Le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) rappresentano uno strumento fondamentale per affermare il diritto all’autodeterminazione del paziente, garantito dalla Legge 219/2017.
In questo articolo di Gaetano Romigi – Coordinatore Corso di laurea Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Vice Presidente nazionale Aniarti (Associazione Infermieri di area critica) – esploriamo come funzionano, quali opportunità offrono e perché è importante depositarle.
Indice
La normativa sulle DAT: legge 219/2017
Proiettarsi in una situazione di incapacità quando siamo nel pieno possesso della nostra salute e disponiamo della facoltà di operare ogni scelta possibile per il nostro presente e per il nostro futuro non è semplice e, sicuramente, non è un pensiero che nasce spontaneamente. Nonostante questo, talvolta le circostanze di vita, quali la malattia grave o l’incidente di un parente o di un conoscente oppure un caso venuto alla ribalta delle cronache nazionali, ci impongono una riflessione più profonda sull’argomento.
È allora che ci sfiora la domanda “e se capitasse a me?” … Quasi mai riusciamo a far seguire un’azione a questa domanda e, fino a pochi anni fa, di fatto, ciò non era possibile: in Italia, infatti, nonostante l’articolo 32, comma 2, della Costituzione, sancente il diritto all’autodeterminazione del malato, il dibattito sullo spinoso problema del “fine vita” non è sfociato in una regolamentazione legislativa se non recentemente con la legge n. 219 del 22 dicembre 2017. La sentenza della Corte costituzionale colma responsabilmente il vuoto legislativo, non limitandosi a dichiarare la parziale incostituzionalità della norma censurata: l’articolo 580 del Codice penale, che equiparava all’istigazione il mero aiuto al suicidio.
Con questa legge, oggi, la legislazione ci offre l’opportunità di dar seguito alle nostre decisioni anche quando – … e se – il futuro ci riserva l’incapacità di autodeterminare come desideriamo essere curati: le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Si tratta di una legge molto importante e vale la pena approfondirne il contenuto attraverso una rapida panoramica dei suoi articoli.
Art 1 – Consenso Informato – La legge tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge.
La relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico/equipe sanitaria è promossa e valorizzata e sono in essa coinvolti – se il paziente lo desidera – anche i familiari, il convivente o le persone di fiducia. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo/parziale e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi di accertamenti diagnostici e trattamenti, alle alternative e alle conseguenze qualora la persona decidesse di rifiutarli.
Le volontà possono essere espresse in forma scritta o attraverso videoregistrazioni e, per le persone con disabilità, attraverso i dispositivi che consentono loro di comunicare. Attraverso le stesse forme, la persona è in grado di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della legge la nutrizione e l’idratazione artificiali sono considerati trattamenti sanitari.
Le decisioni del paziente vengono annotate nella cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente ed è, per questo, esente da responsabilità civile o penale.
Art. 2 -Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita – Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze.
A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati.
In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Art 3 – Minori e incapaci – Hanno diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione. Devono ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle loro capacità per essere messi nelle condizioni di esprimere la loro volontà.
Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.
Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.
Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del Codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.
Art. 4 – Disposizioni Anticipate di Trattamento –Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.
Indica, altresì, un fiduciario– maggiorenne e, a sua volta, in grado di intendere e di volere – che ne faccia le veci nelle relazioni col medico e le strutture sanitarie. Il fiduciario deve esprimere la sua accettazione attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo. Ha facoltà di rinunciare in qualsiasi alla nomina con atto scritto e senza obbligo di motivazione.
Il medico e l’equipe sanitaria sono tenuti al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistono terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione.
Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza che provvede all’annotazione in apposito registro oppure presso le strutture sanitarie.
Le DAT sono esenti dal pagamento di qualsiasi bollo, tributo o tassa e sono modificabili e revocabili in qualsiasi momento. Le regioni che adottano modalità telematiche della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo inscritto al Servizio sanitario nazionale possono regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario e il loro inserimento nella banca dati.
Assistere a casa – Suggerimenti e indicazioni per prendersi cura di una persona malata
Assistere a casa
Da chi svolge quotidianamente un lavoro a contatto con le persone malate e i loro contesti famigliari, e che affronta con loro tutto quello che può accadere dentro le case durante l’assistenza domiciliare, nasce questo agile e utilissimo manuale. Non è un testo enciclopedico, non vuole avere, per spirito degli autori stessi, la presunzione di risolvere qualsiasi problema si possa presentare nel corso dell’assistenza domiciliare. Un’assistenza domiciliare non può prescindere dalla possibilità di effettuare a domicilio le cure necessarie ed eventuali esami diagnostici. per questo c’è bisogno di creare un équipe ben addestrata di sanitari coordinati fra loro, di assicurare una reperibilità 24 ore su 24, e di avere la certezza di una base di riferimento, fulcro importantissimo, quale la famiglia e i volontari. Proprio loro infatti rappresentano il raccordo essenziale tra il paziente e il professionista. spesso si trovano a confrontarsi con una realtà diversa, piena di incognite. Devono essere edotti sui diversi aspetti della malattia ma è fondamentale che conoscano il confine entro cui muoversi e quando lasciar posto al personale sanitario. Conoscere significa non ignorare e non ignorare significa non aver paura: una flebo che si ferma non deve creare panico nei famigliari o nel volontario, anche perché essendo loro il punto di riferimento per il paziente sono loro i primi a dare sicurezza e questo avviene solo se si conoscono i problemi. Il testo cerca perciò di porre l’attenzione sulle necessità più importanti, sui dubbi più comuni, sulle possibili situazioni “difficili” che a volte divengono vere urgenze, non dimenticando i piccoli interrogativi che spesso sono sembrati a noi stessi banali ma che, al contrario, sono stati motivo di forte ansia non solo per il paziente ma anche per i famigliari e per i volontari alle prime esperienze. Giuseppe Casale, specialista oncologo e gastroenterologo, è fondatore dell’Associazione, Unità Operativa di Cure Palliative ANTEA, di cui è anche Coordinatore Sanitario e Scientifico. Membro di molte Commissioni del Ministero della Sanità in ‘Cure Palliative’, è autore di diverse pubblicazioni, nonché docente in numerosi Master Universitari. Chiara Mastroianni, infermiera esperta in cure palliative, è presidente di Antea Formad (scuola di formazione e ricerca di Antea Associazione), e membro del comitato scientifico dei Master per infermieri e medici in cure palliative dell’ Università degli studi di Roma Tor Vergata.
Chiara Mastroianni, Giuseppe Casale | Maggioli Editore 2011
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I dilemmi del fine vita
Forse per la natura dell’argomento, tendiamo a preservare la nostra serenità lasciando che la nostra mente sfiori solamente “certi pensieri”, ma purtroppo questo atteggiamento ci preclude la possibilità di approfondire ed evitare di fare confusione su alcuni scenari possibili legati al fine vita.
Ad esempio, parlando di morte imminente e delle sofferenze fisiche e psichiche legate ad essa, ci viene spontaneo associare il concetto di eutanasia. È bene ribadirlo subito: l’eutanasia è illegale in Italia e in molti altri paesi, Svizzera inclusa.
Per essere ancora più precisi è opportuno ricordare che l’eutanasia è legale solamente in Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Spagna, Canada, Colombia e Australia. Ciò che invece è legale in Italia, in Germania, in Austria, in 6 stati degli USA (Oregon, Vermont, Washington, Montana, New Mexico e California) e in Svizzera è il suicidio medicalmente assistito.
Le definizioni dei due atti possono aiutare a comprenderne la sostanziale differenza:
- Suicidio medicalmente assistito = atto posto in essere dal medico prescrivendo o porgendo un farmaco letale che mira a procurare la morte di un paziente prossimo alla fine, su sua richiesta e con determinate procedure. L’atto finale viene compiuto dal paziente stesso.
- Eutanasia = atto posto in essere dal medico esclusivamente su richiesta esplicita e inequivoca del paziente prossimo alla fine, consapevole e informato, volto a procurare la morte rapidamente e senza dolore. Il farmaco, quindi, è somministrato dal medico per liberare il malato da una sofferenza da lui ritenuta insostenibile e riconosciuta come tale dal medico stesso.
Il concetto di eutanasia passiva/omissiva, di cui talvolta si sente parlare, non aiuta a far chiarezza su scenari delicati che possono verificarsi e che trovano corrispondenza in definizioni e descrizioni chiare dei contesti. Lo schema seguente può essere d’aiuto a delinearne i contorni.
Ci pare questa l’occasione giusta anche per fugare un ulteriore dubbio che può insorgere nella pratica clinica che molti di noi vivono quotidianamente o che alcuni nostri lettori, non sanitari, possono aver sperimentato nella loro vita a causa delle condizioni irreversibilmente gravi di parenti o conoscenti: la sostanziale differenza tra eutanasia e sedazione palliativa profonda continua.
Lo scopo è sostanzialmente differente: l’eutanasia mira a procurare la morte subitanea del paziente, mentre la sedazione palliativa mira a controllare i sintomi fisici e psichici ritenuti intollerabili per il paziente in condizione di malattia inguaribile ed in stato avanzato.
La sedazione si protrae fino al sopraggiungimento della morte del paziente e si attua tramite la somministrazione, previo consenso informato del paziente, di farmaci atti a ridurre la coscienza fino alla perdita della stessa al fine di abolire la percezione dei sintomi.
I casi emblematici che hanno contribuito al dibattito
Piergiorgio Welby – (Roma, 26 dicembre 1945 – Roma, 20 dicembre 2006). È stato un attivista, giornalista, politico, blogger, poeta e pittore italiano.
Affetto da distrofia muscolare, ha vissuto per nove anni connesso ad un respiratore artificiale e, una volta uscito dal coma, ha sempre chiesto che gli venisse staccata la spina, incontrando quell’ostacolo apparentemente insormontabile che era l’assenza di una legge che lo consentisse.
Per far conoscere la propria situazione, nel 2002 aprì un dibattito sull’eutanasia su un forum di Radicali Italiani e un blog personale. Nel 2006 chiese ufficialmente la propria morte: il “caso di Welby” suscitò in Italia un acceso dibattito sulle questioni della vita e della fine della vita e, più in generale, sui rapporti tra la legge e le libertà individuali.
Il 5 dicembre 2006 il Ministro per i Diritti e le Pari opportunità Barbara Pollastrini, chiese «rispetto, comprensione e pietà» nei confronti di Welby. Il giorno successivo fu il Ministro della Salute Livia Turco ad auspicare un intervento del Consiglio Superiore di Sanità che chiarisse se nel trattamento medico a cui era sottoposto Welby fosse ravvisabile accanimento terapeutico. Il Consiglio diede parere negativo.
In quei giorni La Repubblica commissionò un sondaggio che mostrò come il 64% degli intervistati si dichiaravano favorevoli all’interruzione delle cure mediche per Welby, contro il 20% dei contrari.
Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine all’accanimento terapeutico, dichiarandola «inammissibile», per via del vuoto legislativo su questa materia. Secondo il giudice esisteva il diritto di chiedere l’interruzione della respirazione assistita, previa somministrazione della sedazione terminale, ma questo era un «diritto non concretamente tutelato dall’ordinamento».
Pochi giorni dopo, il 20 dicembre 2006, verso le ore 23.00, Piergiorgio Welby si congedò dai parenti ed amici riuniti al suo capezzale, chiese di ascoltare musica di Bob Dylan e, secondo la sua volontà, fu sedato e successivamente fu staccato il respiratore. Verso le ore 23.45 è quindi morì. Il dottor Mario Riccio, anestesista, confermò durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo, di averlo aiutato a morire contro la decisione dei giudici alla presenza dei familiari.
Il 1º febbraio 2007 l’Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Mario Riccio agì nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. L’8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari impose al PM l’imputazione del medico per omicidio del consenziente, e respinse la richiesta di archiviazione del caso. Dopo sette mesi di battaglia legale, il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, prosciolse definitivamente il dottor Riccio ordinando “il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato”.
Nel dispositivo della sentenza il giudice fece riferimento all’articolo 51 del Codice penale, che prevede la non punibilità per il medico che adempie al dovere di dare seguito alle richieste del malato, compresa quella di rifiutare le terapie sancita dall’articolo 32 della Costituzione.
Subito dopo la morte di Piergiorgio il testimone della sua battaglia è passato alla moglie Mina che da quel giorno ha partecipato a moltissimi convegni, incontri, conferenze proseguendo così l’impegno di Piergiorgio per la libertà di scelta sul fine vita.
Eluana Englaro – (Lecco, 25 novembre 1970 – Udine, 9 febbraio 2009). Il 18 gennaio 1992 si verifica un incidente stradale a seguito del quale Eluana Englaro, appena ventunenne, riporta un gravissimo trauma cranio-encefalico con lesione di alcuni tessuti cerebrali corticali e subcorticali, da cui deriva prima una condizione di coma profondo, e poi, in progresso di tempo, un persistente stato vegetativo con tetraparesi spastica e perdita di ogni facoltà psichica superiore, quindi di ogni funzione percettiva e cognitiva e della capacità di avere contatti con l’ambiente esterno.
Dopo circa quattro anni dall’incidente, Eluana – essendo stata accertata la mancanza di qualunque modificazione del suo stato – viene dichiarata interdetta per assoluta incapacità con sentenza del Tribunale di Lecco in data 19 dicembre 1996. Viene nominato tutore il padre, Beppino Englaro.
Dopo altri tre anni circa prende avvio una lunga vicenda giudiziaria snodatasi in tre principali procedimenti consecutivi, nei quali il tutore, deducendo l’impossibilità per Eluana di riprendere coscienza, nonché l’irreversibilità della sua patologia e l’inconciliabilità di tale stato e del trattamento di sostegno forzato che le consentiva artificialmente di sopravvivere (alimentazione/idratazione con sondino naso-gastrico) con le sue precedenti convinzioni sulla vita e sulla dignità individuale, e più in generale con la sua personalità, chiede, nell’interesse e in vece della rappresentata, l’emanazione di un provvedimento che ne disponga l’interruzione.
Nel 2007 la Corte di cassazione autorizza il giudice a sospendere il trattamento in presenza di due circostanze concorrenti: lo stato vegetativo irreversibile della paziente e l’accertamento che questa, se cosciente, non avrebbe prestato il proprio consenso alla continuazione dello stesso. Nel luglio del 2008 anche la Corte d’appello di Milano acconsente alla sospensione, ma la Regione Lombardia rifiuta di indicare una struttura nella quale poter eseguire la sentenza (sostenendo che il personale sanitario sarebbe venuto meno ai propri obblighi professionali e di servizio).
Nel novembre dello stesso anno la Corte di cassazione conferma la sentenza e nel febbraio 2009 Eluana viene trasferita in una clinica di Udine (disponibile a interrompere l’alimentazione artificiale), dove si spegne il 9 febbraio 2009. Il caso Englaro, che ha infiammato il dibattito sul testamento biologico (già vivo in Italia dopo le vicende di P. Welby e L. Coscioni), ha ispirato anche la pellicola di M. Bellocchio Bella addormentata (2012).
DJ Fabo – Rimasto cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, Fabiano Antoniani, noto a tutti come dj Fabo, scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera, il 27 febbraio del 2017. Dopo diversi anni di terapie, matura la consapevolezza di voler mettere un punto alla sua vita. «Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia», queste le parole, chiarissime, con cui comunica la sua intenzione.
Aveva chiesto aiuto, con un appello, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella senza riuscire a smuovere niente. La legge sul testamento biologico era stata rinviata già per la terza volta in Italia. In questo paese, lui non poteva scegliere di morire, così dj Fabo decide di recarsi in Svizzera dove muore in una clinica il 27 febbraio 2017.
È lui stesso a raccontare tutto nel suo addio su Twitter: «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte».
Marco Cappato, esponente dell’Associazione Luca Coscioni, si autodenuncia il giorno successivo. La procura di Milano si vede “costretta” ad accusarlo di aiuto al suicidio, reato previsto dall’articolo 580 del Codice penale e che prevede una pena dai 5 ai 12 anni di carcere. Per Cappato inizia il processo, arrivato fino alla Consulta e conclusosi il 23 dicembre 2019 con l’assoluzione.
La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare un “vuoto legislativo”, aveva inizialmente rinviato a settembre 2019 il verdetto sull’aiuto al suicidio. Il Parlamento, però, negli undici mesi successivi non si era espresso e quindi era toccato ai giudici della Consulta decidere in materia. Il 25 settembre 2019 la Corte Costituzionale aveva aperto al suicidio assistito, decisione che ha poi portato all’assoluzione di Cappato da parte della corte d’Assise di Milano “perché il fatto non sussiste”.
Conclusioni sul fine vita medicalmente assistito
Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e Dj Fabo: tre nomi, tre storie, tre persone che hanno scritto la storia del fine vita. Battaglie portate avanti – eutanasia, suicidio assistito, rinuncia all’accanimento terapeutico – tra mille ostacoli, mentre il dibattito si infiammava dal punto di vista etico, politico, religioso. Molti si sono rivolti alle aule dei tribunali per vedersi riconosciuto il diritto al fine vita, per poter dire «basta» per un dolore diventato insopportabile.
Gli accesi dibattiti scaturiti dalla costatazione di un vulnus legislativo in merito al diritto sull’autodeterminazione delle cure sancito dalla Costituzione hanno finalmente portato alla Legge 219/2017.
Le Disposizioni Anticipate di Trattamento, quindi, sono fondamentali per affermare il nostro diritto a far valere le nostre decisioni sul modo in cui intendiamo affrontare la nostra fine vita.
Depositare le nostre DAT è semplice. Le regioni, le aziende sanitarie e alcune associazioni forniscono fac simili di moduli preformattati, tuttavia la redazione delle DAT può avvenire in diverse forme:
- dal notaio (sia con atto pubblico, sia con scrittura privata in cui la persona scrive autonomamente le proprie volontà e fa autenticare le firme dal notaio), in entrambe i casi il notaio conserva l’originale,
- presso l’Ufficio di stato civile del Comune di residenza (con scrittura privata) che provvede all’annotazione in un apposito registro, ove istituito,
- presso le strutture sanitarie competenti nelle regioni che abbiano regolamentato la raccolta delle DAT,
- presso gli Uffici consolari italiani, per i cittadini italiani all’estero (nell’esercizio delle funzioni notarili).
Tutte le DAT sono trasmesse e inserite nella Banca dati nazionale delle DAT istituita presso il Ministero della salute attiva dal 1 febbraio 2020.
Possono accedere ai servizi di consultazione delle DAT registrate alla Banca dati nazionale, attraverso autenticazione SPID o CNS, il disponente e il fiduciario eventualmente da lui nominato nonché il medico che ha in cura il disponente in situazioni di incapacità di autodeterminarsi ed è chiamato ad effettuare accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche o eseguire trattamenti sanitari sul disponente.
Spunti bibliografici per approfondire:
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