“Operatrici e operatori sanitari e sociosanitari delle strutture residenziali sono stati in prima linea nella lotta contro la pandemia da Covid-19 e sono stati elogiati dal governo italiano per il duro lavoro svolto in condizioni terribili.
Tuttavia, queste stesse persone sono state ridotte al silenzio dai loro datori di lavoro quando hanno cercato di esprimere preoccupazione sul trattamento degli ospiti anziani e sulla propria sicurezza”.
Licenziamenti ingiusti e misure antisindacali
A dichiararlo è stato Marco Perolini, ricercatore di Amnesty International sull’Europa occidentale, a seguito della ricerca di Amnesty secondo cui “invece di affrontare le criticità sollevate, come quelle sull’uso dei dispositivi di protezione individuale e sul numero dei contagi nelle strutture residenziali, i datori di lavoro hanno imposto il silenzio, effettuato licenziamenti ingiusti e adottato misure antisindacali”.
Per arrivare a tali conclusioni, Perolini e i suoi colleghi hanno parlato con 34 professionisti e operatori in servizio nelle strutture residenziali durante la pandemia da Covid-19, in un periodo di tempo che va da febbraio a agosto 2021. Ma non solo: i ricercatori di Amnesty hanno anche intervistato avvocati, esperti del settore e sindacalisti.
‘Eroi’ puniti
Il quadro che si è delineato dopo gli incontri rappresenta forse una delle parentesi più tristi per quelli che fino a non molto tempo fa erano definiti, con le lacrime agli occhi, “gli eroi” della peggiore pandemia dell’ultimo secolo.
Gli operatori (per l’85% donne), infatti, si sono ritrovati costantemente in affanno e sotto pressione a causa della carenza cronica di personale; hanno dovuto fare i conti con delle condizioni di lavoro pericolose e insostenibili, per uno stipendio a dir poco ridicolo alla fine del mese.
E poi la beffa: chi ha provato, una volta tanto, a mettere il paziente al centro segnalando o denunciando situazioni pericolose, ha anche ricevuto una bella punizione.
Clima di paura
Già, perché in un terzo delle interviste di Amnesty, i sanitari hanno descritto un clima di paura e di ritorsioni sul posto di lavoro mentre gli avvocati hanno descritto oltre 10 casi (la punta di un iceberg?) di procedimenti disciplinari e di licenziamenti, che hanno coinvolto anche alcuni rappresentanti sindacali che si erano esposti in prima persona per denunciare la carenza di adeguate misure sanitarie e di sicurezza per i lavoratori in diverse strutture.
Certo, nel 2017 è entrata in vigore la legge sul “whistleblowing” che voleva proteggere a dovere tutti coloro che denunciano irregolarità sul posto di lavoro, ma… Questa non gli garantisce affatto adeguata protezione per ciò che concerne riservatezza e indipendenza del settore privato (che gestisce il 73 per cento delle strutture residenziali in Italia).
Proteggere gli operatori del settore privato
Per Amnesty, le autorità italiane devono trovare il modo di proteggere tutti gli operatori sanitari che lavorano nel settore privato: “devono assicurare che le voci di queste lavoratrici e di questi lavoratori siano ascoltate. Amnesty International chiede pertanto al parlamento di istituire una commissione indipendente d’inchiesta che si concentri in particolare sulla situazione delle strutture residenziali.
Attualmente risultano al vaglio parlamentare diverse proposte di inchiesta per indagare differenti aspetti dell’emergenza sanitaria, tra cui la congruità delle misure di gestione dell’epidemia, le modalità con cui la stessa si e’ diffusa e l’efficacia del sistema delle strutture residenziali. Tuttavia, ad oggi, nessuna commissione e’ stata ancora istituita”.
Una commissione che “dovrebbe anche prendere in esame le gravi preoccupazioni sollevate dal personale e dai sindacati in tema di sicurezza, salute e precarie condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19 e nel periodo precedente”.
Autore: Alessio Biondino
Fonte: AGI
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