I consigli di Trilussa sul Coronavirus

Redazione 07/03/20
Il tema del Coronavirus è diventato emergenza e in questi giorni domina tutte le prime pagine dei giornali. Le direttive emanate dagli Organi preposti hanno modificato tante abitudini e gesti quotidiani per far fronte al diffondersi dell’infezione: tenere una debita distanza dagli altri, in particolare nei luoghi pubblici e affollati; rispettare la chiusura delle scuole e delle università fino alle date indicate; fino ad evitare di toccarsi il viso e di dare strette di mano o addirittura baciarsi.

È chiaro che il propagarsi del virus avviene proprio in un periodo dell’anno durante il quale è molto diffusa anche la classica influenza stagionale che colpisce ogni anno tante persone. Il rispetto delle norme igieniche, in particolare in questi periodi dell’anno, dovrebbe essere comunque scontato. Tutti dovrebbero eticamente evitare il rischio di esporre chiunque al contagio e nel dubbio il dovere di considerarsi come potenziali portatori, anche se sani, del virus.

Eppure Trilussa, il noto poeta che componeva versi in dialetto romanesco nella prima metà del 1900, ci aveva messo in guardia su tutto questo con un suo componimento intitolato “La stretta de mano”.

 

Quella de dà la mano a chicchessia,

nun è certo un’usanza troppo bella:

te pò succede ch’hai da strigne quella

d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.

 

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,

quann’ha toccato quarche porcheria,

contiè er bacillo d’una malatia,

che t’entra in bocca e va ne le budella.

 

Invece a salutà romanamente,

ce se guadambia un tanto co l’iggiene,

eppoi nun c’è pericolo de gnente.

 

Perché la mossa te viè a dì in sostanza:

“Semo amiconi … se volemo bene …

ma restamo a ‘na debbita distanza”.

 

Trilussa

Redazione

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