Trend di contagi e infezioni in calo costante dal 2012, anche fra la popolazione straniera (dal 2016). Ma se i numeri sono incoraggianti lo stesso non si può dire della consapevolezza culturale e dello stigma sociale che Aids e HIV comportano. Soprattutto fra i più giovani.
Ferri (Anlaids): “Terapie HIV? dieci anni di rivoluzione ma ostacoli dalla cultura”
Le regioni italiane a massima diffusione? Lazio e Lombardia. Con una maggiore incidenza nei giovani tra i 25 e i 29 anni. È quanto emerge dal report diffuso dal COA (Centro operativo Aids) che monitora in Italia la diffusione dell’HIV. Nel report più recente di fine dicembre 2020 (dati 2019) infatti si legge che relativamente alla fascia giovanile più colpita si è registrata un’incidenza di 10,4 nuovi casi ogni 100.000 residenti. Mentre nella fascia più adulta tra i 30-39 anni, si scende a 9,8. In assoluto sono 2.531 i nuovi casi, con una media sul territorio di 4,2 nuovi casi ogni 100mila abitanti. L’incidenza negli uomini è addirittura quattro volte superiore a quella nelle donne.
Numeri che necessitano, tra gli esperti e gli educatori in particolare, dell’apertura di una serie di riflessioni. “La diffusione dell’HIV tra i giovani – commenta a True Pharma Patrizia Ferri– ci ricorda ancora una volta l’importanza di investire in formazione. I dati mostrano come spesso l’infezione che si manifesta tra i 25-29 anni venga contratta in realtà dieci anni prima, durante i primi rapporti sessuali”. Per questo motivo, secondo la segretaria regionale di Anlaids, diventa fondamentale il lavoro nelle scuole sui ragazzi in età adolescenziale. L’associazione prosegue quest’attività da oltre 20 anni e se “in passato lo facevano anche le Asl, ora molte delle attività sono demandate ad associazioni e terzo settore”.
La pandemia ha portato con sé problemi anche per chi si occupa di prevenzione e sensibilizzazione. “Quest’anno – spiega Ferri – faremo incontri tanto in presenza quanto da remoto, e sono molte le scuole e le classi che hanno aderito mentre nel corso del 2020 è stato difficile attrezzarsi per mantenere le attività in particolare durante la prima ondata”. “Registriamo però un ostacolo sociale importante: il pregiudizio non è cambiato. Nei contesti familiari, come nella percezione dei ragazzi, ancora oggi si pensa che l’Aids sia ‘un’infezione della colpa‘ che viene associata a larga maggioranza alle prostitute e agli omosessuali come emerge dai questionari che sottoponiamo”. E se è vero che nel tempo “la comunicazione è cambiata”, ancora oggi “troppi giovani non hanno nemmeno la contezza che si tratta di un’infezione sessualmente trasmissibile”.
Su quale punto battere? “Bisognerebbe abituarsi a fare gli screening preventivi non solo quando si manifestano i primi sintomi come spesso accade: più della metà delle nuove diagnosi avviene in fase già avanzata, quando ci sono i sintomi e nel corso di un check up viene suggerito di provare a fare anche il test HIV a cui tanti, troppi, arrivano solo quando è già presente un’infezione polmonare, uno dei primi sintomi a comparire”.
Negli ultimi anni l’associazione e i pazienti sono attivi anche su battaglie semantiche e altre operative. La prima? “Parlare non di persone sieropositive ma di persone con HIV”. La seconda? “L’utilizzo dei contraccettivi per riuscire a contenere l’infezione, è questa l’arma preventiva fondamentale”. Lo dimostrano i dati: l’84,5% delle nuove diagnosi infatti – sempre leggendo l’ultimo rapporto del centro COA – è da attribuirsi a rapporti sessuali non protetti. Una percentuale che rimarca la necessità e l’importanza di una campagna informativa il più possibile efficace sul tema (anche se all’interno delle mura scolastiche ad oggi è proibita la distribuzione di preservativi).
Nella lotta all’Aids l’Italia tuttavia registra un trend incoraggiante: dal 2012, anno di entrata in vigore a pieno regime dei nuovi farmaci, c’è una generale e costante di diminuzione dell’infezione, dato che dal 2016 si registra anche tra i cittadini stranieri. Tra i progetti portati avanti da Anlaids c’è anche la proposta di aumentare e incentivare il test salivare. “All”interno delle nostre sedi stiamo cercando di facilitare l’uso di questo test – spiega Patrizia Ferri – sulla base di una proficua collaborazione con l’ospedale Spallanzani di Roma. Con il lockdown alcune iniziative sono state sospese ma abbiamo comunque proseguito l’attività di counseling telefonico, unico mezzo per intrattenere una relazione in quella fase”. Si tratta di un servizio attivo dal 1985, sin dalla nascita. A rispondere c’è un operatore formato presso l’Istituto Superiore di Sanità assieme ad uno psicologo psicoterapeuta. “Fondamentale a causa dell’isolamento forzato dei lockdown che ha visto aumentare le emergenze di panico e si sono verificati numerosi casi di ansia e di stress”. In media il centralino riceve dalle 10 alle 15 chiamate al giorno. Nell’anno della pandemia Covid si sono toccate vette in alcune giornate di 50-60 chiamate. “Ci è stato anche chiesto di fare da intermediari con gli ospedali, specie quando i pazienti non riuscivano a mettersi in contatto con i medici. Nel periodo di maggiori restrizioni ad esempio, in quanto associazione attiva sul territorio, ci siamo organizzati per portare farmaci a domicilio e mascherine”.
Un bilancio dell’ultimo decennio di Anlaids? “Gli ultimi 10 anni sono stati una rivoluzione – chiude Ferri – ma non c’è stato il passo in avanti sullo stigma. Oggi la maggior parte delle terapie vanno assunte con una sola pasticca al giorno mentre un tempo era necessario un cocktail di farmaci con annessi effetti collaterali. Addirittura c’è in sperimentazione una terapia che si basa su puntura mensile o trimestrale quindi la scienza sta facendo passi da gigante, ma rimane parecchio da lavorare sulla cultura”.
Fonte: true-news.it
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