Marika perché hai deciso di andare via dall’Italia?
Sono partita essenzialmente per mancanza di lavoro. Tramite amici miei, mass media e Facebook, ho maturato la convinzione che in Inghilterra ci fosse molta richiesta di infermieri e così sono andata. Ho trovato lavoro grazie un’agenzia italiana con sede a Dublino che mi ha inserito immediatamente nell’organico di una struttura pubblica, anche se consapevoli che il mio livello d’inglese fosse scarso, dopo una sola settimana di training e due di affiancamento mi hanno immediatamente lanciato in questa esperienza.
Quali sono state le maggiori difficoltà che hai riscontrato?
Io sono stata catapultata dentro quella struttura pubblica praticamente senza conoscere nulla di quel sistema. Non mi hanno dato gli strumenti per migliorare il mio livello di inglese, le tre settimane in totale di training e affiancamento non possono assolutamente colmare un gap così evidente. L’interesse vero di queste agenzie è buttarti nella mischia senza avere la minima cura del tuo futuro, loro pensano solo ad intascare fino a tre mila euro per ogni persona che riescono ad inserire nel sistema nazionale inglese, senza preoccuparsi in alcun modo di metterti nelle condizioni di fare bene.
Appena inserita in organico sono stata lasciata praticamente sola quasi dall’inizio, io avevo delle ottime conoscenze pratiche, ma il sistema inglese richiede soprattutto una conoscenza teorica (ovviamente in lingua) delle varie procedure, pure per fare un prelievo dovevo prima riempire un mare di carte. La difficoltà più grande è stata affrontare questo cambiamento per il quale non sono stata preparata e informata. Io non ho potuto sfruttare le mie qualità, in realtà al Royal Berkshire Hospital di Reading che è una città a mezz’ora da Londra, mi è sembrato solo di aver fatto professionalmente un notevole passo indietro.
Considera la frustrazione, infatti, se tutte le conoscenze acquisite non le puoi utilizzare, ma ti devi attenere esclusivamente ad una serie di procedure burocratiche che non conosci, così in poco tempo ho perso anche credibilità nei confronti degli altri colleghi.
Come si relazionano gli inglesi con un nuovo infermiere italiano?
Certamente non ti mettono a tuo agio, appena loro vedono che hai un modo di lavorare differente non sono disposti a scendere a compromessi e non accettano questa differenza in nessun modo. Loro fanno un lavoro che è pressoché teorico, lasciando la pratica da parte. Inoltre la cosa più importante e per la quale non mi sono sentita bene è il mobbing del quale sono stata vittima e dal quale mi sono dovuta difendere fin dal principio, inoltre loro hanno dimostrato un grande livello di razzismo contro i lavoratori stranieri.
I sanitari locali tendono a privilegiare gli inglesi. Appena vedono che non raggiungi i loro standard, anche solo per una fisiologica necessità di adattamento, sono immediatamente propensi a farti sentire a disagio e fuori luogo. A me, dopo qualche mese, hanno fatto pure firmare un documento “action plan” del quale sconoscevo completamente il significato e che nessuno ha provveduto a spiegarmi. In pratica è un piano nel quale vengono prefissati degli obiettivi, se non li raggiungi entro un determinato lasso di tempo loro ti licenziano, ma io ero completamente all’ oscuro di tutto.
La cosa più incredibile è che non ti spiegano cosa stanno facendo e più in generale se tu commetti un piccolo errore non ti dicono in cosa stai sbagliando, ma ti lasciano proseguire e poi, al termine del rapporto di lavoro ti dicono cosa non andava bene.
Loro, in pratica, non ti formano professionalmente in nessun modo. Come me, alcuni colleghi italiani hanno avuto le stesse identiche esperienze ed impressioni sul razzismo e sul mobbing subito.
Se vuoi sapere come difenderti dal mobbing infermieristico:
Come è terminata questa esperienza? Hai avuto altre occasioni?
Alla fine hanno fatto sì che mi dimettessi. Dopo sette mesi di lavoro secondo i loro parametri non avevo raggiunto i loro obiettivi. Poi ho avuto un’altra esperienza sempre nell’ambito del servizio sanitario inglese, questa è stata ancora peggiore ed è durata solo tre mesi. La ragione di questo insuccesso è che ormai avevo delle cattive referenze frutto del mio pregresso periodo di lavoro. Il livello di Mobbing e scortesia in questo nuovo ospedale è stato ancor maggiore, così ho deciso dopo quest’anno di esperienza di tornare in Italia fra qualche mese.
Che consigli senti di dare a chi volesse intraprendere questo percorso.
Certamente di informarsi bene sulle difficoltà del territorio e soprattutto di non farsi illudere dalle agenzie che propongono tutto come molto semplice. La realtà è che qui non è consentito essere in alcun modo incerta nei tuoi primi passi, non puoi concederti errore se non vuoi essere tacciata come una persona incompetente e ancor peggio trattata male professionalmente ed umanamente.
Ritengo che sia necessario prepararsi al meglio, avere un’ottima conoscenza dell’inglese e magari vivere un periodo in Inghilterra prima di lasciare che altri ti scaraventino direttamente dentro gli ospedali.
Mobbing e Razzismo in Inghilterra, questa è l’esperienza di Marika
A cui -ovviamente- auguriamo il meglio, la sua esperienza è preziosa quanto quella di tutti gli infermieri italiani che lavorano all’estero ogni giorno. A tutti loro l’augurio di buon lavoro!
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