L’infermiere di pratica avanzata APN: potrà in futuro sostituire il medico?

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Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità sentenziava: “La scarsità in molti Paesi di personale delle professioni sanitarie, suggerisce che sono richiesti nuovi approcci per la composizione dei team di cura, i limiti ed i confini tradizionali necessitano una rivisitazione. Attitudini che sono da sempre richieste ai medici potrebbero diventare comuni per la prassi infermieristica così come allo stesso modo, ruoli che sono sempre stati degli infermieri, potrebbero richiedere di essere ricoperti da altri operatori”. Nella sua strategia globale sulle risorse umane per la salute verso il 2030, L’OMS ha sottolineato la necessità di massimizzare il potenziale per i professionisti di medio livello per migliorare la capacità della forza lavoro. Cosa si nascondeva all’interno di queste parole? Quali i presupposti innovativi? Iniziava l’era dell’infermiere di pratica avanzata? Si paventava quindi, una sostituzione del medico con l’infermiere esperto?

 

L’infermiere di pratica avanzata

Una lotta di confine

Ultimamente qualcosa aleggia nell’aria, si intuisce quasi una volontà nuova ed una voglia di affacciarsi sul panorama clinico-assistenziale italiano di una figura rivoluzionaria che incute paura (a molti), che racchiude in sè essenze specialistiche afferenti a pratiche esistenti da sempre ed emergenti, che potrebbe dare una nuova svolta al “nursing italiano”, quando si comincerà ad usarlo appieno: l’infermiere di pratica avanzata.  

 In questi ultimi periodi sono balzati alla cronaca sanitaria (vedi caso Venturi) sentimenti contrastanti circa il confronto della figura medica con quella infermieristica. Sul filo di confine delle due discipline si consuma però da sempre, e mai finirà, un inutile dibattito, che sembra già avere nelle righe tante risposte: l’uno non può sostituire l’altro, il primo non può lottare e vincere la malattia senza il supporto del secondo, e viceversa (vedi Del. Reg. Veneto n°1580); entrambi sono indispensabili, ognuno con la propria scienza, l’integrazione multidisciplinare dei saperi si amalgama in una trincea, nella quale devono coesistere fianco a fianco e con entrambe le affilate armi rivolte in avanti, verso l’orizzonte: è la malattia che dobbiamo sconfiggere, non noi stessi!

 

L'integrazione multidisciplinare dei saperi - Infermiere di pratica avanzata
L’integrazione multidisciplinare dei saperi

Ma alcune domande vorrebbero a forza una risposta:         

  • il medico dovrebbe avere paura dell’infermiere esperto?
  • In futuro c’è il pericolo che venga sostituito dal suo compagno di equipe?
  • Prima che si arrivi ad una vera escalation del “litigio”, saranno più veloci a prendere il sopravvento i robot programmati per la diagnosi, la cura e l’assistenza?

La carenza cronica che si sta determinando da tempo e non più prorogabile ha obbligato alcune Regioni a correre ai ripari per rimpinguare i reparti allo stremo, e con un futuro per niente roseo. La Toscana ed il Veneto hanno fatto da apripista: giovani neolaureati senza neanche la specializzazione (nei Pronto Soccorso), medici rumeni ai quali manca poco per il traguardo specialistico, pensionati che rispolvereranno il camice bianco logoro di mille battaglie; ed in Calabria si vuole l’arrivo dei medici militari a scavar trincee in altri reparti. L’attenzione di tutti è alle stelle, e misure urgenti si attendono a concretizzare fiumi di parole che rischiano di far annegare il tanto vantato SSN italiano. Allora, raddoppiare le borse di specializzazione? Aumentare gli stipendi? Scongiurare le preziose risorse di non abbandonare il nostro Paese, alzando gli stipendi? Quale sarà l’arma giusta?                                            

I medici sostituiti dagli infermieri negli Stati Uniti

Guardarsi intorno molto spesso serve e conviene, non a giudicare, ma per capire e cogliere aspetti che forse noi, guardando troppo vicino ad un obiettivo, ne perdiamo il significato. Di sicuro più in là, dove la sanità si muove in modo diverso.

Gli APN statunitensi nei reparti d'emergenza - Infermiere di pratica avanzata
Gli APN statunitensi nei reparti d’emergenza

Il 26 novembre dello scorso anno, a 15 medici del Distretto di Chicago è stato dato il ben servito, e al loro posto sette Servizi di Pronto Soccorso hanno visto arrivare gli APN (infermieri di pratica avanzata), grazie o per colpa del piano suburbano di taglio dei costi del sistema sanitario della Società Edward-Elmhurst Health. Da subito i vertici aziendali furono chiari: “Attraverso un processo di pianificazione multidisciplinare che includeva i medici, è stata presa la decisione di cambiare il modello di erogazione delle cure in alcuni dei nostri siti d’urgenza”.  E poi ancora: ”I cittadini hanno confermato avere paura degli alti costi di alcune prestazioni non critiche come mal di gola, eruzioni cutanee e mal d’orecchi: vogliono avere un accesso facilitato per tali semplici patologie e le vogliono meno costose”. Inoltre, secondo l’Amministrazione, con l’attuazione di questa modalità assistenziale, viene confermato un adeguamento ad un nuovo modello nell’interesse dei pazienti e riflette le tendenze nazionali emergenti. Anche in altri Stati non si sono discostati da questa progettualità, facendo da subito serpeggiare un clamoroso malcontento per tale ventata rivoluzionaria che riguardava i servizi di cure d’urgenza, come a Dallas dove sempre nel 2019, 27 pediatri di una catena di Cliniche sono stati sostituiti da infermieri di pratica avanzata.

 

Chi è l’APN?

Il termine APN (Advanced Practice Nurse) è nato negli Stati Uniti e riguarda tutte le tipologie di attività e ruoli infermieristici avanzati. Gran parte delle pubblicazioni riguardanti il concetto proviene dagli USA, Canada, Regno Unito e ultimamente da lavori australiani e neozelandesi. Questo fenomeno coinvolge infatti, tutto il contesto infermieristico mondiale. Dopo un tentativo confuso riguardo a percorsi e standard formativi che rendeva difficoltosa una identità dell’ APN, l’ICN (International Council of Nurses) ha iniziato a monitorizzare globalmente l’emergere della nuova figura. Da ciò sembra stia aumentando il consenso in merito alla piena necessità di introdurre  l’infermiere di pratica avanzata nei differenti sistemi sanitari nazionali e di facilitare una definizione il più univoca possibile del ruolo, della formazione e dei requisiti necessari. Dalla literature review di Dunn (1997), dalle sole realtà americane e inglesi è possibile estrapolare numerose differenti definizioni, a seconda del contesto in cui un determinato tipo di Advanced Nursing Practice è nata. Ecco perchè l’ICN, nel recente lavoro pubblicato sull’Advanced Nursing Practice (2007) ha cercato di trovare la definizione più univoca possibile, che potesse conciliare le numerose divergenze rispondendo alla domanda di cosa sia l’ANP: L’applicazione di un ampio range di competenze pratiche, teoriche e basate sulle evidenze scientifiche, a tutti quei fenomeni vissuti dai pazienti all’interno di una specifica area clinica dell’ampia disciplina infermieristica (Hamric 2005)”.

 

L’APN in Italia: qualcosa si muove!

La figura specializzata del Nurse Practitioner non esiste nel nostro SSN. Si può affermare essere un professionista che ha acquisito una vasta gamma di competenze cliniche, educative e soprattutto diagnostiche. Tuttavia proprio in questi giorni finalmente, le Regioni si stanno adoperando all’unanimità per l’attribuzione delle funzioni di professionista specialista ed esperto come previsto dall’ultimo CCN (2016-18). E’ già un buon inizio da cui partire. Si deve affermare che, non esiste un’intesa comune sul ruolo dell’infermiera di pratica avanzata in tutto il mondo e vi è un’ampia variazione nella regolamentazione dei ruoli infermieristici della pratica avanzata e dei loro requisiti in materia di istruzione, licenze e credenziali. Vi è un’ampia variazione nei requisiti educativi, nella regolamentazione e nella portata della pratica degli APN. Gli ostacoli alla professione di infermiere di pratica avanzata sono spesso legati allo status della legislazione e alle credenziali in giurisdizioni specifiche. Un database di regolamentazione infermieristica della pratica e le questioni relative hanno il potenziale per diventare una risorsa preziosa per i singoli paesi. Ogni paese ha sfide uniche legate alla politica sanitaria per ruoli infermieristici di pratica avanzata. Prendendo un esempio emblematico tra i Paesi anglosassoni (USA, Canda, Australia) è da notare come Nel Regno Unito, invece, diversi anni dopo la sua introduzione, il practitioner si inserisce perfettamente nell’ingranaggio del sistema sanitario, partecipando in maniera autonoma e cooperativa nell’erogazione dell’assistenza. Il Royal College of Nursing  definisce l‘infermiere di pratica avanzata come il professionista che opera ad un “avanzato livello di pratica infermieristica” e che abbia completato il master in “advanced practice”. Ha quindi delle conoscenze avanzate indispensabili per l’anamnesi, la diagnosi ed il trattamento del paziente, in modo autonomo e indipendente rispetto alla figura medica. Il livello di “pratica avanzata“ si esplica dimostrando competenza nei contesti descritti dai “four pillars of advanced practice”:

  • pratica clinica; 
  • formazione;
  • leadership e management;
  • ricerca

 Nonostante un gap professionale specialistico evidente, qualcosa nel nostro Paese sembra prendere corpo. Infatti nell’area dell’emergenza e urgenza esiste la figura specializzata, ancora sconosciuta in Italia, chiamata Nurse Practitioner (NP): è un infermiere con competenze avanzate che lavora nel Triage di Pronto Soccorso che, attraverso l’attuazione di protocolli sviluppati per patologie o condizioni cliniche specifiche elaborati e approvati dall’equipe medica ed infermieristica del contesto lavorativo in cui si trova ad operare, avvia procedure diagnostiche a terapeutiche dal momento della presa in carico e assegnazione del codice di Triage fino alla visita del medico di PS. Tutto ciò permette ovviamente di ridurre i tempi d’attesa e di permanenza in PS in quanto, prima della visita, il paziente avrà già eseguito gli esami del caso facilitando la diagnosi medica e successivo trattamento, garantendo riduzione dei costi, miglioramento dei servizi, diminuzione della possibilità che si verifichino eventi avversi, miglioramento della qualità di assistenza erogata e conseguente pieno riconoscimento dell’autonomia professionale dell’infermiere.   

L’esempio del See & Treat

 Il modello gestionale delle urgenze See & Treat nato in Inghilterra, trova spazio in Italia, e si amplia sempre più, grazie ad atti deliberativi della Regione Toscana,  Del. n°958 del 17/12/2007,  Delibera n° 449 del 31/03/2010. Gli infermieri preparati ad hoc tramite percorsi specialistici adibiti al trattamento delle urgenze minori (codici minori), entrano come protagonisti nel progetto della diminuzione delle attese per i codici di bassa priorità nei Pronto Soccorso, conducendo autonomamente le procedure necessarie fino al loro termine, applicando protocolli clinico-assistenziali. Inoltre diviene competenza infermieristica avviare il paziente a percorsi Fast Track, soprattutto per quanto riguarda alcune competenze specialistiche.

Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo

La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa.  Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.

Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore

32.00 €  25.60 €

Studi e contributi

Fairman

Notevole il contributo di Fairman nel 2011, sull’autorevole rivista The New England Journal of MedicineFairman affronta la problematica del futuro, cioè quella di assicurare le cure primarie ad un numero elevato di pazienti, che cresce costantemente, tenendo conto di una lineare continuità di cura e del contenimento della spesa sanitaria. L’autrice richiama alcuni studi condotti per verificare appropriatezza, sicurezza e risultati del lavoro degli infermieri, dimostrando che interventi di prevenzione, diagnosi e gestione di molte comuni malattie acute non complicate, come pure la gestione del dolore cronico o di malattie come il diabete, se affidati agli infermieri sono altrettanto sicuri ed efficaci quanto quelli erogati dai medici. Il focus ruotava intorno alle competenze dell’infermiere di pratica avanzata, ostacolate nei diversi Stati americani da disposizioni restrittive, spesso non giustificate da reali pericoli per la qualità o la sicurezza degli utenti. Gli studi citati da Fairman sono stati oggetto di una revisione della Cochrane (Laurant et al., 2005) nella quale sono stati analizzati 4.253 articoli, dei quali 25, relativi a 16 studi, rispettavano i criteri di inclusione (confronto medico-infermiere nell’erogazione di un analogo servizio di assistenza sanitaria primaria, esclusi i servizi di emergenza). In 7 studi all’infermiere di pratica avanzata era affidato il primo contatto e la presa in carico: i risultati dimostrano che non sono state riscontrate differenze apprezzabili tra medici e infermieri sui risultati di salute dei pazienti, il processo di cura, l’utilizzo delle risorse e i costi. In 5 studi l’infermiere era responsabile del primo contatto per i pazienti che necessitavano di una valutazione urgente del loro problema di salute negli orari di apertura del servizio o fuori orario. Gli outcomes sono simili per infermieri e medici, ma la soddisfazione del paziente è maggiore se il primo contatto è fornito dall’infermiere: l’infermiere, infatti, dedicava più tempo e forniva maggiori informazioni ai pazienti. In 4 studi l’infermiere si faceva carico delle cure continuative a pazienti con particolari patologie croniche. In generale non sono state riscontrate differenze apprezzabili tra medici e infermieri sugli outcomes, il processo di cura, l’utilizzo delle risorse o i costi. Gli autori concludono la revisione affermando che i risultati suggeriscono che gli infermieri adeguatamente formati sono in grado di produrre cure di alta qualità quanto il medico di assistenza primaria e di ottenere risultati di buona salute per i pazienti, sebbene questa conclusione debba essere considerata con cautela, poiché solo uno studio è stato dimensionato per valutare l’equivalenza delle cure: molti studi, infatti, avevano limitazioni metodologiche e il follow-up è stato generalmente a 12 mesi o meno. Nonostante ciò, afferma Fairman, la tendenza è verso la restrizione delle competenze anche per la costante pressione delle associazioni mediche che vedono nell’espansione delle competenze infermieristiche una riduzione del loro ruolo, sebbene non vi sia evidenza alcuna che dimostri che negli Stati dove è già possibile agli infermieri agire competenze avanzate vi sia una riduzione o un danneggiamento dell’attività e dell’immagine del medico.

 

Linda Aiken e Claudia Maier

In un articolo sull’European Journal of Public Health, documentano lo spostamento di compiti che riflettono l’espansione del campo di applicazione dell’infermiere di pratica avanzata in 39 paesi. Il loro lavoro mostra che gli attuali dibattiti sulle leggi sull’ambito di applicazione negli Stati Uniti hanno analoghi in Europa, Canada, Australia e Nuova Zelanda, poiché molti paesi cercano di soddisfare le esigenze di assistenza primaria delle loro popolazioni. Attraverso un sondaggio internazionale di esperti e una revisione della letteratura, Maier e Aiken hanno trovato prove di “spostamento dei compiti” (in cui gli infermieri assumono ruoli avanzati dai medici) in 27 paesi, sebbene a diversi livelli. Hanno identificato tre cluster:

  • 11 paesi con ampi spostamenti (Australia, Canada, Inghilterra, Irlanda del Nord, Scozia, Galles, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda e Stati Uniti) in cui gli infermieri o altri infermieri esperti (NP / APN) esistono nelle cure primarie e sono autorizzati lavorare ad alti livelli di pratica avanzata;
  • 16 paesi con spostamenti limitati in cui i ruoli infermieristici si sono espansi, ma non a livello di NP / APN;
  • 12 paesi senza spostamento di attività.

L’elevato numero di riforme politiche, regolamentari ed educative, come è avvenuto per il nurse prescriber, dimostra una tendenza in evoluzione a livello internazionale verso l’ampliamento del campo di applicazione degli infermieri nelle cure primarie.

 

L'APN nelle Case di Riposo - Infermiere di pratica avanzata
L’APN nelle Case di Riposo

Philpot, Tolson e Morley

L’ inserimento degli APN nelle Nursing Home (Case di Riposo) è stata una meta straordinariamente positiva. Gli’infermieri di pratica avanzata hanno migliorato la qualità delle cure e, ancora più importante, hanno notevolmente aumentato il livello di comunicazione/collaborazione con i medici. Rimane la necessità di affinare i modelli di pratica APN che esistono attualmente. Vi è la necessità di sviluppare la ricerca dimostrare l’impatto sugli outcome. In particolare l’APN si è dimostrato utile in team con il medico nell’assistenza ai pazienti più fragili e complessi.

  

Jacobson, Shelley e Jazowski

In primo luogo, i medici e le organizzazioni di professionisti medici dovrebbero abbandonare la loro posizione di lunga data verso i professionisti non medici (NPP) come fornitori di cure primarie. In secondo luogo, i medici dovrebbero reinventare il modo in ci vengono erogate le cure primarie, incluso il passaggio delle cure di routine ai NPP, mantenendo al contempo la responsabilità per i pazienti complessi e la supervisione delle nuove disposizione in materia di cure primarie.  

 

Conclusioni

Da questo excursus si comprende bene che certamente l’infermiere del futuro non sarà un “medico a metà”, il confine sarà sempre delineato, e velati sconfinamenti, inciampi sulla linea o appropriazione “indebita” di titoli saranno solo delle aberrazioni ottico-professionali, in contesti nei quali è molto vicino il rapporto di equipe. Di sicuro essere un infermiere esperto, un infermiere di pratica avanzata protagonista del rinnovamento in un contesto di autonomia vuol dire sviluppare al meglio le nuove capacità specialistiche, ampliando la formazione ad indirizzo necessaria, come dice l’OMS, per massimizzare la forza lavoro, con la clausola di miglioramento sugli esiti di assistenza e presa in carico. Sarà  il modo per innalzare la qualità professionale ed accettare le nuove sfide che le politiche sanitarie nazionali mettono in campo per la ricerca di soluzioni mirate verso la gestione delle cure primarie e della cronicità. E’ evidente d’altro canto, che nonostante sia alta la voglia di spinta professionale e il miglioramento del bagaglio formativo, molto resta ancora da fare, da più attori: ancora per colpa di un terzo incomodo “destino” professionale gli infermieri esperti, con uno zaino in spalle ricco di sapere, colmo di progetti, che hanno speso gran parte della vita (ed ancora non smettono) a formarsi, sono fermi in un angolo, a fare fotocopie, a fare il giroletti, a piegare per bene l’angolo del copriletto, a spolverare il comodino, a portar le carte da un ufficio all’altro, a non essere riconosciuti nell’essenza del vero prezioso valore acquisito, col silenzio di molti. Si attende una svolta: l’infermiere di pratica avanzata c’è, ma non si vede!

 

Autore: Giovanni Trianni (Linkedin)

 

Bibliografia e sitografia

  • D. M. Goodman, Chicago Physicians Terminated, Replaced with NP’s: Surprising? Medscape 12/2019
  • Regione Toscana Deliberazione 17 dicembre 2007, n. 958 Proposta di sperimentazione del modello “ See and Treat” in Pronto Soccorso come modello di risposta assistenziale alle urgenze minori. Approvazione documento;
  • http://italianursesociety.co.uk/2019/12/30/fabio-caroprese-come-si-diventa-advanced-nurse-practitioner/
  • S. Ruffoni, Fabio Caroprese: come si diventa Advanced Nurse Practitioner, Italian Nurses Society 12/2019; 
  • R. Heale, C. Rieck Buckley, An international perspective of advanced practice nursing regulation: APN regulation, INR 62 (3), 6/2015;    
  • M. Mariani, N. Ramacciati, L’infermiere di pratica avanzata specialista in emergenza: nuove prospettive per il futuro, 38° Congresso Nazionale Aniarti “Think Global, Act local”, Bologna 11/2019;
  • E. Riva, La pratica infermieristica avanzata (Advanced Nursing Practice): Le figure del Nurse Specialist e del Nurse Prescriber in ambito europeo, 2008
  • J.A. Fairman, J.W. Rowe, S. Hassmiller, D.E.Shalala, Broadening the scope of nursing practice 2011 Jan 20;364(3):193-6;
  • L.H. Aiken, Nurses for the future, N. Engl J. Med 2011; 364:196-198
  • M. Laurant, D. Reeves, R. Hermens, J. Braspenning, R. Grol, B. Sibbald, Substitution of doctors by urses in primary care. Cochrane Database Syst Rev 2005; 2:CD001271
  • C. Philpot, D. Tolson,  J. E. Morley. “Advanced Practice Nurses and Attending Physicians: A Collaboration to Improve Quality of Care in the Nursing HomeJournal of the American Medical Directors Association 12.3 (2011);
  • P. D. Jacobson, S. A. Jazowski, Physicians, the Affordable Care Act, and Primary Care: Disruptive Change or Business as Usual? Journal of General Internal Medicine, 2011, 26:8, 934-937.
  • C. B. Maier, L. H. Aiken, Task shifting from physicians to nurses in primary care in 39 countries: a cross-country comparative study, European Journal of Public Health , Volume 26, Issue 6, December 2016, Pages 927–934, https://academic.oup.com/eurpub/article/26/6/927/2616280.

Giovanni Trianni

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