L’evoluzione teorica dell’infermieristica italiana, a livello normativo, si è verificata da diverso tempo, ormai. Eppure, in molte (forse troppe) realtà, vi sono ancora delle sacche di resistenza legate al passato o, più semplicemente, alla paura di essere davvero dei professionisti autonomi. A tale proposito pubblichiamo qui, per intero, una interessante riflessione inviataci da Anna Di Martino, infermiera di sala operatoria piuttosto conosciuta nel panorama infermieristico italiano.
Le ‘disposizioni scritte’
Nonostante l’abolizione del mansionario, notiamo ancora oggi la difficoltà degli infermieri a distaccarsi dalle disposizioni scritte per quanto riguarda le proprie attività.
Partendo dal presupposto che quella Infermieristica sia una professione intellettuale, come sancito già dal Decreto 739/94 e dall’abolizione del mansionario (L. 42 del 26 Febbraio 1999), si evince come vi sia una discrepanza tra il professionista di ieri ancorato alle disposizioni scritte su ciò che poteva o non poteva fare, e quello di oggi teoricamente autonomo ed indipendente.
Vado ad esporre, quindi, il mio dubbio in merito ponendomi una domanda e volendo stimolare una riflessione critica. La domanda è: se è vero (come è vero) che a livello normativo ci sono stati questa importante evoluzione e un repentino cambio di rotta, come mai molto spesso assistiamo ad un vero e proprio bisogno da parte degli infermieri che ci sia sempre qualcosa di scritto a guidare il proprio operato?
‘L’evoluzione normativa c’è, ma…’
Mi spiego meglio. La normativa che guida, descrive e disciplina la professione esiste ed è anche molto corposa (vedi Fnopi); cosa che, di per sé, basterebbe già per guidare l’operato del professionista che, come tale, dovrebbe non solo essere sicuro del proprio agire, ma anche legittimato ad esercitare la propria autonomia.
Eppure noto, leggo, sento e sperimento all’interno della professione, un timore atavico nell’esprimere questa autonomia tanto da sentire un bisogno continuo di disposizioni scritte che dicano loro di fare o non fare questa o quell’altra cosa.
Domande frequenti del genere “esiste una disposizione che descriva il compito/attività X e la responsabilità di esso?” vengono rivolte a vario titolo. A questo punto direi che bisogna necessariamente domandarsi il perché di questo fenomeno.
‘Le motivazioni? Una culturale e una formativa’
Personalmente ipotizzo che le motivazioni siano di diversa natura: una culturale ed una formativa seppur strettamente legate tra di loro. A proposito delle questioni citate ormai è risaputo come siano il tallone di Achille della professione Infermieristica, come sostengo da sempre.
L’aspetto culturale che ci vede ancora legati alla gonnella del medico prescrittore e che pensiamo ancora essere colui che ordina di eseguire, piuttosto che un dirigente o un coordinatore che debba stilare una sorta di libretto di istruzioni che ci renda più sicuri del nostro operato.
Attenzione, non sto parlando di linee guida, protocolli e procedure: strumenti legittimi che dovrebbero essere prodotti secondo specifici criteri scientifici dai professionisti stessi in virtù di un auto-governo professionale, ma di semplici disposizioni che dovrebbero, secondo molti, dirci di fare o non fare qualcosa. Ed è così che l’autonomia professionale non si esprime e muore; ed è così che lasciamo in mano a terzi la nostra credibilità.
‘E’ tempo di cambiamenti concreti e sostanziali’
Per quanto concerne la formazione è forse qui che nasce questa stortura? Forse è il caso di rivedere programmi ed assetti formativi, perché se il risultato è una insicurezza che permea la categoria, bisogna prenderne atto ed agire sulla scia del cambiamento.
In conclusione credo fermamente che la voglia di crescere sia ormai espressa in tutte le maniere, ma gli strumenti operativi che abbiamo sono forse un po’ spuntati. È tempo di organizzare gli Stati generali dell’Infemieristica ed è tempo di cambiamenti concreti e sostanziali che diano voce alla categoria e, soprattutto, risposte serie ai cittadini.
Anna Di Martino
Grazie per il francobollo, ma… Quando arriveranno riconoscimenti veri per gli ‘eroi’?
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