Questo è il secondo contributo del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano della sezione “Bioetica” del sito Dimensione Infermiere, che ringraziamo nuovamente per l’ospitalità.
Laboratorio Nursing Narrativo: Vaccinazione AntiCovid-19, dove si collocano gli infermieri?
a cura di Paola Gobbi, Laboratorio di Nursing Narrativo, Milano
nursingnarrativo@gmail.com – gobbip@yahoo.com
Il Covid occupa ancora le nostre vite, personali e professionali, e le nostre riflessioni bioetiche. Il Laboratorio, attraverso il gruppo Facebook omonimo che conta ormai 2350 iscritti, è sempre stato attivo in questi mesi sul tema, pubblicando articoli scientifici ed editoriali a valenza etica di persone autorevoli quali Sandro Spinsanti (Medical Humanities Istituto Giano), Gavino Maciocco (Salute Internazionale), Maurizio Mori e Mario Riccio (Consulta di Bioetica) e pubblicizzando eventi quali quelli dell’Università di Torino e dell’Associazione Luca Coscioni.
Tutto il materiale pubblicato è reperibile nell’archivio storico del gruppo Fb, classificato per argomenti.
Il tema che il Laboratorio affronta oggi è quello della vaccinazione anti Covid 19.
Nel corso degli ultimi tre mesi, man mano che pensavo a come realizzare questo contributo, e soprattutto che taglio dare ad un argomento così vasto e carico di interrogativi etici, tutti noi abbiamo assistito – sia come operatori sanitari che come cittadini – a diversi “cambi di paradigma” sul significato di questa pratica, che hanno via via reso più urgente occuparsi di alcuni aspetti anche etici e tralasciarne degli altri.
Mi riferisco, ad esempio, al dibattito sulla liceità o meno dell’obbligatorietà alla vaccinazione. Inizialmente sembrava un problema da sottoporre al legislatore per la sua soluzione, in vista della “vaccinazione di massa”, tra l’altro timidamente partita solo nelle ultime settimane in tutta l’Italia, proprio per consentire il raggiungimento di quella “immunità di gregge” (tradotto: almeno il 70% di tutta la popolazione vaccinata entro l’estate) che consentirebbe di affrontare con meno rischi di complicanze gravi in caso di remote reinfezioni una possibile nuova ondata autunnale-invernale.
Abbiamo invece constatato che i cittadini erano e sono per la maggior parte favorevoli alla vaccinazione: si sono informati – attraverso i media, il proprio medico, ma anche ascoltando gli infermieri incontrati nei luoghi di cura o di vita – e ne hanno capito la necessità, spesso sperimentando il dolore della perdita repentina e inaspettata di un proprio caro.
La norma per l’obbligo vaccinale si è dovuta creare invece per i professionisti sanitari “no vax”, quelli con il background culturale e scientifico più idoneo a capirne l’importanza e a promuoverla. Alcune centinaia di colleghi infermieri hanno disatteso l’articolo 10 del nostro Codice “L’Infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate dalla comunità scientifica e aggiorna le competenze attraverso lo studio e la ricerca, il pensiero critico, la riflessione fondata sull’esperienza e le buone pratiche, al fine di garantire la qualità e la sicurezza delle attività” e per tale motivo è giusto che siano sanzionati dagli ordini professionali e dalle proprie amministrazioni.
Un altro tema che ha suscitato accesi dibattiti, con strascichi, anche qui, giudiziari, è stato quello relativo ai criteri di priorità all’accesso alle prime dosi di vaccino. Siamo tutti ben consapevoli che ogni giorno di ritardo nel vaccinare grandi anziani, fragili over 60, caregiver di persone anziane e/o disabili equivale ad aggiungere decine di morti al triste bollettino di guerra. Come spiegare ai familiari dei nostri assistiti la sfortuna di aver contratto il virus a febbraio, o a marzo di quest’anno… bastava aspettare due mesi, e forse molte meno lacrime sarebbero state versate.
Come non essere solidali con chi ha perso un proprio caro non per la mancanza di vaccini, ma per la disorganizzazione nell’approvvigionamento, allestimento di spazi idonei, nel reperimento di operatori, nei sistemi inadeguati di prenotazione … e quale giudizio morale riservare a chi ha approfittato di questa “rete a maglie larghe o bucate” per inserire operatori non sanitari, familiari, amici non rientranti nelle categorie di priorità?
Per ultimo affronto lo spinoso e recentissimo provvedimento, firmato dal ministro Speranza e dal Presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga, che autorizza una pletora di professionisti sanitari (dalle ostetriche ai farmacisti, dai tecnici di radiologia e di laboratorio agli operatori della riabilitazione, passando per biologi, podologi e dietisti), a somministrare il vaccino anti Sars-Cov 2.
Commento questa scelta scellerata – che arriva senza neanche aver dato tempo alle amministrazioni di reclutare i propri infermieri nell’attività vaccinale di propria ed esclusiva competenza (insieme agli assistenti sanitari) mediante prestazioni aggiuntive erogate in intra ed extramoenia – prendendo a prestito le parole di un collega autorevole, Danilo Massai, anche presidente dell’OPI di Firenze.
“Cittadini chiedete un infermiere per vaccinarvi”
L’infermiere è infatti l’unico professionista:
- abilitato alla somministrazione di farmaci e vaccini prescritti da un medico
- con competenze relative alla preparazione e diluizione dei farmaci, nonché conosce gli effetti collaterali degli stessi e come si manifestano nella persona assistita
- capace di gestire di dare le corrette informazioni alle persone sulla fase post vaccinale
In questo ultimo anno gli infermieri si sono spesso sostituiti alla politica e all’amministrazione per dare risposte eccezionali, talvolta pagando con la perdita della propria salute, agli effetti devastanti della pandemia.
Una decisione, quella sopra descritta, che mortifica l’intera professione che tanto ha dato come risposta ai bisogni di una poplzione colpita dallo tsumani pandemico e che rischia di rendere vani anni di studi, ricerca, best practices per definire accrescere competenze generali, specialistiche e trasversali “esclusive”.
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