Farmaco etico: conosciamo cosa somministriamo tutti i giorni?

Alexandra Alba 28/01/17
Nella definizione di “farmaco etico” iniziamo con l’esplicitare l’ovvio: l’aggettivo etico non possiede il significato squisitamente morale dell’etica filosofica, ma va inteso come sinonimo di deontologico, professionale(Wikipedia). Parliamo di farmacoetica o farmacologia etica.

Farmaco etico: con un poco di zucchero la pillola va giù … ma che pillola?

Il termine medicinale o farmaco possiede una definizione legislativa univoca; con questo termine intendiamo “ogni sostanza o composizione avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, nonché ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo o all’animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell’uomo o dell’animale”.

I prodotti canonicamente registrati come medicinali vengono classificati in tre grandi gruppi:

1. Medicinali da banco:
sono i prodotti di automedicazione che possono essere acquistati senza necessitare della prescrizione medica, e che sonno soggetti a pubblicizzazione. Il fatto che tali medicinali abbiano libera vendita non li rende immuni da effetti collaterali, avvertenze particolari o controindicazioni. Tuttavia vengono giudicati “sufficientemente sicuri” grazie al dosaggio impiegato o al principio attivo “innocuo”.

2. Medicinali senza obbligo di prescrizione:
analoghi ai precedenti, sebbene vi sia l’obbligo di pubblicizzarli. Rappresentano il medicinale “da consiglio” che il farmacista è autorizzato a proporre, a propria discrezione, sulla base delle problematiche proposte dal cliente.

3. Farmaci etici:
sono i farmaci che richiedono la prescrizione medica e che, conseguentemente possono essere venduti solo in presenza della ricetta medica. Il farmaco etico non è un medicinale di automedicazione, non può essere riassunto di propria iniziativa a terapia conclusa, neanche se i sintomi sembrano essere i medesimi.

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Amicizia tra farmaci equivalenti e Servizio sanitario nazionale

I farmaci equivalenti – fino a poco tempo fa conosciuti con l’appellativo di “generici”- necessitano di prescrizione medica. Identici in ogni singola componente chimica al prodotto originale dell’azienda farmaceutica, e quindi al prodotto di marca o etico, sono immessi in commercio una volta scaduto il brevetto, e avendo un costo sostanzialmente inferiore rispetto al “fratello legittimo” – circa il 20% in meno – , costituiscono risparmi significativi sia per il paziente, che per il Sistema sanitario nazionale.

Tuttavia è bene aggiungere che tra i farmaci etici ed equivalenti non è solo la differenza di prezzo che va sottolineata: i primi hanno un copyright che impedisce ai produttori dei secondi, di utilizzare gli stessi eccipienti degli originali.

Qual è la “summa differentia” dunque tra questi fratelli di medesima madre ma non di padre? È la metodologia dell’attivazione del principio attivo a divergere in questi due tipi di farmaci, oltre alla tempistica in cui esso agisce ed alla velocità dalla quale viene eliminato dall’organismo. Tuttavia l’azione finale del farmaco rimane invariata.

Un medicinale miracoloso è qualsiasi medicina che faccia ciò che l’etichetta dice che farà” (Eric Hodgins). Negli ultimi anni si è sviluppata una maggiore coscienza collettiva, oltre ad una nuova e rampante politica farmaco-economica, dettata dalla sostenibilità dei costi, il cui scopo pare essere non inficiare minimamente la qualità e la sicurezza di ogni prodotto.

L’asserzione – che per quanto inflazionata dall’ovvietà va ripetuta con il dovuto senso critico- è la seguente: il farmaco è un bene necessario, il quale pur essendo diventato un bene di uso quotidiano, non potrà mai essere considerato un qualsiasi prodotto di consumo, questo perchè la sua elevata specificità lo rende una merce etica (e stavolta il termine etico va inteso esattamente con la sua accezione originaria) essenziale per la tutela della salute dei cittadini e il miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

La supremazia incontrastata delle case farmaceutiche

Il Dr. Richard Horton, editore della rivista medica The Lancet, rivela che molto più spesso di quel che si pensa gli studi farmacologici sono intrisi di inaffidabilità, falsificazione e manipolazione. Il fine dell’impero farmaceutico dunque, prescinderebbe dalla salute delle persone, essendo esclusivamente volto ad un profitto immondo e sguaiato.

Gwen Plsen, ex rappresentante dell’industria farmaceutica, sostiene come nell’ultimo trentennio l’industria farmaceutica si sia dedicata a generare miliardi di dollari attraverso la promozione di trattamenti per nuove e più profittevoli malattie, invece di sviluppare nuovi antibiotici. Diamo per un istante un’occhiata alle cifre:

  • 2001 – introito di 390 miliardi di dollari
  • 2013 – introito triplicato.

L’ OMS sostiene che le dieci maggiori compagnie del settore controllano un terzo del mercato. Tali compagnie spendono nel marketing, ed è questa la cartina di tornasole di questa nostra società, due volte di più che nella ricerca. Non stupisce né disorienta che i cosiddetti “complottisti” ritengano l’industria farmaceutica una “mafia chimica” senza etica né valori. L’ipostasi della teoria complottista è che la morte dei pazienti o la persistenza della loro malattia è la precipua causa degli introiti. Assurdo! Assurdo… Assurdo?

Lungi dallo spingermi troppo oltre, posso solo asserire in “scienza e coscienza” che la medicina non può e non deve avere legami con traffici e commerci. La sua purezza e la sua maestosità DEVONO essere preservate con tutti i mezzi di cui il sistema usufruisce.

Alexandra Alba

Continua:

http://www.dimensioneinfermiere.it/bioetica-contributo-professionisti-sanitari/

Alexandra Alba

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