La consulenza infermieristica: un valore professionale ancora disperso.

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Italia patria di poeti, santi, navigatori e infermieri specialisti abbandonati nelle Aziende Ospedaliere.

Se c’è un limite, non vuol dire che sia sempre facile riconoscerlo. Prima o poi succederà che lo passiamo senza preavviso, ci cadiamo lamentando che nessuno ci aveva avvisati. Ciò che abbiamo cercato attraverso il percorso della professionalità, si disperderà sulla via del futuro professionalizzante. L’analisi del bisogno della qualità e di ottimali esiti nell’assistenza si disperde, ma non in un lontano futuro, sta succedendo ora nel nostro Paese.

Assodato e risaputo che l’Italia è famosa per essere patria di poeti, santi, navigatori e milioni di allenatori di calcio comodamente seduti sui propri sofà, ho pensato interessante esaminare una simile questione numerica ed in un campo altrettanto importante, come quello della sanità.

A parte l’utilità autoreferenziale riconosciuta e la speranza posta in una o altra figura summenzionata, che potrebbe non sempre metterci d’accordo tutti, in un ambito sanitario tutto converge alla protezione del bene salute, i saperi si incanalano univoci e aggregati a garantire un bisogno primario indiscutibile per ogni paziente come la salute.

La personale acquisita tecnicità è il nostro “marchio”, un etichetta che non deve isolarsi ed essere tenuta celata sotto la divisa, come i tagliandi delle t-shirt che ci graffiano e arrossano il collo.

La nostra specificità particolareggiata di professionista infermiere con competenze avanzate, deve essere messa al servizio comune, deve rifulgere con luce propria, in un contesto di problem solving che l’Azienda stessa deve tener stretto e farne tesoro incentivando forme di fruizione clinica a tutti i livelli con riconoscimento economico del Personale (tasto alquanto dolente).

Ma tutto va e tutto viene, e cosa resta della competenza infermieristica complementare per la quale ci spendiamo l’intera vita? In quanti aspetti trasversali di conoscenza ci siamo “calati” sperperando  denaro e tempo rubato a noi stessi ed alla nostra famiglia, nel corso degli ultimi anni?

Quando penso a questo concetto mi immagino una classica entrata di un edificio ospedaliero in cui parcheggiati in un angolo insieme alle sedie a rotelle e lettighe, ci sono numerosi colleghi specialisti  nelle più svariate pratiche infermieristiche: Wound Care, PICC, stomatoterapista, vie venose, counselling, infermiere educatore in diabetologia (già da vent’anni esistente negli USA), Case Manager, Area Critica, ecc..

 Sono lasciati lì immobili dalla stessa Azienda che pensa di tirare avanti senza il loro utile supporto.

E comunque attendendo gli sviluppi in applicazione del rinnovo del CCNL dello scorso anno, in particolar modo a richiamo della figura dell’infermiere con particolare cultura specialistica: See and treat, nel Fast track, nell’adozione di protocolli “salva vita” nelle ambulanze del 118, per l’infermiere di famiglia o di comunità, nelle competenze avanzate infermieristiche in ambito clinico, in attività perioperatoria.

Ma nel frattempo?

L’infermiere consulente

La consulenza infermieristica valorizzata in Paesi anglosassoni  e riconosciuta formalmente in Inghilterra, rimane concetto base ed aberrante, quindi ancora fermo ed impantanato in Italia, dove mantenendosi vivo come il mercato nero in tempi di guerra, non è sfruttato tipo “arma clinica”.

L’infermiere con un bagaglio esperienziale (esperto) e ulteriore formazione specialistica (avanzata) in campi dell’infermieristica, non viene assolutamente coinvolto e reso partecipe come consulente al pari del medico, nei contesti e sviluppi di strategie della cura.

Per tutti resta assodato ed inculcato nella mente che sia solo il medico  svolgere attività di consulenza.

Negli ultimi decenni, pur crescendo con notevole riguardo il valore della professione, diversi sono stati i tentativi delle Aziende di proporre progetti di utilizzo delle competenze trasversali degli infermieri. O meglio sarebbe più giusto dire che pochissime Strutture hanno fatto diversi tentativi.

Parlare di consulenza infermieristica circa un ventennio fa, sarebbe stata pura fantascienza. Parlarne oggi equivale ad avere, nel frattempo, gettato dei ponti tra due sponde per far incontrare qualità dell’assistenza e paziente, ma restare ancora con i cartelli di lavori in corso. I ponti sono ancora molti da costruire, le Aziende che hanno colmi i reparti di personale altamente formato, non lo usano alla stregua di mattoni a cementare le basi di un corretto e mirato uso della scienza clinico-assistenziale per implementare e migliorare gli esiti di cura[1].

La valutazione del paziente con ulcere croniche

Quando, nelle corsie dei reparti, o dai lettini degli ambulatori, oppure durante gli eventi formativi o in occasione degli stage/ tirocini dei corsi di laurea e master universitari, si pone la fatidica domanda: “Cosa serve per ottenere la guarigione di un’ulcera cronica?”, comunemente la risposta è un lungo elenco di medicazioni, dispositivi e tecnologie tra i più disparati. Oggi più che mai è invece necessario (ri)orientare l’assistenza limitata e limitante generata da questa prospettiva che non riesce ad andare oltre al “buco che c’è nella pelle”, restituendo centralità alla persona con lesioni cutanee; occorre riaffermare che il processo di cura deve essere basato su conoscenze approfondite, svincolate da interessi commerciali, fondate su principi di appropriatezza, equità, sostenibilità e in linea con il rigore metodologico dell’Evidence Based Nursing/Medicine che fatica ad affermarsi. Questo testo, pensato e scritto da infermieri con pluriennale esperienza e una formazione specifica nel settore del wound management, propone nozioni teoriche e strumenti pratici per capire quale ulcera e in quale paziente abbiamo di fronte, e de- finire quali obiettivi e quali esiti dobbiamo valutare e devono guidare i nostri interventi. Nello specifico, la prima sezione del volume affronta alcune tematiche propedeutiche alla valutazione delle ulcere croniche, offrendo al lettore una discussione approfondita sui meccanismi della riparazione tessutale normale e quelli attraverso cui un’ulcera diventa cronica; segue una panoramica di questa tipologia di lesioni cutanee. La seconda sezione entra nel dettaglio delle varie fasi in cui si articola il percorso strutturato della valutazione con cui realizzare la raccolta di informazioni e dati sulla base dei quali formulare un giudizio clinico e guidare, in maniera consapevo- le e finalizzata, gli interventi di trattamento delle ulcere croni- che, come è richiesto ai professionisti della salute di oggi.Claudia Caula, infermiera esperta in wound care. Direzione delle Professioni Sanitarie. AUSL Modena.Alberto Apostoli, podologo; infermiere esperto in wound care; specialista in assistenza in area geriatrica; specialista in ricerca clinica in ambito sanitario. Azienda ASST Spedali Civili di Brescia.Angela Libardi, infermiera specializzata in wound care. ASST Sette Laghi – Varese.Emilia Lo Palo, infermiera specializzata in wound care. Ambulatorio Infermieristico Prevenzione e Trattamento Lesioni Cutanee; Direzione delle Professioni Sanitarie. Azienda ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Claudia Caula – Alberto Apostoli – Angela Libardi | 2018 Maggioli Editore

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Cosa succede in ambiente ospedaliero

Nello specifico quindi, l’ambiente ospedaliero, da considerarsi come fiore all’occhiello, rende bene l’idea, e ci spinge a chiederci a cosa sia dedicata  parte del tempo che gli infermieri “sprecano” (nobilmente) durante l’attività di nursing.

Quante volte siamo stati i protagonisti o le comparse di tali regie di richiesta d’aiuto di colleghi disperati?

Quante volte abbiamo reagito solo da spettatori a queste scene che si ripetono all’infinito non riuscendo a cogliere un’essenza di trama e di capacità specifica che inizia e finisce come in un film? Ci lascia l’amaro in bocca, ci lascia un senso di vuoto senza averci coinvolto, ci consentono di girarci dall’altro lato e continuare ad alimentare due introspettivi compagni: il senso di vuoto e il burn-out.

Fino a quando poi un solito film inizierà e finirà, di continuo, ed un semplice caffè del distributore sarà l’obolo di scambio della risoluzione al prolema.

 Ma che vita professionale vogliamo vivere?

Passiamo il tempo ad aiutare il collega con una via venosa difficile, facciamo un salto in Geriatria a dare un’occhiata a quella piaga infetta, ci chiamano a mettere in pratica una peculiare competenza e capacità acquisita e riconosciuta per Legge che ci permette, ormai capaci e responsabili, di applicare l’approccio sequenziale più appropriato all’assistenza. Infatti indaghiamo il giusto metodo, pianifichiamo e facciamo diagnosi, ognuno espletando una professionalità che lo contraddistingue al meglio già oramai sempre più e solo a livello informale, senza che sia ufficialmente richiesta, senza una progettualità mirata, e cosa ancor più grave senza tracciabilità.

Purtroppo in questo contesto in cui siamo coinvolti ad un alto livello, non traspare e non si esplicita ancora  e completamente l’acquisita specifica formazione. Nei reparti, nei servizi e in tutti gli ambienti ospedalieri pullulano gli infermieri che seppur preparati, formati e pronti a far innalzare l’asticella della qualità[2], dell’efficacia e dell’efficienza, si trovano bloccati in una rigidità incomprensibile, dove il loro sapere è reso inerme fino a dissolversi: a chi faranno mai i consulenti? A loro stessi guardandosi allo specchio? Che spreco!

Infermiere consulente: le basi del principio.

Nel 2015 l’allora Federazione IPASVI presentò in Consiglio Nazionale il nuovo modello di evoluzione delle competenze infermieristiche, collegandosi al Patto per la salute e alla bozza di accordo Stato-Regioni sulle competenze avanzate.

Infatti la legge 190/2014, richiamava  gli orientamenti del documento e poneva le basi per intervenire su ruoli, funzioni e modalità operative dei professionisti sanitari, sostenendone l’evoluzione  delle  competenze attraverso percorsi di formazione complementare.

Tale spinta di indirizzo veniva da studi del settore sanitario del rapporto dell’Ocse (Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico per i Paesi membri), nei quali essi

affermavano anche che, per il mantenimento dei principi che definiscono il SSN e per la sostenibilità complessiva del Sistema, è necessario dare maggiore forza e spazio alle potenzialità die professionisti sanitari.[3]

Cosa dice il Codice Deontologico

Inoltre negli anni di cambiamento sono stati fermi alcuni punti essenziali nel Codice Deontologico dai quali non prescindere, i quali rimandano alla particolarità della formazione, della collaborazione e dell’uso di pareri esperti (Cod. Deontologico 2019):

Art. 10 Conoscenza, formazione e aggiornamento

L’Infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate dalla comunità scientifica e

aggiorna le competenze attraverso lo studio e la ricerca, il pensiero critico, la riflessione fondata sull’esperienza e le buone pratiche, al fine di garantire la qualità e la sicurezza delle attività. Pianifica, svolge e partecipa ad attività di formazione e adempie agli obblighi derivanti dal programma di Educazione Continua in Medicina.

Art. 11 Supervisione e sicurezza

L’Infermiere si forma e chiede supervisione, laddove vi siano attività nuove o sulle quali si abbia limitata casistica e comunque ogni qualvolta ne ravvisi la necessità

Art.12 Cooperazione e collaborazione

L’Infermiere si impegna a sostenere la cooperazione con i professionisti coinvolti nel percorso di cura, adottando comportamenti leali e collaborativi con i colleghi e gli altri operatori. Riconosce e valorizza il loro specifico apporto nel processo assistenziale.

Art. 13 Agire competente, consulenza e condivisione delle informazioni                        

L’Infermiere agisce sulla base del proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, alla consulenza e all’intervento di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo i suoi saperi e abilità a disposizione della propria e delle altre comunità professionali e istituzioni. Partecipa al percorso di cura e si adopera affinché la persona assistita disponga delle informazioni condivise con l’equipe, necessarie ai suoi bisogni di vita e alla scelta consapevole dei percorsi di cura proposti.

Una breve ricerca sulla consulenza infermieristica

Cercando delle risposte, e per di più immediate, nell’intento di evidenziare delle discrepanze tra il famoso dire e il fare, sul fenomeno quasi fantascientifico della consulenza infermieristica, ho svolto una pura indagine statistica conoscitiva.

La velocità nell’esecuzione e nell’esposizione dei dati si fonda sulla mia necessità di avere un quadro immediato dello sviluppo e utilizzo del sapere esperto-specialistico infermieristico in Italia, quasi con la paura che i dati vengano falsati da un fuggi fuggi generale che le mie insistenti richieste e contatti con colleghi, coordinatori e Direzioni Infermieristiche avrebbero generato, scatenando una corsa alla costruzione di neo-Progetti di consulenza ancora mai adottati.

Pertanto mi sono calato in quest’avventura ed a partire dal 1° al 23° settembre, ho richiesto parere sul fenomeno a 250 colleghi, da più parti dello Stivale, negli ambiti più disparati, e a 10 Direzioni Infermieristiche.

La difficoltà a reperire indirizzi di quest’ultime, se qualcuno si interrogasse sul numero esiguo (solo 10), risiede nella difficoltà di ricerca nei siti ufficiali delle Aziende, dove o non è in essere una Direzione o Servizio infermieristico, oppure se presente sono purtroppo ben nascoste negli anfratti del percorso dello stesso sito ufficiale aziendale, o troppo “insinuate” nelle Direzioni. Per questo la dislocazione potrebbe sembrare non statisticamente determinante e non ben distribuita nel territorio:

2 Sardegna; 1 Toscana; 1 Liguria, 1 Veneto, 1 Campania, 1 Emilia Romagna, 1 Friuli Venezia Giulia, 1 Piemonte, 1 Puglia.

Ho chiesto a tutti se nella propria Azienda fosse presente un Progetto di consulenza infermieristica: Wound Care, PICC, stomatoterapista, vie venose, ecc., e se lo stesso fosse divulgato a livello formale con modulistica e tracciabilità.

Alle Direzioni Infermieristiche ho inviato richiesta via PEC, mentre per i colleghi ho  utilizzando maggiormente un canale social network come Linkedin sfruttando un’ottimale propensione e una sentita empatia a divulgare, discutere e a sviluppare un approccio culturale collaborativo verso il mondo del lavoro, che la piattaforma offre; inoltre un contatto diretto con interviste a colleghi con i quali avevo un rapporto più diretto.

Risposte ricevute

Solo 1 su 10, da parte delle Direzioni Inf.;

solo 107 su 250 da parte di colleghi.

Le statistiche dei colleghi parlano chiaro:

75% no: i colleghi dichiarano che nella propria Struttura non è presente alcuna forma di consulenza infermieristica, e nelle righe non hanno velato una certa ed avvilente ilarità;

12% si: pur confermando la presenza di un progetto in atto e funzionante, affermano di non conoscere se sia attuato con tutte le caratteristiche formali (modulistica, tracciabilità, ecc.); nè tantomeno sono a conoscenza se sia in essere per tutte le discipline.

13%: forse qualcosa c’è solo a livello informale, o solo singolarmente, oppure per vie venose ci prova il collega ma si finisce per chiamare l’Anestesista. Risposte incomplete, nelle quali i colleghi manifestano incertezza, ma richiamano sempre la conoscenza della eventuale presenza di un PICC Team, nella maggior parte dei casi.

L’unica Direzione Infermieristica che gentilmente mi ha risposto, ha riferito che da decenni è perfettamente funzionante un sistema di consulenza infermieristica aziendale, in tutto e per tutto confacente a criteri di procedure tracciabili.

Non volevo suggerire delle risposte, in quanto mi interessava valutare oltre che la conoscenza del fenomeno analizzato, soprattutto la percezione della valorizzazione aziendale che si avvertiva intorno al proprio ruolo come professionista e verso il collega esperto e specialista.

Risposte significative

Chi non sapeva di cosa si parlasse, chi ne indicava la presenza nella vecchia sede lavorativa e non nell’attuale,  chi ne era a conoscenza ma ancora non avviato, chi lo conosceva solo su carta, e da anni, chi ne decantava le lodi, chi lo riteneva ancora incompleto nel suo espletamento, e chi lo segnalava presente ma solo a livello amicale (“Aiutami con la vena che poi ti offro un caffè!”).

Con molti ho dialogato, sostenendo un discorso mirato alla conoscenza dell’argomento. Altri erano sconcertati ed in attesa di un cambiamento. Uno sparuto manipolo si dichiarava felice del riconoscimento qualitativo, altri non mi hanno più chiesto nulla dopo la mia domanda, ma si sono limitati a ribattere l’assurdità alla quale sono costretti ad assistere ogni giorno. Alcuni attendono che le loro umili proposte facciano breccia nei cuori dirigenziali. Qualcuno non sapeva neanche di cosa stessi vaneggiando.

Conclusioni

Questo reportage forse non metterà tutti o molti d’accordo. Qualcuno contesterà probabili pretese scientifiche. Ma un sondaggio è un sondaggio, una probabilità di resoconto esprime anche e soprattutto nel suo significato, una certezza intrisa di validità anche se non assoluta.

Diverse allora le verità molto probabili che dir si voglia, per chi ancora non sia convinto del valore indagato. Al lettore perplesso, le giro come domande, nell’attesa di un sentito cambiamento, e repentino:

  • è molto vicino alla realtà il fatto che in molte aziende ospedaliere non sia presente la figura dell’infermiere esperto consulente?
  • E’ molto vicino alla realtà il fatto che lo sviluppo del fenomeno trovi ostacoli di natura burocratico-gerarchica?
  • E’ molto vicino alla realtà il fatto che sia sottovalutata la positiva ricaduta sugli esiti di cura, sicurezza, autostima e natura economica?
  • È molto vicino alla realtà il fatto che in molte Aziende vi siano stanze amministrative le cui scrivanie sono “ammorbate“ di progetti mirati a tale valorizzazione?
  • È molto vicino alla realtà il fatto che esista un mondo sommerso informale di scambio consulenza  che non viene fatto emergere per volontà cosciente o incosciente volontarietà?
  • È molto vicino alla realtà il fatto che vi siano alcune situazioni di eccellenza  (se confrontate con gli altri dati negativi) o almeno di incremento anche lentamente di propositi lungimiranti, ma non divulgati abbastanza a livello nazionale?

Allora una cosa è certa, ed io mi prendo parte della ragione: questa indagine ha avuto la pretesa di evidenziare fatti molto vicini alla realtà.

Vero è che in rete si accenna a lavori di progettualità mirate alla consulenza infermieristica, già provate negli anni e migliorate, da parte di diverse Aziende Ospedaliere. Occorrerebbe renderli più visibili e condivisibili, verso un dialogo nazionale incrementando la figura evolutiva dell’infermiere.

Spero solo che qualcosa si muova o già ora finisca la lunghissima gestazione, e nasca.

Spero che, chi non abbia avuto il tempo di rispondermi sia stato oberato da valanghe di richieste di consulenza infermieristica, o impegnato a battere i pugni e scrivere a sollecitare i vertici aziendali.

Spero che le Direzioni Infermieristiche che non mi abbiano risposto stiano correndo a riparare, avendo compreso, o comunque consapevoli del positivo progetto aziendale già esistente, non abbiano solo avuto il tempo o la voglia di stare a sentire un farneticante infermiere che brama solo  un personalissimo cruccio.

Spero che tantissime altre Aziende sparse per l’Italia abbiano compreso e valorizzino da decenni la specifica competenza dell’infermiere (attendevano solo la mia richiesta mancata).

Spero solo di sbagliarmi, ed attendo impaziente qualcuno a screditare le mie conclusioni.

Spero che mi sbagli e che all’entrata dei nosocomi, in un angolo buio, ci siano solo ed esclusivamente carrozzelle e lettighe vuote, senza la presenza di molti colleghi preparati e specialisti in attesa di essere chiamati in causa, e pieni di ragnatele.

Spero di vaneggiare ancora con questo argomento, parlandone magari in un prossimo articolo.

Spero!

Giovanni Trianni – Infermiere Legale Forense

Fonti:

  1. V. Woodward  , C. Webb, M. Prowse,  Nurse consultants: organizational influences on role achievement, Journal      of   nursing clinic, 03/2006.
  2. J. Currey, J. Considine, D. Khaw, Clinical nurse research consultant: a clinical and academic role to advance practice and the discipline of nursing, Journal of Advanced Nursing, 2011
  3. Fed. Nazionale IPASVI, Documento Comitato Centrale: Evoluzione delle competenze infermieristiche,  Del. 79 del 25 aprile  2015

Giovanni Trianni

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