È passato un anno e mezzo da quando la Covid si è affacciata prepotentemente nelle nostre vite. Da quel momento in poi, l’impegno degli infermieri non ha conosciuto pause e i rischi a cui si sono esposti non hanno avuto eguali tra gli operatori sanitari.
L’impegno degli infermieri nell’era Covid
Ad aprile, infatti, come dichiarato dalla FNOPI, gli infermieri risultavano “la categoria di personale sanitario maggiormente contagiato da Sars-Cov-2” con ben 109.000 infezioni contratte sul posto di lavoro e 87 decessi causati dal virus (VEDI).
Nel periodo degli ‘eroi’ (VEDI), quello finito rovinosamente in una tempesta di atti di violenza (VEDI), se ne sono viste e sentite di cotte e di crude: elogi, lettere d’affetto, regali, parole strappalacrime di governanti e politici, promesse e fiere parentesi d’orgoglio causate dalle gesta di questo o di quel professionista.
Lo stipendio più basso d’Europa
Di riconoscimenti veri e tangibili, però, a parte un francobollo (VEDI) e una moneta (VEDI), non si è intravista nemmeno l’ombra. E gli infermieri italiani, con la classe politica che fa orecchie da mercante, continuano a percepire lo stipendio “più basso d’Europa” e a sfiorare l’indigenza (VEDI).
A denunciarlo, stavolta, è la segretaria del Nursind di Bologna, Antonella Rodigliano, che specifica come fino ad ora siano stati dati “premi a pioggia una tantum, a cui ci saremmo aspettati che sarebbe seguito un riconoscimento effettivo. E invece tutto è rimasto immutato”.
Urge adeguamento
Urge un aumento di stipendio stabile, quindi. Ma non solo: “La remunerazione del personale infermieristico del servizio sanitario nazionale, direttamente impiegato nel contrasto al Covid-19, a distanza di due anni dall’inizio della pandemia resta ancora la più bassa tra gli Stati maggiormente industrializzati in Europa e in tutto il mondo occidentale però non è solo una questione di remunerazione, ma anche di carichi di lavoro eccessivi per mancanza di personale” spiega la Rodigliano.
La carenza di personale
Eh già. Adesso che ci si è ricordati che il SSN è in mutande (VEDI) e che bisogna assumere infermieri, ci si è accorti che quelli in giro sono veramente pochi per compensare le carenze di un sistema vicino al tracollo. Non c’è tempo per formarli. Non si può nemmeno affibbiare qualche competenza in più agli OSS (anche se ci hanno provato alla grande…). Perciò bisogna ‘rubarli’ ai privati snellendo le procedure concorsuali, cosa che mette in crisi anche loro e che li costringe a cercarli all’estero (VEDI).
Favoritismi e nepotismi
Ma “i problemi non sono finiti qui. C’è anche un’organizzazione che non premia chi è in prima linea, chi svolge carichi di lavoro maggiormente pesanti. Non c’è una rilevazione, un monitoraggio costante dello stress da lavoro. Non si inserisce l’infermiere nel posto giusto in rapporto alle sue capacità e attitudini. E come se tutto ciò non bastasse, sopravvivono ancora favoritismi e nepotismi” asserisce la numero uno del Nursind di Bologna.
Riscontri irrisori da parte di Stato e Regioni
Eppure, durante le fasi più brutte dell’emergenza Covid, sembrava proprio che nei palazzi del potere un po’ tutti si fossero convinti dell’importanza della categoria infermieristica e di come fosse necessario riconoscerla finalmente a dovere. Solo a chiacchiere, purtroppo: “si era aperta una fase in cui lo Stato e le Regioni avevano preso coscienza, ma i riscontri sono stati irrisori” ricorda Rodigliano.
Che conclude “Solo valorizzando gli infermieri si potrà riuscire a recuperare le tante prestazioni sanitarie rinviate per fronteggiare la pandemia. Oggi l’emergenza non è più il Covid19, ma l’arretrato che si è creato tra nuovi pazienti non presi in carico e vecchi rinviati”.
Autore: Alessio Biondino
E gli infermieri italiani intanto sfiorano la soglia dell’indigenza
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