiere, perciò nel nostro ordinamento l’infermiere resta una figura autonoma, non sottoposta al sistema delle diagnosi né di un’organizzazione del lavoro che ne deturpa l’immagine professionale quando, per regolamento o accordo sindacale, obbliga gli infermieri a svolgere attività OSS.

In conclusione, deve riconoscersi a Daniele il diritto di svolgere essenzialmente le proprie mansioni, escludendo quindi quelle attinenti l’OSS e, per tali motivi, considerando l’elevata rappresentazione sociale che l’infermiere ricopre nell’assistenza sanitaria, si accoglie quanto chiesto in termini risarcitori per il danno professionale e perciò condanna il Policlinico di Roma a versare a Daniele la somma di euro 60.000 oltre euro 10.000 per spese legali.

Si può dire giustizia è fatta? No!

Si può dire che le fantasiose e deliranti teorie del Di Fresco, tanto contestato dal dott. Lebiu e da altri esimi ed illustri scienziati di vari Ordini professionali degli infermieri, sono state finalmente tutte acclarate dal presidente del tribunale di Roma e i suoi delatori sono stati smentiti e sbuggiardati.

Si può dire che i testi universitari che riguardano le scienze infermieristiche in termini di attività ausiliarie, nonché i test per i concorsi e quanto scritto nelle riviste di vari OPI e FNOPI, sono effettivamente una grande presa per il culo ai nostri danni, solo per avere un infermiere sempre più ignorante e sottosviluppato, incapace di verificare la verità e pronto a credere a tutte le menzogne che vengono propinate nei vari ECM e corsi di aggiornamento.

Finché questa storia non finirà in Cassazione, non avremo pace.

Vi invito al corso ECM che faremo a Roma il 30 novembre 2019 dove simuleremo questo processo e spiegheremo gli antefatti legali che definiscono l’infermiere.

Vi faremo vedere quello che è successo veramente in tribunale, smascherando così i veri nemici degli infermieri, che non sono i medici.

Saranno presenti i veri personaggi della vicenda.

Chi volesse fin d’ora prenotarsi, deve inviare email a legale@aadi.it così reinvieremo le istruzioni per procedere all’iscrizione.

Il corso per il momento non è pubblicizzato perché intendiamo riservare i soli 100 posti disponibili ai soli soci ADI e COINA.

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