Era il 43esimo del primo tempo, Danimarca e Finlandia erano sullo 0-0 e al Parken Stadium di Copenaghen nessuno poteva immaginare quale dramma umano stava per andare in scena: il centrocampista danese Christian Eriksen, giocatore 29enne di proprietà dell’Inter, dopo aver barcollato è caduto rovinosamente a terra in avanti.
Il muro umano
Di lì a poco il suo cuore si è fermato. I compagni di squadra si sono subito accorti della potenziale tragedia e in particolare Simon Kjaer, il capitano, è prontamente intervenuto mettendolo in posizione di sicurezza prima dell’arrivo dei sanitari e dando direttive ai colleghi su come proteggere lo sfortunato compagno.
Quindi, mentre i soccorritori svolgevano celermente il proprio lavoro, i giocatori della Danimarca hanno creato una sorta di muro umano per salvaguardare la privacy del loro compagno in un momento tanto terribile. Immagine che ha fatto il giro del mondo e che resterà scolpita nella nostra memoria come un meraviglioso esempio di ‘squadra’ e di sport.
Christian è stabile
Comunque… Dopo un tempestivo massaggio cardiaco cui ha fatto seguito l’uso del defibrillatore, alla fine il cuore di Christian Eriksen è ripartito. E le immagini di lui, cosciente, con una mano sulla fronte e una maschera d’ossigeno sul volto, mentre abbandona il rettangolo di gioco su di una barella, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a tutto il mondo.
Le sue condizioni cliniche ora sono stabili e con ogni probabilità l’atleta andrà incontro a una lunga serie di indagini mediche, prima di capire quale potrà essere il suo futuro nel calcio professionistico.
I momenti tremendi vissuti da tutti quando il calciatore era a terra esanime, hanno subito riportato alla memoria un caso analogo, che però (purtroppo) ha avuto un epilogo assai diverso: quello del giocatore del Livorno Piermario Morosini, accasciatosi sul prato verde il 12 aprile del 2012 al 29esimo minuto di Pescara-Livorno e deceduto all’età di soli 25 anni.
Ma perché Piermario è morto su un campo di calcio mentre Christian potrà fortunatamente raccontare la sua disavventura? Semplice fortuna? Il ‘caso’ Morosini fu più complicato? Le condizioni cliniche di quest’ultimo erano più gravi? O… Si poteva decisamente fare di meglio per quanto riguarda i soccorsi?
Eriksen: soccorsi tempestivi ed efficaci
Come spiegato all’ANSA (VEDI) dal presidente nazionale del 118 Mario Balzanelli, “Il soccorso immediato ed appropriato assicurato poche ore fa sul campo ad Eriksen ha fatto la differenza tra la vita e la morte”.
Già, perché per Christian la macchina dei soccorsi si è rivelata tanto celere quanto ‘appropriata’: “Un massaggio cardiaco immediato ad una vittima di arresto cardiaco improvviso, attivato entro i primi 90 secondi, e la scarica erogata da un defibrillatore entro i primi 5 minuti hanno significative probabilità di salvare la vita senza esiti neurologici invalidanti” ha sottolineato Balzanelli.
E, dalle informazioni trapelate, sembra proprio che sia successo questo in quei minuti terribili, in cui mani capaci e presidi fondamentali hanno strappato il ragazzo alla morte e lo hanno riportato ai suoi affetti. Con protocolli e linee guida a fare ‘ordine’ e a evitare errori.
Morosini: caos e linee guida ignorate?
Con il povero Piermario, purtroppo, fu tutto diverso. E le immagini (foto e video) dei soccorsi di quel giorno, diffuse dai media, furono a dir poco imbarazzanti e tuttora rappresentano un chiaro esempio di ciò che non si deve assolutamente fare durante emergenze di quel tipo.
E ciò fin dal momento in cui il giocatore cadde a terra: intorno a lui si generò un autentico e confuso parapiglia dove nessuno, ma proprio nessuno, sembrava sapere con sufficiente certezza quali fossero le decisioni da prendere e cosa fare.
Medici e soccorritori sembravano essere totalmente nel pallone e si perse un sacco di tempo prezioso. La cosa più strana è che in quello stadio, in quel momento, c’erano ben 3 defibrillatori (VEDI), ma… Secondo le testimonianze di chi era lì (come un volontario della Croce Rossa, VEDI) non vennero usati: “Per precauzione andai a prendere il defibrillatore e lo aprii vicino alla testa del giocatore, senza accenderlo”. Eppure il medico (Porcellini) che, a suo modo, stava tentando di rianimare Piermario e che era il presunto Team Leader, non lo usò. “Non ho sentito nessuno dire di utilizzare il defibrillatore” specificò il volontario davanti al pm.
Anche l’infermiere del 118 (VEDI) giusto sul posto in quel dannato giorno confermò: “Quando sono arrivato in campo c’erano già il medico del Pescara Sabatini e quello del Livorno Porcellini, il defibrillatore era aperto all’altezza della testa di Morosini, ma non so se era acceso, e io ho segnalato per due volte che c’era il defibrillatore, ma nessuno lo ha utilizzato e nessuno mi ha detto di utilizzarlo”.
”Normalmente chi arriva prima guida le operazioni . Non so chi arrivò prima quel giorno, ma Porcellini stava eseguendo un massaggio su Morosini, dunque è probabile che sia arrivato lui per primo e che fosse lui il leader in quel momento. Molfese ha soltanto guardato e non ha fatto niente. C’era una grande confusione e nessuno dava disposizioni” concluse il sanitario.
Una tragedia causata dall’incompetenza, quindi? Nì. Perché nonostante i fotogrammi inquietanti dei soccorsi al povero Morosini, alla fine i tre medici (Molfese, Porcellini e Serafini) coinvolti si sono ‘salvati’. Dopo la condanna per omicidio colposo in primo e secondo grado, infatti, nel 2019 c’è stato un colpo di scena: la Cassazione ha annullato tutto.
Secondo gli Ermellini, infatti, le valutazioni espresse nella sentenza di condanna e “poste alla base della ritenuta sussistenza del nesso di derivazione causale tra le condotte dei sanitari e la morte improvvisa del giovane calciatore”, risultavano “da un lato carenti e dall’altro inficiate da aporie logico-argomentative”.
Ma non solo. Per la Suprema Corte, nella sentenza d’appello “non sono state considerate le condizioni di concitazione e urgenza, in cui si svolse l’azione di soccorso, nella prospettiva della concreta esigibilità di una condotta diversa da parte dei medici”.
Perciò è stato disposto il rinvio presso la Corte d’Appello di Perugia, che ha accolto i rilievi della Cassazione e ha infine assolto i tre imputati (VEDI). Rimangono le immagini, agghiaccianti, di quei momenti interminabili. Che speriamo di non vedere mai più.
L’importanza della formazione
Il presidente del 118 Balzanelli ha voluto anche evidenziare quanto concetti come formazione e sensibilizzazione siano fondamentali: “Auguriamo ad Eriksen la più pronta e completa guarigione. E auspichiamo, contestualmente, con massima urgenza, il decollo istituzionale ‘intensivo’ di ogni percorso di formazione-addestramento della popolazione nazionale in tema di conoscenza teorico-pratica delle manovre salvavita del Primo Soccorso, in tutti gli ambienti di vita e di lavoro, ma particolarmente a partire dagli anni della formazione scolastica.”.
Già, la scuola. Posto in cui, secondo la Legge 107/2015 art. 1 comma 10, agli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado dovrebbero essere insegnate le manovre salvavita.
“Riteniamo di estrema importanza da parte dello Stato attivare, dopo ben 27 anni, questa svolta sostanziale di civiltà che riguarda la vita di noi tutti, e consentire finalmente a chiunque si trovi di fronte a un arresto cardiaco (dopo 3-4 minuti dall’insorgenza le lesioni cerebrali diventano irreversibili), di saper mettere correttamente due mani sul torace e di poter disporre in tempi brevissimi di un defibrillatore si tratta di salvare innumerevoli vite, di qualunque fascia d’età, ogni giorno, ovunque, come la storia di Eriksen dimostra con estrema chiarezza, vite che diversamente continueranno, dati alla mano, a spegnersi” ha concluso Balzanelli.
Autore: Alessio Biondino
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