Sappiamo coinvolgere gli assistiti con una comunicazione aperta?
Il tema dell’aderenza dei pazienti al percorso di cura è di grande rilievo alla luce dell’aumento delle problematiche legate alla cronicità poiché si riflette sui risultati clinici del singolo e della collettività oltreché sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.
Non si tratta più di una semplice “compliance” riguardo alle prescrizioni mediche ma di un approccio più ampio che coinvolge tutti gli attori di un contesto multiprofessionale e multidisciplinare.
L’aderenza viene infatti definita dall’OMS come “il grado in cui il comportamento di una persona, nell’assumere i farmaci, nel seguire una dieta e/o nell’apportare cambiamenti al proprio stile di vita, corrisponde alle raccomandazioni concordate con i sanitari”; gli infermieri devono quindi preoccuparsi e occuparsi della tematica in tutte le pratiche assistenziali tenendo conto prioritariamente che, come numerosi studi evidenziano, il modo in cui gli infermieri comunicano con le persone assistite è un determinante chiave dell’aderenza ai trattamenti e impatta sui risultati clinici.
Val la pena ricordare quanto il codice deontologico recita all’art 4 (Relazione di cura):
“Nell’agire professionale l’Infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura”.
Come possiamo allora coinvolgere efficacemente gli assistiti attraverso una comunicazione aperta?
L’Institute for Healthcare Improvement (IHI) ci ricorda alcune semplici regole valide per gli infermieri come per tutti gli altri operatori sanitari:
- Adottare “precauzioni universali”: significa utilizzare strategie comunicative chiare con tutti gli assistiti, indipendentemente dalla percezione che possiamo avere riguardo alla loro “alfabetizzazione” su temi della salute. Infatti anche le persone con livelli culturali elevati possono avere difficoltà di comprensione in momenti particolari della loro vita;
- Parlare lentamente per una migliore comprensione, ricordando che il paziente potrebbe non chiedercelo anche se fatica a comprendere;
- Limitare le informazioni e ripeterle, focalizzarsi su pochi punti chiave per permettere la ritenzione delle informazioni critiche;
- Evitare linguaggio medico, utilizzando una terminologia semplice;
- Utilizzare illustrazioni e grafici per rinforzare i concetti e le azioni chiave;
- Favorire l’interazione, ad esempio invitando a fare domande;
- Usare il “teach-back” per misurare la comprensione, chiedendo al paziente di ripetere le informazioni ricevute;
- Ricordare al paziente che non è da solo, che il personale sanitario tutto vuole e può aiutarlo dandogli le informazioni che gli servono e che fare domande aiuta a capire come stare bene o stare meglio.
La qualità della comunicazione. Alla scoperta dell’anziano in difficoltà
La comunicazione è connaturata all’essere umano. Non si può non comunicare, recita il primo famosissimo assioma di Watzlawick. Siamo composti di comunicazione. Mente e cervello si formano e si caratterizzano in base alle esperienze, vale a dire alle relazioni che viviamo, ai contenuti e alle modalità comunicative che sviluppiamo. Spesso comunichiamo senza sapere effettivamente che cosa stiamo comunicando e come. Ma ciò che esprimiamo negli atteggiamenti, nei comportamenti, nelle parole e nei loro silenzi è il prodotto delle nostre idee, di ciò che pensia- mo di noi stessi, degli altri, dell’ambiente nel quale siamo inseriti e col quale interagiamo. Quale idea abbiamo della vecchiaia, della disabilità, della demenza? Ciò che realmente, profondamente pensiamo dell’età senile – e non solamente ciò che ammettiamo di pensare – influenza l’interazione con gli anziani, sani e malati, autosufficienti o disabili. Si può imparare a comunicare in un modo più appropriato con le persone anziane in difficoltà. È possibile riconoscere il proprio modo di comunicare, anche quello non verbale, e predisporsi, se necessario, a modificarlo. Si possono apprendere il più correttamente possibile modalità relazionali e comunicative con le persone anziane che presentano problemi mentali e comportamentali, fronteggiare e proporsi in termini più consoni con chi esprime una sofferenza psichica. Una particolare attenzione viene posta sulla comunicazione non verbale, quale registro determinante per comprendere sempre più approfonditamente le espressioni del disagio e cogliere le modalità individuali di tali manifestazioni. Anche i silenzi devono essere ‘ascoltati’ e compresi. LE COLLANE DELL’AREA SOCIALE E SANITÀ > Lavoro di cura e di comunità > I libri di Edizioni Vega > L’infermiere e la sua professione > Esplorazioni > Economia Sociale > Diritto e Management in Sanità
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Bastano tre semplici domande
Tutti i pazienti dovrebbero essere incoraggiati, quando incontrano un infermiere o qualsiasi altro operatore sanitario, quando devono sottoporsi ad un esame diagnostico o una procedura, quando devono assumere una terapia farmacologica, a fare tre semplici domande:
- Qual è il mio problema principale?
- Cosa è necessario che io faccia?
- Perché è importante per me fare questo?
Tre semplici domande che potrebbero migliorare tantissimo l’aderenza del paziente al suo percorso clinico assistenziale con enormi benefici per sé e per tutto il sistema.
Gli infermieri, che storicamente si sono assunti il ruolo di “facilitatori” della comunicazione in ambito sanitario non devono abdicare a questo ruolo, anzi devono rinforzarlo ed essere di esempio per gli altri professionisti, anche nell’”era” della tecnologia e della spasmodica ricerca dell’efficienza.
Approfondimenti:
Autore: Filippo Di Carlo
www.studioinfermieristicodmr.it
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