Il counseling infermieristico viene definito come un’azione professionale in cui l’Infermiere Counselor, promuove ed orienta il Paziente/Cliente attraverso sofisticate tecniche comportamentali e psicologiche di relazione, lo induce ad effettuare il cambiamento necessario per soddisfare in assoluta autonomia la risoluzione del suo problema. In poche parole, il counselor aiuta ad aiutarsi.
Quindi il counselling sanitario può essere descritto come l’aiuto non prettamente clinico-farmacologico del paziente e della sua famiglia ad un problema di salute o per promuovere un comportamento di benessere e prevenzione alla malattia (come smettere di fumare).
Il Counselling: strumento dell’Infermiere Counselor
L’Infermiere Counselor non risolve problemi, non da consigli per farlo e neppure si imbatte nella psiche del Cliente, perché così facendo incorrerebbe in una denuncia per abuso di professione di psicologo.
Il Counselor nello specifico può essere un qualunque professionista sanitario (che abbia effettuato corsi specifici e training con professionisti) che, immerso nella sua attività di operatore della salute, operi non solo nella risoluzione del problema attuale del paziente ma lo educhi a prevenirlo attraverso la cosiddetta promozione della salute.
Il Counselling sanitario
La Carta di Ottawa ha definito come promozione della salute:
“IL PROCESSO CHE CONSENTE ALLE PERSONE DI ESERCITARE UN MAGGIORE CONTROLLO SULLA PROPRIA SALUTE E DI MIGLIORARLA.”
Con queste premesse, essendo l’infermiere il professionista con il quale il paziente passa più tempo, può essere considerato come il perfetto candidato a cui richiedere una preparazione specifica nel counseling sanitario.
Non basta semplicemente “saperci fare con le persone”
Il counselling infermieristico, per essere efficace, ha bisogno di una certa dose di tecnicismo: tecniche di autocontrollo, come quelle dell’ascolto attivo tramite cui controllare la nostra interiorità al fine di rendere la relazione più fruttifera possibile.
Spesso infatti, come nella vita di tutti i giorni, il nostro mondo interiore influisce sul comportamento degli altri (una mamma apprensiva influisce in qualche modo sul bambino) e il paziente è una spugna pericolosa soprattutto nei peggiori momenti del vissuto della sua malattia. Per questo una preparazione minima sul rapporto efficace dovrebbe appartenere al background di tutti i professionisti, soprattutto degli infermieri.
La preparazione al counselling sanitario è anche un modo per crescere personalmente (e magari cambiare anche se stessi): si richiede all’operatore un continuo dialogo tra il sé personale e quello professionale, riuscire a discernere e separare i due mondi interni darà il notevole vantaggio, qualunque sia il traguardo raggiunto, di non portare i problemi personali al lavoro o ancora meglio… di lasciare quelli lavorativi in ospedale!
Fare leva per cambiare i comportamenti con il counselling infermieristico
Il rapporto tra operatore e paziente non è un rapporto alla pari. Spesso chi assume la figura del professionista si imbatte nel senso di dipendenza che il paziente ha nei suoi confronti (spesso inconscia anche al paziente). Quindi è bene valutare sempre quali siano i limiti da imporsi per comunicare un messaggio valido e importante, sulla base di cosa comunicare e della modalità più adeguata per farlo.
L’operatore ovviamente avrà bisogno di pochi secondi per comprendere i reali bisogni di salute del paziente (se obeso e fumatore). Purtroppo non sempre (quasi mai) in altrettanti secondi si può modificare il comportamento di un’intera vita di una persona.
Al massimo in qualche secondo un medico sbrigativo può prescrivere qualche farmaco, un infermiere approssimativo quella stessa pillola sarà rapido nel cacciarla in bocca al paziente ed in genere, al paziente non dispiacerà riuscire a risolvere un grosso problema in cambio di una piccola pillolina da mandare giù qualche volta al giorno.
Ma non tutti i comportamenti e tutte le sue conseguenze si possono risolvere con un farmaco. Questo perché il paziente non avverte nel suo presente energia emotiva come l’ansia e la paura di perseverare in un comportamento dannoso. Non sente la tensione che nasce dall’istinto di sopravvivenza.
Spesso il paziente obeso giustifica il suo peso con il piacere di mangiare e nello smettere un abbassamento notevole della sua qualità di vita: il piacere di un comportamento che da godimento nel breve termine è maggiore del rischio statistico di una malattia nel lungo termine.
Contro l’obesità:
A peggiorare le cose, l’idea che spesso non consideriamo i nostri comportamenti come capaci di influenzare il nostro destino: che senso ha smettere di fumare se poi le città sono così inquinate? Chi non ha mai sentito dire da pazienti, amici e parenti: “Con tutta l’aria inquinata che c’è in città se mi deve venire un cancro, mi viene lo stesso!”
E’ estremamente complicato e complesso far cambiare atteggiamento al paziente. Perciò, la comunicazione si deve muovere su doppi binari, anche se non si è alla pari, anche se il paziente non si sente alla pari, bisogna mettersi alla pari.
Un paziente che si affida all’operatore è un paziente deresponsabilizzato, un paziente messo alla pari è un paziente che deve prendere in mano il proprio destino senza troppi giochi. È così che incomincerà a sentire quella giusta tensione che spinge la persona al cambiamento. O prima o poi lo farà un episodio acuto: un infarto spesso fa smettere di fumare.
Il messaggio dovrà essere attentamente calibrato in base alla persona che abbiamo di fronte, alla sua capacità di comprendere, alla sua educazione, alla sua età.
Non basta prescrivere un comportamento
Non basta prescrivere un comportamento ad un obeso: “Lei deve dimagrire, non mangi tanto e si muova ogni tanto!”. Bisogna esplorare con il paziente tutte le possibilità per raggiungere quei determinati obiettivi secondo le caratteristiche psicologiche e lo stile di vita del paziente.
Bisogna anche considerare che i benefici a lungo termine non vengono percepiti dal paziente vantaggiosi rispetto all’immediato piacere dei vizi, smettere di fumare fa sentire più nervosi per i primi mesi, solo dopo qualche annetto si possono apprezzarne completamente i benefici.
Quindi è bene utilizzare le migliori tecniche motivazionali, innestare nel paziente un germoglio di cambiamento, come se fosse stato il paziente stesso ad averlo pensato e voluto, come se avesse deciso tutto assolutamente da solo.
Questo razionale riassume in poche parole cosa si intende per essere un buon Infermiere Counselor: “una guida alpina non prende in braccio il suo cliente, gli indica solo la via migliore per scalare la montagna!”
Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento