Arrivano i Super OSS: come temevamo la Giunta Regionale del Veneto, su proposta dell’assessore alla sanità Manuela Lanzarin, ha approvato il percorso di Formazione complementare in assistenza sanitaria dell’Operatore Socio Sanitario.
Infermierini a basso costo
Ciò significa che nella realtà i “Super OSS”, grazie a questo corsetto che si propone di trasformarli in pseudo infermieri a basso prezzo, avranno licenza di compiere ripetuti e pericolosi abusi professionali indisturbati e in pressoché totale autonomia.
Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato di categoria Nursing Up, ha espresso in un nuovo comunicato tutta la sua amarezza per questa che rappresenta una ennesima, triste pagina per l’infermieristica italiana. Riportiamo qui per intero la nota.
Nursing Up: “Realtà amara e indigesta”
«Il Governo della Regione Veneto non si è fermato. Il Decreto dei Super Oss, che presto saranno formati e instradati dagli infermieri, come per stendere un velo di pudore sul fatto che poi saranno chiamati a svolgere alcune delicate attività afferenti alla prassi infermieristica, è un’amara realtà.
Potremmo dire tante cose, ma vorrei partire da ciò che si legge sulla stampa corrente, e quindi del volo pindarico dell’assessore Manuela Lanzarin, che sostiene che questi “nuovi OSS” non andranno affatto a sostituire gli infermieri.
Sono onestamente molto discutibili le sue parole, dal momento che, di fatto, a questi OSS verranno attribuite presto competenze che nella prassi quotidiana vengono garantite da professionisti infermieri, che operano in forza di uno specifico percorso di studi universitario, curricula che, senza meno, gli OSS non hanno alle loro spalle.
Per come la vediamo noi, la realtà è amara e indigesta come la peggiore delle medicine: si sta solo cercando di tappare la falla enorme della carenza strutturale di infermieri giunta pericolosamente all’apice. Ma così di certo non si risolve il problema, perché ancora una volta la debole toppa reggerà poco, e il buco continuerà inesorabilmente ad allargarsi.
Operatori “improvvisati”
È questo il modo corretto di affrontare le nuove sfide e le nuove emergenze sanitarie che si porranno davanti a noi? Stiamo parlando di ostacoli che rischiano di diventare insormontabili.
Non contano davvero nulla le rinnovate esigenze della sanità territoriale legate al nuovo PNRR Missione 6?
Non conta davvero nulla che, per coprire il fabbisogno immediato di una popolazione destinata sempre più all’invecchiamento e alle patologie che ne conseguono, occorrono, di fatto, le qualità di professionisti preparati, forti di un solido percorso di studi?
Io direi che non abbiamo bisogno, con tutto il rispetto, di operatori “improvvisati” a svolgere funzioni che non gli competono.
Con la salute dei cittadini non si scherza
Se gli infermieri di fatto non ci sono, e in Italia ne mancano 80mila, il problema certo non si risolve creando figure che svolgono attività surrogatorie di quelle che la prassi attribuisce agli infermieri, come la terapia iniettiva, il controllo delle infusioni ecc.
Qualsiasi eventuale surroga, anche se limitata a specifiche attività, presuppone, alla base, il necessario livello di conoscenze e competenze atte a sostenerne la relativa assunzione di responsabilità.
La salute degli italiani non è uno scherzo. Non siamo in un ristorante dove tu scegli di pagare 10 euro per 6 portate, consapevole di mangiare pesce congelato che sa di acqua e poco più, oppure un dolce al cioccolato che di cioccolato vero non ne ha affatto.
Qui siamo nel mondo della sanità, e un Paese civile dovrebbe fare in modo che la cura della salute dei suoi cittadini sia al primo posto.
Applicando lo stesso principio della surroga universale, noi ci chiediamo cosa succederebbe, per assurdo, se un giorno dessimo agli OSS alcune competenze tipiche dei medici, facendogli frequentare un corsetto di 400 ore. Come reagirebbero i sindacati e gli Ordini dei medici italiani secondo voi?
Una sanità “malata cronica”
A nostro avviso manca palesemente la volontà di cambiare le cose in positivo, e quindi di far guarire “con le giuste medicine” una sanità malata cronica agendo sull’unica leva possibile, e cioè aumentando il numero dei professionisti infermieri, quelli che mancano, per agire positivamente sulla qualità delle prestazioni offerte ai cittadini.
Voi affidereste un vostro congiunto ad un operatore che molti già chiamano “una specie di infermiere”, ma che di fatto, e con tutto il rispetto, non è un infermiere?
Vanno individuati, finalmente, i percorsi idonei per integrare le professionalità che mancano all’appello e non è assolutamente accettabile immaginare di risolvere una carenza strutturale, che ha toccato l’acme della gravità, con piani di azione che fanno acqua da tutte le parti.
Altro che valorizzazione e appetibilità
Quando qualcuno asserisce che questa nuova figura dell’OSS sarà riconosciuta dall’Aran, ha forse dimenticato che senza la necessaria condivisione delle organizzazioni sindacali, l’Aran non potrà dare il via a nessun riconoscimento di nuovi inquadramenti contrattuali, e che allo stato dell’arte, almeno per quello che a noi consta, ai sindacati che siedono al tavolo negoziale nazionale non è stata ancora data contezza “su una eventuale ipotesi di specifico riconoscimento di questa particolare tipologia di OSS generata dalla Regione Veneto”.
I contratti nazionali, nel nostro Paese, vengono “concordati” tra datore di lavoro ed Organizzazioni Sindacali, sempre che queste ultime siano d’accordo, e si applicano in tutte le Regioni e non solo nel Veneto.
Peraltro, ci fa specie che questa ipotesi arrivi nel pieno di una trattativa contrattuale delicatissima, dove sindacati come il nostro battagliano da mesi affinché infermieri con tanto di percorso di laurea ottengano quella valorizzazione che attendono da tempo.
La domanda che allora torna preponderante è la seguente: è meglio riconoscere e valorizzare gli infermieri che ci sono, creando una condizione contrattuale di appetibilità per i giovani verso la professione, oppure prevedere figure che, pagate di meno possano surrogare questi ultimi in alcune specifiche attività?
La speranza
La speranza è che altre Regioni non seguano l’esempio del Veneto. È una questione di responsabilità verso i cittadini, che meritano una sanità gestita da professionisti che occupino posizioni consone al loro percorso di studi, livello di responsabilità ed esperienza. Serve realizzare un mosaico armonico e coerente, e non un puzzle impasticciato, che sotto il profilo qualitativo non vedrà mai la giusta forma e colore».
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