Di seguito, ecco l’intervista sincera ed autentica ad una importante espressione di competenza ed entusiasmo made in Italy, trasferitasi in Uk per fare l’ostetrica a Londra.
Oriana Territo, è una giovanissima ostetrica che lavora a Londra presso il Newham University Hospital e che è riuscita, in poche battute, ad esprimere il senso più profondo della sua esperienza fatta di coraggio, attenzione verso i dettagli professionali della sua nuova vita ed impegno, il tutto senza dimenticare le origini italiane ed il desiderio di trasporre le nuove competenze acquisite nel nostro territorio.
Fare l’ostetrica a Londra: differenze tra Uk e Italia
Un’indagine accurata mediante la quale questa giovane professionista della sanità non ha mancato di evidenziare i tratti di distinzione tra il sistema sanitario italiano e quello inglese: “Mi preme moltissimo fare presente una importante differenza tra l’Italia e un paese come l’Inghilterra, che investe sulla ricerca e ascolta i bisogni delle donne e dei suoi futuri cittadini”.
Un’intervista da leggere d’un fiato non solo per chi si affaccia al mondo del lavoro, ma anche per chi è alla ricerca di nuove fonti di ispirazione per la propria vita professionale.
Qual è stato l’impatto con la realtà inglese?
“L’impatto con la realtà Londinese è stato abbastanza duro. Londra, a differenza di altre realtà inglesi più piccole, è una metropoli in cui è difficile integrarsi in breve tempo e fare conoscenze. Gli affitti sono molto alti, i mezzi pubblici sono efficientissimi ma costano, tantissimi posti in cui ti piacerebbe passeggiare sono troppo lontani da casa e in sei mesi a Londra hai probabilmente visto solo la metà dei posti che un turista visita in una settimana di vacanza. Avere delle conoscenze già prima di partire è sicuramente un passo avanti ma questo non vuol dire che vivere qui sia un disastro!
Dopo i primi mesi le difficoltà si appianano, la mappa della metro diventa tua amica, l’Inglese non sembra più una montagna insormontabile tra te e la gente, impari a conoscere i quartieri e tutto quello che una realtà come Londra ti offre, prima fra tutte: il lavoro!
A posteriori, definirei il mio un impatto stressante ma incoraggiante. Ho passato dei momenti difficili, tornavo a casa dopo 12 ore di lavoro e 2 di viaggio, la mancanza dalla famiglia e dagli amici, la preoccupazione di non sapere mai abbastanza, il fastidio nel non poter comunicare come volevo in una lingua diversa dalla mia e l’ansia di rispondere al telefono e non capire.
Nonostante questo, non c’è stato mai un solo momento in cui ho pensato di voler tornare indietro perché mi sono sentita sempre supportata dalle persone che conoscevano il motivo della mia scelta e, soprattutto, il mio ospedale e le mie colleghe mi hanno dato tempo e strumenti per imparare gradualmente e superare le mie incertezze.
Tutte qui veniamo trattate allo stesso modo, con rispetto, empatia e professionalità. Ogni neo laureata (indipendentemente dal paese di provenienza e dell’età) viene sottoposta ad un periodo di inserimento in azienda chiamato “preceptorship” in cui riceve una formazione obbligatoria di circa due settimane relativa ad aggiornamenti professionali sulle emergenze ed altri aspetti della professione, per poi andare incontro ad un periodo di rotazione lavorativa variabile tra i 9 e i 12 mesi su tutti i reparti ostetrici per sviluppare tutte le competenze necessarie a lavorare ovunque ed in autonomia; insomma, un perfetto schema di supporto per chi non conosce le linee guida inglesi e ha bisogno di orientarsi.”
Cosa vuol dire fare l’ostetrica a Londra?
“Fare l’ostetrica a Londra significa un insieme di cose. Prima fra tutte conoscere donne provenienti da tutto il mondo ed imparare a comunicare con loro nel senso più ampio in cui si possa intendere la comunicazione. Durante la gravidanza ed il travaglio del parto le donne diventano portavoce di diverse culture, tradizioni, credenze e canali comunicativi di paesi lontani e mondi a te sconosciuti che impari ad interpretare, criticare ed apprezzare.
Seconda a questa la collaborazione con un team di colleghe e medici usando come minimo comune denominatore la filosofia di assistenza inglese, rinomata come una delle migliori in campo ostetrico. All’università impariamo quanto sia importante offrire un’assistenza basata sulle evidenze scientifiche e la ricerca. Qui questo aspetto è tangibile e concretamente applicato da tutti per tutti, molto più di quanto non lo sia in Italia.
Mi preme moltissimo fare presente una importante differenza tra l’Italia e un paese come l’Inghilterra, che investe sulla ricerca e ascolta i bisogni delle donne e dei suoi futuri cittadini: l’esistenza dei “birth centre”, in cui ho iniziato a lavorare dopo il mio preceptorship.
Un birth centre è un luogo in cui le donne senza fattori di rischio ostetrico (nonché donne sane la cui gravidanza non ha presentato delle complicanze) possono recarsi a partorire usufruendo di ampie camere con un letto anche per il compagno, una vasca per l’idroterapia in travaglio, un’ostetrica tutta per sé, una assistenza non “medicalizzata” e basata sul principio del rispetto dei suoi tempi, sull’assoluta non-interferenza di un processo naturale quale è il parto e l’avvio dell’allattamento, a meno che non si presentino complicanze “in corso d’opera”.
In Italia questo viene permesso solo dalle pochissime case maternità private a cui si rivolge un numero sempre più alto di donne in cerca del rispetto della fisiologia, non sostenuto dal Sistema Sanitario Nazionale.”
Quali sono le difficoltà maggiori che hai incontrato e continui ad avere?
“Fare l’ostetrica a Londra ha un impatto molto soggettivo a seconda del reparto in cui si lavora, del proprio livello di inglese e delle prevalenze etniche della zona in cui si trova la propria azienda sanitaria. Sicuramente la difficoltà maggiore è stata la barriera linguistica e la mancanza di esperienza lavorativa, ma il tempo mi è stato galantuomo.
La difficoltà che continuo ad avere è il non potermi esprimere al 100% come nella mia lingua, ridurre i concetti che voglio esprimere ad una semplice frase quando vorrei dirne cento.
Ho trovato abbastanza complicato anche l’adattamento ai turni di 12 ore e alla frenesia di un ospedale affollato, in cui spesso non avevo nemmeno una pausa pranzo o non riuscivo a fermarmi e bere un bicchiere d’acqua pur amando il motivo per cui lo stavo facendo, nonché assistere in silenzio alla nascita di una vita.
Fortunatamente, da un breve periodo a questa parte vivo una situazione lavorativa molto differente e qualitativamente migliore in quanto sono passata al lavoro sul territorio in “case loading”: faccio parte di un piccolo team di ostetriche che segue le donne in gravidanza sin dal primo appuntamento, le assiste durante il parto e le segue a domicilio durante il puerperio.
Questo, ancora una volta, è il motivo per cui in Italia una donna è spinta a cercare un libero professionista che possa offrirle una continuità dell’assistenza professionale e la costruzione di un rapporto di fiducia che ricorderà per il resto della sua vita.
Questo è anche ed essenzialmente il motivo per cui sono sicura di voler tornare in Italia ed offrire alle donne tutto quello che ho imparato e continuerò ad imparare da questa esperienza, che solo questo Paese poteva offrirmi.”
Cosa ti ha spinto ad andare via dall’Italia?
“Mi hanno spinta 3 fattori: la necessità di fare esperienza dopo la laurea in tempi accettabili; un intraducibile termineconcetto della lingua inglese che adoro scrivere sempre: wanderlust, il forte desiderio di viaggiare e conoscere; il poter finalmente metter in pratica tutto quello che mi hanno insegnato all’università, difficilmente “applicabile” nella realtà Italiana date le tempistiche infinite per ottenere un lavoro e la supremazia indiscussa della casta dei ginecologi ed ecografisti a sfavore dell’arte ostetrica. “
Con la Brexit hai notato qualche differenza nella vita di tutti i giorni?
No, la Brexit non esiste ancora e non c’è nessun limite nell’assunzione o progressione di carriera di uno straniero al momento.
Gli ospedali di Londra sono alla ricerca costante di personale e le laureate Italiane sono sempre ben viste, data la nostra ampia preparazione teorica, un po’ più ampia di quella universitaria inglese oserei dire.
L’unico “sbarramento” alle straniere, se così vogliamo chiamarlo, sta nell’obbligo di superamento di un test di livello della lingua inglese, ma questo è stato introdotto già molto prima del referendum sulla Brexit. La maggior parte degli ospedali ha comunque provveduto ad offrire corsi di lingua gratuiti per agevolare i potenziali candidati ai colloqui.
Hai qualche consiglio per chi si trova nella situazione di fare una scelta di vita simile alla tua?
“Sì, forse. Per molti andare all’estero nasce come una voglia di fare esperienza di qualcosa di diverso per poi tornare al nido e pensare all’esperienza successiva. Per altri trasferirsi all’estero diventa gradualmente una scelta di vita perché si realizza di stare meglio che in Italia, o forse perché questa diventa l’unica scelta possibile.
Ognuno costruisce la propria storia come crede o per come gli è concesso ma mi domando come sia possibile un cambiamento del nostro Paese senza i giovani e senza chi ha conosciuto realtà da cui prendere esempio che non vuole più tornare a casa.
In certi momenti penso che partire sia essenziale anche senza una motivazione forte. Partire e basta, conoscere nuove persone, nuove strade e nuove cose, imparare un mestiere.
A volte, quando cammino per le strade del quartiere del mio ospedale tra il traffico, le bancarelle asiatiche, le donne col burqa e gli studenti Afro-Inglesi mi domando ancora cosa ci faccia qui ed ogni volta mi rispondo sempre allo stesso modo: forse quando me ne andrò lo capirò.“
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