Dopo l’inevitabile degenza presso la Terapia Sub-Intensiva della Cardiologia, la signora è poi tornata in UK e ha scritto una commovente lettera al team che l’ha salvata: “Le attenzioni e le cure da parte dei medici e dello staff infermieristico sono state qualcosa che non ho mai sperimentato prima. Osservare il loro lavoro di équipe è stato stupefacente, si sono presi cura di me come non è mai successo in nessun altro ospedale. Mi hanno informata fin dall’inizio di quello che stava accadendo, cercando di rassicurarmi sul tipo di intervento da eseguire. Non finirò mai di ringraziare per il grande lavoro di squadra del personale medico ed infermieristico durante l’intervento operatorio e per le successive cure e l’attenzione che mi è stata rivolta”.
Abbiamo deciso di intervistare la dott.ssa Alice Paccagnini, una delle infermiere di quel team, eccellenza italiana che rimarrà per sempre nel cuore (in tutti i sensi) della paziente d’oltre Manica.
Dott.ssa Alice Paccagnini, lei è una infermiera e lavora presso l’unità di emodinamica dell’ospedale San Jacopo di Pistoia. In breve, per chi non conoscesse la cardiologia interventistica… In cosa consiste il suo lavoro?
Il mio, anzi, il nostro lavoro, consiste nell’assistere pazienti che si sottopongono a procedure di coronarografia, angioplastica coronarica, angiografia periferica e angioplastica periferica. È un lavoro che impegna l’infermiere a 360 gradi: oltre alla preparazione della sala, infatti, ci si dedica al controllo delle apparecchiature, alla preparazione di materiali e dei dispositivi necessari alla procedura, al controllo dei parametri vitali del paziente.
E, cosa non meno importante, si instaura una relazione d’aiuto con dei pazienti che spesso accedono al nostro servizio in condizioni di emergenza, con un infarto in corso, con dolore toracico e terrorizzati da ciò che gli sta succedendo in un ambiente totalmente estraneo, con la necessità di affidarsi a mani sconosciute per salvarsi e per poter stare meglio.
È anche e soprattutto in questi momenti che, grazie all’empatia, l’infermiere deve creare col paziente, in poco tempo, una relazione funzionale a ciò che sta per avvenire: una procedura invasiva con dei rischi. Il malato deve sentirsi accolto e rassicurato da chi gli sta intorno, a volte anche solo chiedergli, durante l’intervento, se va tutto bene, contribuisce a far sì che egli sia più sereno.
Il nostro è un lavoro con un notevole carico di stress, ma è un impegno che spesso viene ampiamente ripagato dalla consapevolezza di aver contribuito a salvare una vita.
Ho la fortuna di lavorare in un ambiente in cui il calore umano la fa da padrone, la nostra equipe è molto affiatata ed è davvero un piacere lavorare con tutti: colleghi infermieri, medici, tecnici.
Vi occupate di urgenze, di patologie cardiache croniche e acute, risolvete situazioni piuttosto complicate… Salvate vite. Eppure, come in altri ambiti ospedalieri che si occupano di emergenza/urgenza, difficilmente venite ringraziati per ciò che fate. Non è sempre così, però… Si ricorda il recente caso della paziente inglese?
Il nostro lavoro si occupa di urgenza e alcune volte ci capitano pazienti stranieri che parlano una lingua diversa dalla nostra, che hanno i loro parenti lontani e che si sentono soli e impauriti. Come quella signora inglese (certo che la ricordo), che recentemente ha avuto bisogno di noi.
La nostra equipe lavora in due ospedali diversi, a Pistoia e a Pescia; quella mattina eravamo attivi al San Jacopo e la paziente ci è stata inviata dall’altro ospedale (Pescia) per eseguire una coronarografia.
Io e la mia collega Gianna l’abbiamo subito accolta e, mente effettuavamo la check List preoperatoria, ricordo che abbiamo scherzato con lei per cercare di farla stare tranquilla.
Durante la procedura è stata tenuta al corrente sempre di tutto e, purtroppo, ha dovuto subire una angioplastica in una seconda seduta, effettuata qualche giorno dopo. Ricordo che il nostro impegno, in quei momenti, è stato ripagato da tanti sorrisi.
Al suo rientro in patria, la paziente si è ricordata di voi e ha scritto alla direzione sanitaria una lettera di ringraziamento piuttosto lucida, toccante e professionalmente appagante; chiedendo esplicitamente di renderla nota. Ce ne parli.
Sì, ci ha spedito dal suo paese una bellissima lettera di ringraziamento, indirizzata a tutto il team; scritto che ci ha fatto un immenso piacere anche perché, come lei ben saprà, nel nostro ambito i ringraziamenti sono rari.
Vi siete confrontati, in equipe, circa questo inestimabile attestato di riconoscimento alla vostra professionalità e alla vostra preparazione? Quali sono state le sensazioni e le emozioni in tal senso?
Abbiamo parlato della lettera tutti insieme e sicuramente è stata una cosa molto emozionante, anche perché ha dato molta importanza al lavoro infermieristico di tutti i giorni, cosa che abbiamo interiorizzato e che diamo quasi per scontato, ma che, visto dall’esterno, è fondamentale per la presa in carico del paziente. È per questo che, soprattutto, mi sento di ringraziare la paziente per la sua lettera: “.
Lei, Alice, è una infermiera. Secondo lei… L’infermieristica italiana vuole davvero crescere? Qual è la strada giusta per poterlo fare?
L’infermieristica può e deve crescere, il nostro lavoro è in continuo divenire e perciò anche la nostra figura deve esserlo. Ci adattiamo in continuazione a nuove procedure, a nuove innovazioni tecnologiche, a una società che sta cambiando (più anziana e multiculturale).
La nostra forza è sempre stata il prendersi cura, il rapporto che sappiamo instaurare coi pazienti e con le loro famiglie; stiamo diventando parte integrante di una nuova assistenza territoriale, siamo i punti focali di tanti ambulatori, siamo fondamentali nei dipartimenti di emergenza e accettazione, sappiamo portare sulle nostre spalle diversi fardelli, come le carenze del nostro SSN.
Noi infermieri sappiamo bene chi siamo, secondo me, sappiamo come rapportarci con tutte quelle tipologie di pazienti che ci troviamo davanti, senza mai scoraggiarci, perché alla fine i malati, per quanto complessi, sono persone… Gli utenti hanno bisogno di infermieri preparati sia sul piano teorico/pratico sia su quello comunicativo/relazionale.
Alessio Biondino
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