Il dott. Mauro Di Fresco (in foto), presidente dell’Associazione Avvocatura degli Infermieri (AADI), intervistato ai nostri microfoni ci parla di un importante ricorso che sta portando avanti. “Un’infermiera, scomoda perché sindacalista, viene trasferita dall’ufficio sanitario al reparto ove svolgeva mansioni amministrative per una serie di patologie invalidanti gravi per le quali le è stata riconosciuta sia l’invalidità civile che lo status di handicap (L. n. 104/92). Il trasferimento è stato disposto a seguito del giudizio della medicina del lavoro che l’ha dichiarata idonea al 100% dopo che il medico competente le aveva cancellato dal giudizio, tutte le malattie, l’invalidità e la 104, soprattutto per una sindrome multiallergica chimica e farmacologica. Costretta e minacciata di licenziamento entra in reparto dove manifesta subito uno shock anafilattico da inalazione di disinfettanti. Trattata al PS prende malattia, ma la A.S.L. non intende rimuoverla dalla assegnazione. Rivoltasi dunque all’AADI, si propone un ricorso d’urgenza presso il Tribunale del Lavoro. Contestata è la violazione dell’art. 2087 C.C nella parte cui tutela la dignità della lavoratrice”
I giudici scrivono: “Così facendo però la Corte non ha fatto buon governo delle regole di diritto che vengono in rilievo in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore, essendo oramai risalente l’orientamento (Cass. n. 3291 del 19 febbraio 2016) secondo cui, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 C.C. da cui è derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica). La reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta, sono elementi che possono incidere, eventualmente, sul quantum del risarcimento, ma è chiaro che nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n. 16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 33428)”.
“Dalla lettura di questo insegnamento, si comprende che non vi è dubbio che la A.S.L. debba dimostrare che cancellare o ignorare le malattie invalidanti dell’infermiera sia stato benefico per la lavoratrice” afferma il presidente Di Fresco, che continua “L’ASL si è difesa asserendo che la decisione era nel pieno potere del medico competente e che l’azienda ha sempre tutelato la dipendente, inserendola anche in un reparto a basso rischio – come si evince dal DVR – come la medicina interna. Dopo il ricorso però curiosamente l’infermiera è stata trasferita in ambulatori territoriali, ma molto distante da dove abita”. Conclude “Ci sentiamo molto vicini alla collega, che è stata sottoposta ad un trattamento indegno. Per questo motivo tutte la spese legali saranno a carico dell’associazione e della comunità, ma con l’obiettivo di far pagare di tasca propria e fino all’ultimo centesimo il direttore generale per il torto evidente”.
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