Storia di un serpente chiamato Contenzione …
Un’antica favola orientale narra di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Questo si stabilì all’interno dello stomaco dell’uomo, e da quel luogo cominciò ad imporre la sua volontà, così da privarlo pian piano della sua libertà.
Presto l’uomo appartenne non più a se stesso, ma passò la proprietà della sua persona al serpente, finchè una mattina l’uomo si rese conto che l’animale aveva abbandonato il suo corpo lasciandolo solo e … libero.
Ma l’uomo non sapeva cosa farsene della sua ritrovata libertà; nel lungo periodo del dominio serpentesco, egli si era così abituato ad assoggettare la sua volontà a quella del suo biforcuto despota, che aveva irrimediabilmente perduto la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. La Libertà aveva ceduto l’ultima sua roccaforte al Vuoto, ed ora rimaneva solo questo a riempire lo stato vitale dell’uomo.
Questa è la mia idea di contenzione, buffo come una sinistra favola renda il concetto meglio di centinaia di “lectiones magistrales” sull’argomento.
Slogan Basagliano: la libertà è terapeutica!
Eliminare la contenzione è la battaglia della conoscenza che strenuamente si fa spazio cercando di mettere sempre più ai margini un’ignorante e retriva consuetudine che non si riesce a sradicare del tutto.
La domanda è: per quale motivo?
Ho individuato tre motivi fondamentali per non contenere il paziente:
- La contenzione è indirettamente vietata da disparate norme giuridiche oltre che dalla Costituzione (pensiamo all’art. 13 come suo fiore all’occhiello); tuttavia temo che la chiave che rende ancora possibile parlare di contenzione come possibile metodo o strumento risieda proprio nel suddetto avverbio. Quell’ “indirettamente” è sufficiente ma non bastevole ai fini di un’abolizione “senza se e senza ma” della contenzione.
- L’ipertrofia delle conoscenze logico-tecniche e scientifiche con le quali viene indottrinata la formazione del personale sanitario, a discapito di conoscenze umanistiche, le sole che permettono di prendere come punto d’arrivo i bisogni della persona, e non del suo corpo.
- La standardizzazione dell’assistenza, della logistica, e degli arredi ospedalieri che non permettono di far diventare i luoghi di cura (siano essi ospedali, case di riposo o strutture sanitarie private) qualitativamente e visceralmente validi.
Quali sono gli effetti della contenzione?
- Il vuoto emozionale prodotto dalla contenzione nel paziente (e con ogni probabilità, in misura ancor maggiore, in chi volente o nolente la pratica) trae potere e forza da uno spazio appositamente architettato per renderlo inoffensivo, mestamente passivo, indolente nei confronti di qualsivoglia stimolo.
Risultato? Completo annientamento dell’individualità personale; ecco cosa produce la contenzione: rende il paziente oggetto della sua malattia. Il paziente diventa un involucro la cui ragion d’essere è esclusivamente contenere la malattia che lo riempie.
- Perdita del senso del futuro
- Annichilimento di ogni spinta o propulsione personale
- Assenza di ogni progetto, desiderio o ambizione
Non è raro nel nostro paese che si prescriva la contenzione protocollandola come trattamento terapeutico disposto al fine di preservare il paziente da se stesso.
Non mi soffermerò sulla fallacia di tale pensiero medico-scientifico, che venendo analizzato con rigore, lucidità e buon senso cade come un castello di sabbia mal costruito (i miei colleghi, avendone le competenze, l’hanno esposto molto meglio di come potrei fare io), vorrei solo ardire a porre una domanda che per i più risulterà provocatoria, ma per quel che mi riguarda non lo è assolutamente, essendo spinta dalla più pura ed ingenua curiosità:
Cosa proverebbero i fautori di una contenzione “salvifica ed a norma” se venissero legati su una sedia o su un letto, anche solo per un lasso di tempo che non si avvicina minimamente a quello previsto dal reale protocollo di questa barbarica metodologia?
Se ti interessa l’argomento della contenzione:
Contenere il paziente: L’empatia come rimedio alla contenzione
“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre.” (Platone)
La parola empatia deriva dal greco en- dentro e pathos- sentimento; potremmo quindi affermare che tale termine possa essere tradotto con “sentire dentro”, o per rendere più intellegibile il concetto, stiamo parlando di un “co-sentire”, percependo la natura a noi esterna come interna, facente parte del nostro stesso corpo.
Solo attraverso l’empatia è possibile superare questa medioevale pratica realizzando:
- L’alleanza terapeutica
- La promozione dell’autonomia del paziente
- L’accompagnamento dignitoso alla morte
“L’Utopia è una verità prematura”
Nel libro “Contro la contenzione” la dottoressa Maila Mislej scrive:
“Quando ai convegni o ai corsi di aggiornamento argomento e propongo di bandire la contenzione dai nostri servizi c’è sempre qualcuno che dice “questa è un utopia”. Come se utopia fosse una brutta parola. Afferma Giovanni Sartori che senza utopie non c’è progresso, non c’è innovazione e miglioramento, l’utopia è spesso una verità prematura, è la realtà di domani […]. La democrazia è essenziale per promuovere utopie-ideali , e senza ideali non c’è democrazia.”
L’ideale è un contro-reale, ed in quanto tale molto spesso mette in pericolo privilegi inveterati ed interessi economici (pensiamo soltanto al volume di affari che coinvolge la psico-farmacologia).
Inoltre l’abolizione della contenzione porta con se un prezzo: una sempiterna e strenua vigilanza per tutto ciò che riguarda, coinvolge, tocca il paziente. La domanda (sarà l’ultima lo prometto) è:
Vale la pena spendersi come infermiere, medico, operatore sanitario, funzionario della pubblica amministrazione, cittadino e ovviamente “potenziale paziente” per mettere al bando la contenzione?
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