Una professione maltrattata, bistrattata, presa per i fondelli, malmenata, malpagata, sfruttata fino all’inverosimile in cambio di qualche elogio e considerata un semplice ‘mestiere’ dai più: eccola qui, l’infermieristica italiana, raccontata in una lettera inviata al Giornale di Brescia da un gruppo di infermieri dell’ospedale di Esine.
“Ci siamo sentiti un po’ eroi davvero”
Lo scritto inizia parlando della pandemia e dell’attenzione che tutti, media e cittadini, ebbero nei confronti degli ‘angeli’: “…Finalmente qualcuno si è accorto di noi, finalmente la società ci dà il giusto peso, finalmente qualcuno ha capito che facciamo la differenza in sanità. Ci siamo sentiti un po’ eroi davvero!”.
“Da eroi a operai”
Poi, però, la triste realtà: “Dopo i primi applausi, le prime promesse…il nulla. Adeguamento stipendi, assunzioni, riconoscimento sociale: nulla! A distanza di due anni, alle porte di un rinnovo del contratto di cui siamo felici, ma che, per quanto fatto sinora, sappiamo che non cambierà il nostro status da eroi della pandemia a operai della sanità, abbiamo seri problemi di identità”.
“Quante carenze abbiamo compensato?”
Degli ‘operai’ che compensano un po’ tutto: “A quante carenze di personale, dispositivi, comunicazione, farmaci, insomma, a quante carenze aziendali abbiamo dovuto far fronte negli anni?”
Carenze che “si sono poi amplificate a dismisura, accumulandosi a tantissimi altri ‘nuovi’ problemi. Prima, fra tutte, la sensazione di non essere organizzati a livello aziendale e tutelati a livello provinciale, regionale e nazionale”.
“Eppure…”
Eppure, nonostante “il nostro disagio identitario, continuiamo a migliorarci e a dare il meglio di noi attraverso la formazione continua, l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche, il lavoro di équipe, i salti di riposo e le ferie soppresse per garantire una continuità assistenziale di alto livello”.
“Ministro Speranza, basta elogi agli infermieri: agisca ora!”
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