Quello dell’infermiere è un lavoro EMOZIONALE
Iniziamo con il comprendere cosa sia un lavoro emozionale; questo presenta quattro significati principali:
- Lavoro emozionale come prodotto ( l’emozione dell’agente viene inserita in uno specifico processo produttivo – nel nostro caso infermieristico -)
- Lavoro emozionale come sforzo soggettivo ed abilità (ogni professione richiede uno sforzo maggiore o minore di empatia e conseguenti abilità che permettono di relazionarsi costantemente con le emozioni altrui)
- Lavoro emozionale come lavoro stressante (coinvolgimento/sconvolgimento rappresentano due facce della stessa medaglia per l’operatore socio-sanitario che entra in contatto giornalmente con migliaia di emozioni)
- Il lavoro emozionale come lavoro “su di sé” (la professione infermieristica mira a superare i limiti delle modalità d’approccio alle persone, i quali sono continuamente influenzati dal vissuto, dal modo d’essere e dall’esperienza di quello che è prima di tutto un essere umano, il quale svolge anche il lavoro d’infermiere).
Quando la percezione sensibile diviene tangibile!
La professione infermieristica svolge molte delle sue mansioni toccando fisicamente i pazienti, ciò richiede un quantitativo di coraggio e pazienza che non molte professioni possono vantare. La filosofa statunitense Mary Daly fa acutamente notare che:
“ il chirurgo opera, taglia il malato in anestesia, ma è l’infermiere ad essere presente alle sue sofferenze da sveglio, e perfino a provocargli dolore nel cambiarlo, disinfettarlo, etc..”
Ancora, pensiamo a come spesso in tale professione l’essere a disposizione coincide con il restare in attesa: aspettare ore che la placenta di una paziente venga fuori, che un paziente dopo una lunga e complessa operazione si risvegli dall’anestesia, che il malato s’aggrappi alla mano dell’infermiere mentre soffre. Questo, rende l’attesa tutt’altro che passiva, ma qualcosa che va sop-portata, sorretta da pari a pari.
Utilitarismo emozionale
Ogni lavoro ha uno scopo, nel caso della professione infermieristica convincere un paziente a fare qualcosa attraverso: l’allegria, l’audacia, l’ironia, la comprensione dell’operatore sanitario (stati d’animo tutti inerenti alla sfera emozionale) equivale ha raggiungere il suddetto scopo con una metodologia eminentemente emozionale.
L’emozione nella sua forma pura permette il raggiungimento di precisi obiettivi professionali, utilizzando le più disparate capacità dell’operatore sanitario. Continuare a dar importanza alla visione limitata ed arcaica che vede le emozioni non solo come irrazionali, ma perfino come pericolose se introdotte in ambienti lavorativi non fa altro che snaturare, violentare e distorcere la natura stessa dell’emozione, e per estensione dell’individuo stesso che la prova.
Storicamente si è sempre etichettato il lavoro come “intellettuale” o “manuale”; È giunto il momento di mettere in crisi gli attuali criteri generali di classificazione del lavoro consolidati dall’abitudine e dal potere. Il lavoro di cura e la conseguente componente emozionale con la quale opera il professionista sanitario può essere contenuto negli artificiali (ed aggiungerei arbitrari) argini del lavoro “manuale” o “intellettuale”?
Se ti interessa l’etica del lavoro:
L’intelligenza delle emozioni, infermiere lavoro emozionale
La filosofa statunitense Martha Nussbaum elabora una teoria cognitivamente rivoluzionaria che si fonda sull’intelligenza delle emozioni.
Queste, lungi dal costituire un lontano e rarefatto residuo della conoscenza, un ostacolo di cui il pensiero deve disfarsi per potersi librare su eremi di perfezione speculativa, costituiscono l’essenza stessa del pensiero, del nostro agire e operare cognitivamente e coscientemente.
In breve, c’è un’incontrovertibile componente razionale nelle emozioni, le quali non sono solo il motore della vita individuale di un individuo, ma fungono da catalizzatore delle relazioni interpersonali.
Facendo ancora un ulteriore passo avanti nel ragionamento, le emozioni non si limitano ad avere una qualche forma di intelligenza, ma agiscono sul pensiero scuotendone le sue salde basi, così da fornirci motivazioni reali che ci spingono ad agire o non agire.
Management delle emozioni? Parrebbe di si …
Per giungere a delle conclusioni, talvolta occorre esplicitare l’implicito, esperimento poco piacevole, ma necessario per amor di logica concettuale.
La realtà dei fatti ci dice che la professione infermieristica, la quale si fonda sul rapporto face to face con il paziente, presenta tale formula:
Dall’operatore sanitario ci si aspetta sempre un approccio gentile e cordiale;
(>gentilezza e > cordialità = > professionalità)
Dai pazienti, invece, non ci aspettiamo certo l’attuazione della suddetta formula. Ciò non permette l’instaurarsi di una relazione simmetrica. Proprio da ciò, l’azienda ospedaliera può adottare delle misure preventive per contenere gli effetti negativi del lavoro emozionale, nello specifico :
- Maggiore autonomia decisionale per l’operatore sanitario
- Superiore autonomia nello svolgimento dei propri compiti
Attenzione però: quando parliamo delle emozioni come oggetti passibili di manipolazione, gerarchizzazione, controllo da parte dell’individuo, non possiamo trascurare che si tratta pur sempre di sentimenti con una propria struttura e conformità; proprio questo aspetto li rende compatibili o non compatibili, più o meno flessibili al controllo che si vuole imporre loro (dal professionista sanitario o dall’azienda ospedaliera).
In sostanza, proprio da tale antinomia deriva il discrimine tra uomo emozionale e uomo razionale, la cui prevedibilità ha sempre perfettamente aderito a regole societarie rigorose e puntuali. Dopotutto stiamo sempre parlando di emozioni … non scordiamocelo!
Alexandra Alba
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