Un infermiere italiano racconta l’Afghanistan: “Si lavora in una condizione di conflitto permanente”

Roberto Maccaroni, infermiere presso il pronto soccorso degli Ospedali Riuniti Torrette di Ancona, è stato per ben tre volte in missione in Afghanistan (nel 2011, 1015 e 2017), nel nosocomio di Lashkar-Gah di Emergency.

‘Un conflitto permanente’

In un’intervista per Cronache Ancona, ha raccontato come negli ultimi 20 anni ogni zona del paese abbia “avuto momenti di intensità variabile, passando dai periodi tranquilli alle recrudescenze di un conflitto permanente”.

La guerra ‘come una cosa normale’

La guerra come un problema cronico con cui convivere, quindi. Anche se, come spiega l’infermiere, “Noi operatori sanitari dovremmo sempre sforzarci di non farla diventare come una cosa normale, ma il rischio c’è”.

Perché “Ci sono colleghi che hanno meno di 40 anni: loro sono nati in una situazione dove gli scontri già c’erano, e sono diventati adulti in una condizione di conflitto permanente”.

‘Come l’influenza stagionale’

La cosa più triste e interessante, Roberto la racconta parlando dei pazienti: “Sono quasi tutti civili che presentano ferite dovute alla guerra e, quindi, legate alle pallottole o alle schegge derivate dalle esplosioni.

Ma se qualcuno viene ferito è come se fosse una cosa normale, un evento da mettere in conto. Faccio sempre questo paragone: in Afghanistan, la guerra è una malattia endemica. È come per noi l’influenza stagionale. Se la si prende, è normale”.

‘Tra i colleghi c’è preoccupazione’

Per fortuna, al momento, i presidi di Emergency rimarranno operativi: “Ci sono tre ospedali e vari first Point aid. Dal punto di vista operativo, nulla è cambiato, seppur con qualche incremento di accesso dei feriti.

È rimasta una parte del personale internazionale, qualche collega l’ho sentito, c’è preoccupazione, si stanno succedendo fasi concitate. C’è un senso di incertezza tra il personale locale, ovviamente”.

‘Non abbiamo mantenuto le promesse’

Relativamente alle angosciose immagini dei civili che cercano disperatamente di lasciare il paese, l’infermiere anconetano racconta di aver “provato un grandissimo dolore. Ma non solo: “Il sentimento è caso verso quei colleghi che, nel tempo, sono diventati miei amici. Capisco il senso di smarrimento estremo che un abitante afghano può provare.

E non posso pensare alla rabbia provata per tutto quello che è stato promesso negli ultimi 20 anni. Ce ne siamo andati senza creare alcun tipo di passaggio. Abbiamo lasciato un paese con un ‘arrivederci’ e basta. Qualcuno, prima o pi, dovrà farci i conti”.

Autore: Alessio Biondino

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Alessio Biondino

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