Mancano gli infermieri in Italia? State sereni: arrivano gli indiani! E non solo. Già, perché il Decreto Mille Proroghe, presentato dalla politica con un irrefrenabile entusiasmo, apre all’assunzione di “professionisti” extra Ue (che hanno conseguito il titolo di studio nel loro paese) per colmare l’insostenibile carenza personale.
Ma, al di là dell’ironia, c’è poco da stare allegri. Come recentemente dichiarato dalla presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli: «Continua la lunghissima stagione delle deroghe: attualmente ci sono 12.000-13.000 infermieri sparsi nel paese con le mani sui nostri pazienti di cui non sappiamo chi sono, dove sono, che competenze hanno, che stanno facendo. Infermiere indiano, medico cubano…
Va bene, disposizioni dettate dal contesto (e da un’errata programmazione ci sarebbe da aggiungere), ma lasciare che l’Ordine torni pienamente al suo ruolo primario ovvero tutelare il cittadino attraverso il suo ruolo di magistratura interna di tipo deontologico, di accertamento che i professionisti infermieri abbiano titoli, conoscenza della lingua, competenze, capacità deontologiche, cliniche e assistenziali per farlo».
Eh sì, perché a quanto pare il vaglio dei requisiti è solo burocratico per ciò che concerne la lingua, essenziale per poter comunicare ci pazienti e non solo, non sono richieste competenze specifiche. E la preoccupazione, di fronte a questa toppa che appare assai peggiore del buco, lievita settimana dopo settimana.
Così il presidente dell’Ordine di Varese, Aurelio Filippini: «Anche in Lombardia contiamo almeno 2500 professionisti assunti in diversi contesti. Si tratta soprattutto di strutture residenziali socio sanitarie. La verifica dell’esistenza di un titolo emesso da un’istituzione accademica esistente e della conseguente iscrizione all’ordine o regista del paese straniero è l’unica operazione preventiva che la Regione delega alle Ats.
Solo controllo di documenti senza mai un incontro. Prima di quel Decreto, gli stranieri erano chiamati a superare un percorso di valutazione che vedeva in prima fila proprio gli ordini professionali. Si cominciava con un esame linguistico per poi continuare con la valutazione delle conoscenze e competenze cliniche.
Il decreto ha annullato tutta questa parte e ha anche tolto l’obbligo di segnalare agli ordini provinciali le assunzioni di stranieri. Di fatto, quindi, non c’è alcuna traccia di chi siano, quanti siano, dove lavorino e con quali mansioni. Tutto ciò a scapito di una verifica deontologica ispirata alla tutela del paziente».
A quanto pare, come sottolineato da Filippini, il problema principale è la comunicazione, ma non solo: «È soprattutto la lingua l’ostacolo che più viene segnalato. Nelle RSA i rapporti con gli ospiti sono problematici. Ma, le diverse preparazione e formazione incidono anche sulle attività quotidiane.
Abbiamo avuto notizia che qualche realtà abbia dovuto organizzare corsi di aggiornamento anche per semplici attività come l’inserimento di un catetere o il prelievo ematico piuttosto che il riconoscimento dei farmaci. Gli ordini sono stati tagliati fuori da questa normativa che apre all’ingresso fino a dicembre 2025. Questa situazione solleva gli ordini professionali da qualsiasi dinamica o criticità: ogni azienda o equipe dovrà farsi carico interamente delle responsabilità collegate all’impiego di questi lavoratori».
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