Esecuzione di un prelievo venoso: le buone pratiche infermieristiche

L’esecuzione di un prelievo venoso è certamente una delle più comuni pratiche infermieristiche; in uso fin dagli albori della medicina (descritta già dai tempi di Ippocrate), tale pratica viene ritenuta di semplice esecuzione anche se in realtà la maggior parte degli errori nella diagnostica di laboratorio (circa il 60-70%) si concentrano proprio nella cosiddetta fase “preanalitica”, la fase cioè in cui è determinante il fattore umano.

Qui gli errori possono essere legati ad una non corretta identificazione (del paziente o del campione prelevato), ad emolisi o coagulazione del campione, ad insufficienza dello stesso in relazione all’esame diagnostico richiesto.

Esecuzione di un prelievo venoso: le buone pratiche

Elenchiamo di seguito le buone e corrette pratiche infermieristiche da seguire nell’esecuzione di un prelievo venoso: la scelta del dispositivo e del calibro, l’identificazione del paziente, scelta del punto di prelievo, la corretta etichettatura, la corretta procedura e cosa fare appena terminato di prelevare il sangue.

Scelta del dispositivo per eseguire un prelievo venoso

Di primaria importanza, nell’approcciarsi all‘esecuzione di un prelievo venoso, risulta la scelta del dispositivo da utilizzare: da preferire quello che prevede integrazione di aghi monouso con sistemi di supporto (adattatori o “camicie”) forniti di sistemi di sicurezza e provette sottovuoto (vacuum).

L’utilizzo della classica siringa per il prelievo ematico dovrebbe essere limitato a quelle situazioni in cui il materiale di cui sopra non sia disponibile o quando la vena reperita può collassare se sottoposta alla pressione negativa del sistema.

In questo caso è necessario graduare l’aspirazione e prelevare quantità modiche di sangue (non più di 20 ml nella singola siringa), togliere l’ago con gli appositi dispositivi (non con le mani!) e far defluire lentamente il sangue nelle provette che poi saranno chiuse.

Quelle contenenti anticoagulante andranno delicatamente mescolate per inversione.
L’esecuzione di un prelievo venoso comporta rischio biologico ed è quindi necessario utilizzare i DPI e seguire procedure che evitino il pericolo di puntura accidentale.

La scelta del calibro dell’ago in un prelievo venoso

Pur essendo assai diffuso l’utilizzo dei butterfly o “aghi a farfalla”, le evidenze scientifiche consigliano di preferire aghi di calibro pari a 20 o 21 G, riservando l’uso degli aghi a farfalla a situazioni particolari (vene difficilmente accessibili per sede o calibro o esplicita richiesta del paziente).

Il prelievo venoso da ago cannula è sconsigliato: In ambito di emergenza/urgenza è diffuso l’uso di ago cannule che però può causare emolisi nel campione e quindi la letteratura ne sconsiglia l’uso per il prelievo venoso.

Identificare il paziente prima di eseguire un prelievo venoso

Secondo la Joint Commission International identificare con accuratezza il paziente significa identificarlo in quanto destinatario di una prestazione o trattamento e, in secondo luogo, verificare la corrispondenza tra quella prestazione o trattamento e quel singolo paziente.

Perché ciò sia possibile è necessario utilizzare quantomeno due modalità di identificazione univoca del singolo paziente (ad es. nome/cognome e data di nascita), ad esclusione del numero di reparto, stanza o letto.

Se in stanza di degenza sono presenti più pazienti, l’infermiere dovrà entrare in stanza con soltanto le provette di un paziente e prelevare sempre e solo un paziente per volta.

La scelta del punto di prelievo di sangue venoso

Le vene da preferire sono quelle centrali dell’avambraccio (cubitale e cefalica), in alternativa è possibile scegliere anche la vena basilica o quelle del dorso del braccio.

Solo se gli accessi sopra descritti non risultino accessibili si potranno utilizzare le vene del polso e le vene metacarpali della mano.

Le vene dei piedi rappresentano l’ultima risorsa ma occorre tenere presente che il loro utilizzo per il prelievo venoso comporta maggiori probabilità di complicanze.

Prelevare il sangue venoso da un sito di infusione: il prelievo da un sito di infusione è fortemente sconsigliato ma se si decide comunque di praticarlo bisognerà prevedere l’arresto del flusso di infusione per almeno 2 minuti e la rimozione preventiva di almeno 5 ml di sangue.

L’etichettatura della provetta del campione di sangue

Le provette devono essere etichettate prima del prelievo, mai successivamente, preferibilmente con sistemi di produzione automatica delle provette e sistema di etichettatura automatica.

L’infermiere

Il manuale, giunto alla X edizione, costituisce un completo e indispensabile strumento di preparazione sia ai concorsi pubblici sia all’esercizio della professione di infermiere. Con un taglio teorico-pratico affronta in modo ampio ed esaustivo tutte le problematiche presenti. La prima parte concettuale ricostruisce l’organizzazione del mercato sanitario e affronta gli elementi tipici del processo di professionalizzazione dell’infermiere, a seguito delle novità della Legge Lorenzin n. 3/2018. La stessa parte evidenzia gli aspetti innovativi della professione avendo cura di offrire al lettore un’ampia panoramica sulle teorie del Nursing e l’utilizzo dei nuovi strumenti operativi. Al termine di ogni capitolo, test di verifica e risposte commentate permettono di verificare il grado di preparazione raggiunto e di allenarsi in vista delle prove concorsuali. La seconda parte applicativa prevede l’adozione di casi clinici quale strumento di attuazione della teoria alle procedure tipiche dell’assistenza infermieristica di base, specialistica e pre e post procedure diagnostiche, presentandosi come un validissimo supporto tecnico e metodologico all’esercizio della professione. Il manuale risulta essere uno strumento prezioso sia per lo studente sia per chi già opera nelle strutture sanitarie, in quanto offre al lettore la possibilità di valutare passo a passo le conoscenze acquisite attraverso la risoluzione dei test di verifica presenti alla fine di ogni capitolo e l’analisi motivata delle risposte. Nella sezione online su www.maggiolieditore.it, accessibile seguendo le istruzioni riportate in fondo al volume, saranno disponibili eventuali aggiornamenti normativi.   Cristina FabbriLaurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Laureata in Sociologia, Professore a contratto di Infermieristica, Università degli Studi di Bologna, corso di Laurea in Infermieristica-Cesena. Dirigente Professioni sanitarie Direzione Infermieristica e Tecnica Azienda USL Romagna, ambito Ravenna.Marilena MontaltiInfermiere, Dottoressa in Scienze infermieristiche e ostetriche. Master II livello in Ricerca clinica ed epidemiologia, prof. a.c. C. di Laurea in infermieristica, Università di Bologna. Responsabile Infermieristico Dipartimento Internistico, Azienda della Romagna Ambito di Rimini.

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La procedura per l’esecuzione di un prelievo venoso

Igiene delle mani

Eseguita l’igiene delle mani e indossati i guanti monouso si può procedere al prelievo di sangue venoso. Qualora sia necessario togliere un guanto per facilitare la palpazione e il reperimento della vena, lo stesso dovrà poi essere reindossato prima di procedere alla venipuntura.

Applicare il laccio emostatico

E’ prassi consolidata applicare il laccio emostatico per favorire il reperimento della vena ed evitare il collasso della stessa durante la procedura; in realtà, in presenza di vene grosse, visibili e facilmente palpabili, è preferibile non applicare il laccio emostatico.

Qualora si ritenga necessario applicarlo, lo stesso dovrà essere posizionato circa 10 cm al di sopra del sito prescelto, con una pressione sufficiente a generare stasi ma non a provocare dolore o ostacolare la circolazione arteriosa e non dovrà essere tenuto in sede per più di un minuto.

Disinfettare la zona del prelievo

Eseguire l’antisepsi del punto di prelievo con clorexidina gluconato 2% in soluzione alcolica 70%, procedendo sempre nello stesso verso e asciugare accuratamente per evitare contatto tra sangue e alcol (causa di emolisi).

Inserimento dell’ago

La letteratura scientifica non formula specifiche raccomandazioni sulle tecniche di inserimento dell’ago in vena poiché si ritiene che ogni infermiere sviluppi esperienza nella prassi tale da rendergli la tecnica familiare e appropriata nelle specifiche situazioni; si raccomanda solo di non accanirsi con l’ago all’interno del sito di prelievo quando il reperimento è difficile, in quanto questo comporta probabili lesioni ai tessuti, disagio e/o danno al paziente e compromissione dell’idoneità del campione.

Dopo due tentativi falliti è buona prassi, quando possibile, lasciare il prelievo ad un collega (magari più esperto).

Termine del prelievo venoso

Al termine della raccolta dei campioni si rilascia il laccio (se presente) si estrae l’ago e si posiziona un batuffolo asciutto chiedendo al paziente di operare una leggera pressione mantenendo il braccio disteso (mai piegato).

Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo

La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa.  Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.

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Dopo l’esecuzione del prelievo di sangue venoso

Terminata la procedura, l’infermiere elimina negli appositi contenitori il materiale utilizzato, verifica le condizioni del paziente (malessere, lipotimia, insorgenza di ematomi), registra la prestazione e invia le provette con le richieste in laboratorio secondo le procedure definite dalla struttura.

Il prelievo di sangue venoso è una delle tante prestazioni che determinano interazione tra infermiere e paziente, pertanto, perché davvero possa essere una “best practice”, durante tutta la procedura la comunicazione dovrà essere assertiva, l’atteggiamento rispettoso della privacy e “non giudicante”, ed il consenso alla procedura indispensabile prerequisito.

Per approfondire:

  • Lippi G., Caputo M., et all (2008) Raccomandazioni per il prelievo venoso, Biochimica clinica, vol.32, 569-577
  • Scales, K.(2008), A pratical guide to venepuncture and blood sampling, Nursing standard, 26(29), 30-36
  • Joint Commission International, Accreditation Standards for Hospitals, 6th Edition, 2017

 

Autore: Filippo Di Carlo, studio DMR

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L’infermiere e l’interpretazione dell’EGA o emogasanalisi

 

Studio Infermieristico DMR

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