L’empatia dell’infermiere non è un pozzo senza fondo. Salvateci, salvandovi!

Dario Tobruk 01/12/21
Ad oggi il numero dei morti in Italia è arrivato a quasi 134000 persone ma troppo in fretta abbiamo dimenticato come i reparti e le terapia intensive del territorio italiano siano risorse limitate rispetto ad un eventuale esacerbazione della pandemia. Ora sappiamo che questa opzione non è più così inverosimile: abbiamo dimenticato che i pazienti che non accedono a cure di ventilazione protettiva, quando necessaria, spesso virano verso la morte per insufficienza respiratoria.

L’empatia dell’infermiere non è un pozzo senza fondo. Salvateci, salvandovi!

Come abbiamo imparato questi anni, i pazienti Covid+ muoiono senza aver visto i propri cari un’ultima volta, se non nel breve tragitto in pronto soccorso o nel fugace momento in cui vengono prelevati dall’autoambulanze, e prima di farlo il loro sguardo è incorniciato da paura e consapevolezza.

Molti di loro sono stati consci della loro situazione e informati che la prognosi poteva  essere infausta. Molti di loro hanno saputo sin dall’inizio che le cure potrebbero essergli precluse per carenza di risorse e spazi.

Quando fu pubblicato il documento della SIAARTI, quello che in effetti chiariva ai medici anestesisti come e in base a quali fattori “oggettivi” decidere, in assenza di posti letto, a chi concedere maggiori chance di sopravvivenza clinica, ha assunto nel dibattito pubblico e nell’immaginario collettivo un sacro testo di vita o di morte: quanti di noi si sono chiesti se, nel caso, sarebbe degno e graziato dall’anestesista, tentando il tutto per tutto in un ricovero in terapia intensiva, con l’attenzione di medici e infermieri esperti nella rianimazione, nelle cure intensive e nella ventilazione respiratoria.

I pazienti sul filo del rasoio, gli infermieri assistono il loro fragile equilibrio.

Chi scrive è stato impegnato, in questa lotta contro il virus, nelle prime due ondate della provincia bresciana, tra le più colpite in Europa. Quindi, a ragione, parla con cognizione di causa.

Vogliatelo perdonare poi, se appare troppo schietto e ardito nell’invitarvi a scoprire cosa è successo veramente in quei reparti. Cerca soltanto di raccontarvi cosa rode nel cuore dei suoi colleghi e con questo spera di denunciare una grave mancanza di consapevolezza: l’animo degli infermieri non può reggere ancora per molto.

Magari sembrerà strano, visto lo stereotipo da missionario di cui siamo a nostre spese investiti ma, in realtà, l’empatia dell’infermiere non è un pozzo senza fondo.

Se vogliamo salvarci tutti, dobbiamo iniziare a salvarci anche un po’ da soli. Vacciniamoci, teniamo per bene quelle dannate mascherine (a tutti fanno venire il respiro corto e danno fastidio dietro le orecchie, ma tant’é…) e rispettiamo il distanziamento sociale. E ciò che ci viene chiesto. Nulla di più, nulla di meno.


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Medici e infermieri hanno anche loro un limite umano

Quali saranno le ripercussioni psicologiche, fisiche e sociali che i sanitari avranno irreversibilmente pagato con un pezzo del proprio essere?

Quali nuove consapevolezze potranno mai essere ripagate agli infermieri, quando vengono offerti solo pochi spiccioli, quando fino a ieri eravamo considerati al pari di operai fannulloni della sanità ed oggi nel momento del bisogno invece eroi mascherati (dai DPI ovviamente)?

Se poi serpeggia nei corridoi dei reparti un’unica certezza: che dopo tutto questo non cambierà niente, si scorderanno di noi e tutto ritornerà alla normalità.

Le testimonianze dell’inferno

E se questa breve lettera avrà incuriosito qualcuno, la invito con umiltà a leggere le mie due testimonianze dirette, vissute come infermiere durante la prima e la seconda ondata.

Forse non cambierà di una virgola l’opinione di nessuno e si continuerà a vivere la propria giornata come se nulla fosse, ma spero che le prossime scelte siano, almeno, un po’ più consapevoli: decidere se vaccinarsi o meno, se seguire la propaganda anti-vaccinista o informarsi, se seguire la maggioranza silenziosa che ha scelto la strada della responsabilità civile o invece trincerarsi dietro ad un complottismo che nasconde più i propri problemi che quelli del mondo.

Non saranno di certo le mie cronache a cambiare le convinzioni di molte, troppe persone, ma non posso smettere di provarci, e questa mi sembra una carta ancora da giocare.

Mostrarvi con i miei occhi, e le mie parole, quello che è successo dentro l’inferno:

Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)


Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.

Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

15.00 €  14.25 €

Dario Tobruk

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