Fuga di cervelli: gli infermieri italiani “scappano” in Norvegia

Nicolò Cuocci 11/12/23

In Italia, la professione infermieristica, che, al pari di molte altre, ha conosciuto un lungo biennio di crisi a causa della pandemia dovuta al Covid, solo nel mese di settembre, ha registrato uno dei numeri più bassi di partecipanti per il test universitario che permette poi l’accesso allo studio.
Il dato, infatti, si è dimezzato in circa dieci anni e non interrogarsi o allarmarsi su questo potrebbe costituire un errore sia nel breve che nel lungo termine; un errore che il futuro potrebbe non perdonarci, anche difronte alle soluzioni “tampone” che il Governo intende intraprendere per colmare questo gap, fornendo aiuto da infermieri esteri, provenienti, nello specifico, da Africa e India. Agli studenti sopracitati, che sembrano aver perso l’interesse in questa professione, si aggiungono i già formati infermieri che, sempre più numerosi di anno in anno, scelgono da un lato di abbandonare il lavoro o di trovarlo oltre i confini del “Bel Paese”.

Se è vero, da una parte, che ci sono realtà estere più conosciute e, per un lavoratore italiano, di conseguenza, più dirette, come Germania e Svizzera, e, allontanandoci dai confini italiani, Gran Bretagna, è anche vero, dall’altra, che realtà più lontane, sia geograficamente che culturalmente, sono meno conosciute e, forse meno ricercate per chi voglia cambiare.

È il caso, quindi, di parlare della Norvegia, Paese scandinavo, che si affaccia all’Europa, pur non facendone parte, attraverso lo Spazio economico europeo (lo stesso che permette di lavorare in Svizzera).

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L’infermiere in Norvegia: il Sistema Sanitario

Senza voler indagare in modo approfondito le varie cause che possano spingere un infermiere a ricercare un lavoro oltre i confini nazionali, questo articolo si pone come fine quello di ricostruire, in modo semplice ed efficace, non solo la realtà infermieristica, ma anche le dinamiche all’interno del mondo del lavoro della Norvegia.

Partendo dal Sistema Sanitario, questo è, per suddivisione, molto simile all’Italia: si suddivide, in linea di massima, in realtà private e in realtà pubbliche, il che permette all’utente di affidarsi ora all’uno, ora all’altro.
Se esiste questa analogia, le modalità di accesso al lavoro si presentano in modo molto più dinamico e flessibile rispetto all’Italia. Innanzitutto, qualsiasi posizione lavorativa, sia nel privato che nel pubblico, si ottiene attraverso una candidatura, a cui viene aggiunta una “raccomandazione” – sistema molto in uso anche in altri Paesi, consistente in un giudizio, fatto da un precedente datore di lavoro e poi facente parte a tutti gli effetti del proprio curriculum vitæ –, seguita da un colloquio di lavoro. Ogni candidatura presenta, inoltre, la percentuale di lavoro richiesta dal datore di lavoro per ogni incarico: questo permette, di conseguenza, di poter scegliere a seconda delle proprie necessità, in ogni momento, integrando, in questo modo, anche fasce di professionisti/e che non possono garantire il 100% per un incarico.
Questo modo di presentare il lavoro è, a conti fatti, un modo di garantire il lavoro per tutti e di ottenerlo nel più breve tempo possibile, a fronte invece di concorsi, molto spesso anche molto complessi, lunghi e costosi da affrontare da parte dei professionisti italiani, da conseguire per ottenere il lavoro nella sanità pubblica italiana. 

L’infermiere in Norvegia: il rapporto infermiere – paziente

Entrando ora nel dettaglio, nella realtà assistenziale norvegese, è previsto un rapporto molto equilibrato tra pazienti e infermieri che, nelle realtà più tranquille, è al massimo di 1 ogni 10 pazienti.
Questo basso numero di pazienti per infermiere, unito al lavoro interdisciplinare di assistenti e OSS, permette non solo di essere presenti durante tutto il percorso terapeutico-assistenziale del paziente, ma anche di prevenire e programmare degli interventi contro potenziali peggioramenti e, di conseguenza, migliorare la qualità di vita del paziente.


L’infermiere in Norvegia: lo stipendio

Dal punto di vista salariale, è invece, più difficile offrire un dato oggettivo, valido per tutti, per molteplici ragioni: in Norvegia esiste solo un’indicazione circa la paga oraria minima per gli infermieri, che si aggira intorno ai 30€: questo dato però è quasi sempre maggiore, in quanto, non essendoci un contratto collettivo che definisca una volta per tutte un reddito medio, né un obbligo di ore da raggiungere per le condizioni di lavoro sopradescritte, ogni realtà che offre un lavoro, allo stesso modo deve offrire un stipendio ragionevolmente più attrattivo e competitivo rispetto ad altre aziende. 

Per questo, è possibile affermare che un reddito di un lavoratore in Norvegia è compreso tra i 40 e i 65 mila euro, a fronte di un costo della vita che è sicuramente più alto rispetto a quello italiano ma qualitativamente migliore sia per servizi, sia per Welfare più interessato al buon funzionamento di uno Stato così avanguardista, permettendo, in questo modo, di risparmiare non poco. 

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L’infermiere in Norvegia: le conclusioni

A fronte di tutto questo, viene da chiedersi come mai la Norvegia ha bisogno di infermieri, e la risposta, abbastanza scontata, può essere presa da una delle dichiarazioni del ministro Schillaci, secondo il quale questa è una mancanza diffusa in tutte le realtà. Se è vero questo, da un lato, è vero anche che le possibilità di fare carriera o semplicemente le condizioni di alcuni Paesi sono non solo più favorevoli in termini economici, ma anche in termini culturali di professione infermieristica, per troppo tempo, e ancora oggi in Italia, vista socialmente ed economicamente come, non solo l’ultimo fanalino di coda del sistema sanitario, ma anche paragonata a un’obsoleta e ormai poco credibile “missione umanitaria”.Non ci sarebbe da stupirsi dunque né se l’Italia perderà numeri sempre maggiori di infermieri nei prossimi anni, né allo stesso modo, di promuovere soluzioni che prevedano l’assunzione di infermieri esteri per arginare questa emorragia, senza investire su di loro neanche attraverso un corso integrativo o di lingua italiana, in un Paese europeo non solo con scarse conoscenze in lingua inglese ma anche poca voglia sociale e politica di accettare allo stesso modo i modelli assistenziali che si discostino da quelli autoctoni. Se a questo si aggiunge, poi, da un lato un più frequente utilizzo dei cittadini della sanità privata, ma dall’altro, un aumento della percentuale di disoccupazione, si intende facilmente la conclusione più immediatamente drammatica: una privatizzazione sempre più importante delle cure, con una sempre più forte emarginazione degli stessi che dovranno pagare spese più alte per accedere alle cure. Quello che dunque occorre è un mercato del lavoro che sia dinamico e competitivo, più sicurezza sul posto di lavoro e meno turni massacranti – è un bollettino di guerra il numero di infermieri morti dopo lo smonto notte- e un aumento dello stipendio, che sia garanzia di rispetto e protezione per chi lo percepisce, altrimenti, ancora, non ci sarà da stupirsi se l’Italia diventerà una “Itaca” per tutti quelli che inevitabilmente e, con l’amaro nel cuore talvolta, hanno dovuto abbandonarla per un “altrove”. 

Nicolò Cuocci

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