Stress, insoddisfazione e bassi salari
Cercare di raccontare ai nostri lettori, per la maggior parte infermieri appunto, i motivi per cui tanti infermieri vogliono lasciare il lavoro sembra un’inutile esercizio di stile, eppure può ancora risultare utile scoprire che le proprie motivazioni siano condivise da così numerosi colleghi.
La prima cosa da sapere è che diversi studi e rapporti, che raccolgono le intenzioni di abbandonare la professione infermieristica, riscontrano un dato comune in molti paesi nel mondo: un terzo degli infermieri afferma di voler abbandonare il proprio posto di lavoro, di questi un successivo terzo è intenzionato a cambiare addirittura professione.
Nonostante due anni di pandemia, le aziende con molta difficoltà sembrano aver compreso che gli eccessivi carichi di lavoro, gli straordinari, la pochissima flessibilità vita privata-lavoro (work-life balance), gli stipendi risicati e la bassa considerazione socio-culturale al netto di così tante responsabilità potrebbero spingere qualsiasi persona a riflettere attentamente sulle proprie scelte di vita professionale.
A maggior ragione per quelle persone che, ancora in forza di età, voglia di crescita personale e motivazione, trovano in altre strade uno specchio delle proprie ambizioni.
Ricordiamo che l’Italia, in particolare, è quel paese dove si laureano più medici che infermieri. Un paese, il nostro, dove il rapporto medici/infermieri è nettamente al di sopra della media europea. Questo fatto di per sé è un chiaro segnale che sin dai primi momenti formativi la professione infermieristica viene snobbata dai giovani.
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L’infermiere esperto o specializzato non viene valorizzato
Quando si aprono le iscrizioni ai master, non è raro notare che, a parte il Master in Coordinamento, nelle altre specializzazioni spesso non viene raggiunto il numero di iscritti necessario per iniziarli.
Non tutti hanno ambizioni da coordinatori, e chi ha interessi diversi non è sicuro e spesso desiste dall’intraprendere una certa strada per non sobbarcarsi il rischio di sprecare soldi e tempo.
Il perché di ciò risiede nel fatto che l’infermiere esperto e/o specializzato non viene valorizzato: nella sanità all’infermiere non viene richiesta alcuna specializzazione e questo è motivo di frustrazione per l’infermiere che vuole crescere professionalmente.
Spesso molti infermieri preparati in un determinato campo, dove hanno speso risorse economiche, personali e tempo per conseguire un titolo specializzante, si ritrovano scavalcati da altri infermieri, sicuramente meno preparati, per motivi sicuramente non meritocratici (e qui vi lascio alla vostra immaginazione).
Ho visto infermieri talmente preparati in un determinato campo scientifico da diventare dei punti di riferimento nel panorama scientifico di settore ma completamente ignorati dalla propria azienda.
Infermieri specializzati che potrebbero fare la differenza, con una produttività altissima che invece vengono impiegati in reparti dove la loro professionalità viene svilita e sprecata.
Infermieri che potrebbero far risparmiare decine di migliaia di euro alla propria azienda ogni anno con le loro expertise e che potrebbe svolgere un ruolo di consulenza per gli infermieri, e persino per i medici, delle unità operative di un intero ospedale o del territorio:
- l’infermiere specializzato in wound care potrebbe assistere pazienti e colleghi al trattamento e prevenzione delle lesioni da pressione;
- l’infermiere specializzato negli accessi vascolari potrebbe sostituire l’assistenza dell’anestesista nei casi di difficile reperimento venoso;
- l’infermiere sonographer può eseguire ecografie tecnicamente valide pronte per la diagnosi medica;
- l’infermiere di famiglia e comunità può contribuire a ridurre i disagi dovuti alla carenza di medici di medicina generale.
e potremmo continuare all’infinito. Le cause? Una cultura medico-centrica, retrograda e persino anacronistica, dove la dirigenza aziendale è pronta a seguire i principi del liberismo quando conviene (aziendalizzazione, bilancio, efficienza, ecc…), e fa tutto l’opposto quando questi potrebbero far perdere parte dei poteri cristallizzati in anni di supremazia politica e gestionale.
Perché l’infermiere esperto si licenzia?
Vari fattori sono implicati nell’insoddisfazione lavorativa. Uno studio di circa 30 anni fa (Prescott e Bowen 1987), per quanto datato, rappresenta ancora oggi un’attenta scala degli aspetti che l’infermiere ritiene rilevanti nel proprio lavoro per renderlo soddisfacente:
- carichi di lavoro equilibrati;
- tempo da dedicare ai pazienti;
- programmazione flessibile dei turni;
- rispetto da parte dell’organizzazione;
- sviluppo delle conoscenze;
- opportunità di carriera;
- lavoro avvincente;
- remunerazione;
- autonomia decisionale.
In base a questa scala è chiaro che si possa dividere in due le aspettative dell’infermiere, che prima di tutto è un lavoratore desideroso di vivere una vita professionale degna e stimolante. I primi punti rappresentano la base di un lavoro “umano” in cui l’infermiere possa esprimersi come Persona in un sistema e non come Schiavo di un sistema.
Dal 5° al 9° punto, l’infermiere si esprime e richiede il rispetto per la propria professionalità e l’avanzamento delle proprie conoscenze. Chiede di potersi mettere in gioco come qualunque altra professione sanitaria.
I costi sociali di un infermiere esperto che cambia lavoro
Nonostante questo, le aziende sanitarie sottovalutano i costi di un infermiere esperto o specializzato che lascia il proprio lavoro.
Questi costi sono diretti nel momento in cui un infermiere negli anni sia stato comunque formato con corsi necessari al corretto svolgimento del proprio lavoro o per adempiere ad obblighi legislativi (ad esempio sul tema della 81/08 o i costosissimi corsi per addetti anti-incendio) e indiretti nel caso in cui vengono impiegati altri infermieri neo-assunti per coprire il posto del precedente lavoratore: il costo per formarlo e inserirlo e il costo della minore produttività del personale esperto incaricato di addestrarlo.
Per quale motivo si continua a sottovalutare il vantaggio economico e professionale di un infermiere esperto e/o specializzato e spingerlo a cambiare lavoro?
La catena di comando ancora in atto e mantenuta da regimi attualmente e legalmente inesistenti mantengono l’infermiere sospeso in un limbo paradossale.
Da una parte, all’infermiere, viene chiesto il meglio della propria professionalità per aumentare sicurezza e produttività, ma quando questo avviene, la professionalità si esprime in un infermiere specializzato in grado di pestare i piedi a troppe persone e professionisti, soprattutto medici.
Ed ecco che questa professionalità verrà sommessa al tal punto che non sia in grado di erodere il prestigio storico ma sempre più precario a cui altre professioni si aggrappano per non perdere la propria fragile identità sociale.
L’infermiere specializzato fa due conti, al netto di uno stipendio da operaio, la responsabilità di un dirigente sanitario e la soddisfazione lavorativa di un paria indiano, forse è meglio pensare ad altro.
E spesso fuori, in un qualsiasi altro lavoro, professione o mestiere che sia, l’ormai ex-infermiere si accorge che non si sta poi così male, e l’unica cosa che rimpiange è non averlo fatto prima.
Spesso cambiare lavoro è davvero un’ottima soluzione, che senza alcun dubbio danneggia la società nel suo complesso e salva l’individuo dall’autodistruzione ma, come dicevano saggiamente i latini, ad un certo punto: “mors tua, vita mea!“.
Autore: Dario Tobruk
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Per approfondire:
https://www.dimensioneinfermiere.it/studiare-infermieristica-non-conviene/
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