Iniziare a lavorare in reparto Covid
Circa una settimana fa ho intrapreso il viaggio lavorativo nella professione.
Si, me lo sono proprio scelto di fare l’infermiera, nonostante arrivassi tardi rispetto alla tabella di marcia imposta dalla società, nonostante le rate universitarie da pagare, nonostante tutti i “ma chi te lo fa fare” e i “ma sei proprio sicura” incontrati durante tutti e tre gli anni di corso.
Ebbene, la prima settimana di lavoro è bastata per far fare al mio cervello un’inversione di marcia spaventosa, che mai mi sarei neanche immaginata!
Probabilmente sarà capitato a più di qualcuno quello che sta capitando a me, magari anche in questo preciso momento…e forse è anche per questo che mi sento di scriverci su…l’unione, in fondo, ha sempre fatto la forza!
Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore
15.00 € 14.25 €
La Forza di Essere Infermieri
In questa prima settimana di lavoro, è proprio questo che ho capito: che la FORZA di ESSERE infermieri non te la da la laurea, non te la da l’iscrizione all’albo, non te la danno le mille mila ore di studio…la forza di essere infermieri si allena giorno per giorno, minuto per minuto, in corsia…e anche fuori.
E sottolineo fuori, perché se non è in reparto che si ha il tempo di metabolizzare anche la cosa più stupida, è sicuramente tornati a casa che le emozioni si fanno mare in tempesta, come un pianto che non ha né inizio né fine, onde sugli scogli, per il quale basta un nonnulla per scoppiare.
E allora ode alle lacrime!
Che si pianga, che si gridi, che si tirino pugni ai cuscini, perché mai come in questo momento storico nel quale, per ovvi motivi, si deve vivere ognuno nella sua bolla, è necessario, per una vita dignitosa, non anestetizzare i cuori.
Ogni sentimento, emozione, è lecita.
Per cui mi sono detta che è lecito non aver voglia di tornare in reparto, che è lecito piangere, è lecito avere paura di sbagliare, è lecito non sentirsi all’altezza della situazione.
È lecito si, perché prima di essere infermieri, siamo essere umani.
E allora, mi è venuta in mente un’altra cosa: che se in questo momento non è la forza di essere infermiere quella alla quale posso attingere, per la mia esperienza tendente ancora allo zero, lo è sicuramente la forza del mio sentimento di comunione con il genere umano.
La Degenza Covid
Nella Degenza Covid, la maggior parte dei pazienti è vigile e cosciente. La complessità assistenziale è ovviamente minore rispetto a quella di una terapia intensiva.
Ma adesso, immaginatevi questa persona vigile e cosciente, costretta a stare in questa stanza, con la porta chiusa, e che le uniche persone che vede sono gli infermieri, i medici e tutti gli altri professionisti sanitari che entrano, tutti bardati, a fare quel che devono fare.
Immaginatevi la solitudine come un’onda d’urto che ti si schiaffa sulla faccia, oltre la doppia mascherina e la visiera. Immaginate il bisogno di comunicare con qualcuno.
Immaginate quanto sia difficile per questa persona non buttarsi giù dopo l’ennesimo tampone positivo, o che, dopo qualche giorno in cui sembra di stare meglio, fa fatica ad arrivare al bagno, e allora ri-aumentiamo i litri di ossigeno, rimettiamo la mascherina, che senza manca l’aria.
Immaginate che, intanto, questa persona ha la moglie, il marito, il figlio, a combattere la stessa battaglia in terapia intensiva, e che non sia possibile vedersi. Non è facile, ci vuole forza, ci vuole umanità.
Obiettivi nel lungo termine
Questa prima settimana è stata una doccia gelida, ma non si molla nulla.
Fare l’infermiera è un privilegio; esserlo, adesso, è un obiettivo da coltivare nel lungo termine.
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