Ha presentato ricorso, ma ha perso rovinosamente ed è stato condannato a pagare anche le spese processuali. ‘Inammissibile’. È così che la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 19853/21 del 19 maggio) ha forse fatto passare per sempre la voglia, a un uomo violento, di dare in escandescenza presso i Pronto Soccorso.
L’aggressione verbale
Il soggetto era stato protagonista di una aggressione verbale, con tanto di minacce di violenza fisica, al personale sanitario di un Dipartimento di Emergenza e Accettazione pugliese. La sua performance aveva causato una perdita di tempo piuttosto rilevante tra le normali attività di emergenza e accettazione, tanto che l’uomo era stato condannato in primo e secondo grado per il reato di interruzione di pubblico servizio.
Ma aveva scelto di presentare ricorso, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, “per avere la Corte territoriale contraddittoriamente e illogicamente escluso che la condotta tenuta dall’imputato avesse causato l’interruzione ovvero il turbamento di un singolo atto e non anche della funzionalità complessiva dell’ufficio”.
Il legale del ‘violento’ aveva altresì sottolineato come la Corte di merito avesse “immotivatamente negato al prevenuto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che avrebbero permesso di adeguare il trattamento sanzionatorio al reale disvalore della condotta accertata”.
La pronunciazione della Suprema Corte
Ma il tutto si è concluso con la sonora e definitiva condanna dell’uomo. I giudici della Suprema Corte hanno infatti ritenuto che egli non avesse debitamente considerato che la Corte territoriale aveva già “condivisibilmente opposto per confermare la configurabilità del delitto di cui all’art. 340 c.p.: avendo i giudici di secondo grado sottolineato come la condotta aggressiva e violenta” perpetrata dal soggetto “all’interno del pronto soccorso dell’ospedale di […] – così come descritta dal medico all’indirizzo del quale quelle minacciose e violente iniziative erano state tenute, e riscontrate dal filmato registrato da una videocamere posta all’interno dei locali fosse durata per un considerevole periodo, tra la mezz’ora e l’ora, provocando una significativa e duratura interruzione ovvero un turbamento di tutte le attività svolte all’interno di quell’importante reparto”.
Interruzione di pubblico servizio e niente attenuanti
Il Supremo Collegio ha voluto spiegare a dovere cosa si vuole intendere per interruzione di pubblico servizio: “Integra il reato di cui all’art. 340 c.p. la condotta che, pur non determinando l’interruzione o il turbamento del pubblico servizio inteso nella sua totalità, comporta comunque la compromissione del regolare svolgimento di una parte di esso”. Quindi una qualsivoglia attività di ‘disturbo’ può essere configurata tale.
Niente attenuanti generiche per il ‘violento’: secondo la Cassazione non vi era alcuna ragione valida per riconoscerle, calcolando anche che egli aveva anche collezionato diversi precedenti penali anche specifici.
Speriamo che questa sentenza, che ci riserviamo di leggere per intero non appena sarà reperibile, funga da deterrente negativo per le tante (troppe) persone che, purtroppo, dopo l’effimero periodo degli ‘eroi’, hanno ricominciato a rendersi protagoniste di episodi violenti ai danni degli operatori sanitari.
Fonte: Studio Legale Parenti
Autore: Alessio Biondino
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