I Guaritori feriti: l’impatto psicologico del coronavirus sugli operatori sanitari

Claudia Vincis 17/04/20
Non c’è nulla di più pesante della compassione.
Nemmeno il nostro proprio dolore è così pesante
come un dolore che si prova con un altro,
verso un altro, al posto di un altro, moltiplicato
dall’immaginazione, prolungato in centinaia di echi.
Milan Kundera

Sicuramente quasi tutti abbiamo visto, alla tv o sul web, i volti dei nostri Infermieri e dei nostri Medici segnati, quasi bruciati, dalle mascherine indossate per il tempo di un turno che sarà sembrato loro interminabile.

Quei segni, guariranno molto più facilmente e velocemente di quanto non faranno le ferite psicologiche. 

I Guaritori feriti: l’impatto psicologico del coronavirus sugli operatori sanitari

Gli operatori sanitari hanno dovuto sopportare un’esposizione ripetuta e continuata alla sofferenza, al dolore e alla morte di altri Esseri Umani. Tutto questo può portare a sviluppare una serie di disturbi sul piano emotivo, psicologico, comportamentale ed identitario. Molti Autori hanno evidenziato la comparsa di sindromi diverse:

  • La Compassion Fatigue
  • Il Disturbo da Stress Traumatico Secondario

Disturbo da Stress Traumatico Secondario

Il Disturbo da Stress Traumatico Secondario(STS)viene descritto come una reazione acuta che si sviluppa improvvisamente e che si manifesta in tutto e per tutto con i sintomi classici del disturbo da stress post traumatico (DPTS).

Infatti, oltre all’esperienza diretta del trauma c’è anche quella indiretta, come quella dei soccorritori. È il trauma di chi non può distogliere lo sguardo perché deve intervenire. Per fare questo si deve fare appello alla parte più nobile, motivata e resistente di se. Quella che li ha portati a scegliere una professione d’aiuto.

Soprattutto adesso, i Medici e gli Infermieri vengono chiamati eroi ma sono esseri umani fragili e vulnerabili, come ognuno di noi, che hanno scelto di mettersi al servizio del prossimo. Soprattutto adesso, per farlo in questa grave emergenza sanitaria, devono mettere in campo momentanei fenomeni di dissociazione, un meccanismo che permette agli operatori di allontanarsi da una realtà percepita come minacciosa e che li rende in grado di affrontare il dolore, la paura e la solitudine. Quella dei pazienti e anche la loro.

Questo meccanismo che nell’immediato permette loro di portare avanti il lavoro nonostante tutto, può portare a lungo termine ad adottare un atteggiamento di totale distacco dalle proprie emozioni e a cercare di controllare in maniera assoluta i propri sentimenti. Atteggiamenti di questo tipo inducono ad una incapacità di verbalizzare le emozioni e ad osservare e interagire con le persone sofferenti senza provare alcuna compassione e talvolta arrivando ad atteggiamenti al limite del cinismo.

Queste tristi storie si consumano in un tempo brevissimo, decisamente insufficiente per tirare il fiato ed avere la possibilità di elaborare e metabolizzare quanto sta accadendo, insinuando negli operatori una sensazione di impotenza che quasi toglie il respiro e prosciuga le forze.

Nonostante tutto questo, rimane la speranza, seppure flebile, che spinge a continuare a combattere.

Compassion Fatigue

Altro nemico in agguato è la Compassion Fatigue, affaticamento da compassione con una traduzione in italiano che non rende, che provoca un esaurimento profondo a livello fisico, emotivo e spirituale unito ad una intensa sofferenza psicologica. A differenza del Disturbo da trauma secondario, la Compassion Fatigue ha una comparsa molto più lenta e subdola; infatti, essa non appare da subito chiaramente evidente né ai membri dell’equipe né all’operatore stesso che fatica a capire ciò che prova.

Tra gli effetti della Compassion Fatigue possiamo avere emozioni come paura, orrore e vergogna; forme di somatizzazione come disturbi gastrointestinali, emicranie e palpitazioni ed infine abuso di sostanze tossiche.

Tutto questo carico è ricaduto sulle spalle di un personale sanitario, che sebbene porti la nostra sanità ad essere un’eccellenza, è comunque un personale già gravato dal peso di una sanità pubblica fatta di risorse insufficienti, stipendi inadeguati, strutture smantellate e lungaggini burocratiche.

Alla fine dovremo fare i conti con tutto questo.

I nostri medici e i nostri Infermieri, e noi insieme a loro, dovremo fare i conti con le voci dei pazienti che risuonano nelle orecchie la notte, con i funerali non fatti, con gli addii non dati, con la paura costante di ammalarsi e di contagiare i propri cari, con la solitudine. Ci sarà bisogno di personale specializzato per aiutare i guaritori a guarire affrontando le emozioni che ritornano e che vanno elaborate.

Attraversare il dolore per trasformarlo

Gli operatori dei servizi socio-sanitari non sono immuni dal dolore nelle loro vite. Sette momenti, nelle storie raccolte dai curatori per questo volume, che diventano le tappe di un percorso umano e professionale, ma anche, attraverso la scrittura terapeutica, un ‘lasciar andare il proprio dolore’: Ricevere la diagnosi di una malattia terminale Un lungo accompagnamento alla morte di qualcuno a cui si vuole bene Suona il telefono… La fine di una storia d’amore Un lavoro amato e sognato, il burn out dell’operatore socio-sanitario I macigni del passato tormentano il presente Fuori dal mio corpo: storia di anoressia Ogni racconto propone poi alcune pagine di riflessioni ed esercizi, e così il volume si configura anche come un’occasione di riflessione per gli operatori socio-sanitari e socio-educativi all’interno di itinerari formativi sull’etica, sull’accompagnamento alla morte e sullo sviluppo delle proprie potenzialità.

Nicoletta Todesco, Letizia Espanoli | 2010 Maggioli Editore

25.00 €  23.75 €

Ma nell’immediato cosa possono fare gli operatori sanitari per gestire la situazione?

  1. Prendersi cura di sé

Innanzitutto la prima cosa che si può fare è prendersi cura di sé.

  • Avere uno stile di vita il più salutare possibile, cercando di avere un’alimentazione sana e un’idratazione sufficiente. Inoltre cercare di controllare l’assunzione di caffeina, nicotina ed alcol.
  • Concedersi sonno e riposo e, quando possibile, fare un po’ di esercizio fisico.

Queste pratiche, che possono sembrare scontate e banali, invece generalmente sono le prime ad essere “dimenticate”. Sono fondamentali per tenere efficiente l’organismo e per sopportare meglio la pressione a cui si sarà sottoposti.

  1. Informarsi ed osservarsi.

Prendere informazioni su quali conseguenze psicologiche può avere una circostanza straordinaria come quella che stiamo vivendo può essere d’aiuto sotto molti aspetti:

  • Può aiutare a prevenire il trauma secondario
  • Può aiutare a minimizzare l’impatto psicologico dell’esperienza
  • Può aiutare a capire quali sono i limiti di sopportazione dello stress e ad accrescere la conoscenza sulla propria vulnerabilità.
  • Infine può mettere in grado di riconoscere i sintomi e quindi trovare una soluzione.

Ginnastica mentale: Esercizi di ginnastica per la mente per disturbi della memoria e altri deficit cognitivi lievi-moderati

Carta (questo volume), matita, gomma da cancellare, come optional un righello, e… buon divertimento. Questo volume invece ha lo scopo di stimolare le varie funzioni cerebrali (memoria, linguaggio, calcolo, ragionamento/astrazione) attraverso un manuale di esercizi proposti perlopiù in forma di giochi, ed è rivolto a persone anziane con problemi di memoria. Da alcuni decenni è noto che interventi di stimolazione cognitiva nell’anziano normale sono in grado di produrre effetti positivi anche a lungo nel tempo dopo l’intervento specifico. Più recente è invece l’evidenza che anche nelle persone affette da malattia di Alzheimer, per antonomasia il “nemico” delle nostre memorie, interventi di riabilitazione cognitiva hanno un ruolo terapeutico benefico. A chi si rivolge – Direttamente alle persone con disturbi della memoria e altri deficit cognitivi sia iniziali che moderati. Come nasce – Dall’attività professionale dell’autrice ma soprattutto dalla sua esperienza personale. Come è stato costruito – Gli esercizi sono differenziati. Si inizia con esercizi di base adatti a tutti e si prosegue con esercizi più personalizzati che tengono conto della fascia d’età e della scolarità. Come è strutturato – I vari esercizi attivano prevalentemente alcune specifiche zone del cervello. Sono stati appositamente mescolati per stimolare complessivamente tutte le funzioni ed anche per non scoraggiare le persone che hanno difficoltà in alcune aree specifiche. Come usarlo – Il testo può essere utilizzato in autonomia o con l’aiuto di un famigliare o di un caregiver. Si colloca nell’ambito della riabilitazione cognitiva, ma al di fuori dei classici schemi didattici e può essere utilizzato a casa. Il manuale non è stato creato per gli operatori, ma essi ne possono trarre utili spunti di lavoro. Il testo risponde alla frequente domanda posta dai familiari (per lo più i figli) “Cosa posso fare”” e vuole essere uno strumento per facilitare la comunicazione e facilitare il controllo di alcuni disturbi del comportamento quali ad esempio aggressività, depressione, wandering. Vuole inoltre dare al familiare la consapevolezza di come il proprio congiunto affetto da Alzheimer sia ancora in grado di fare qualcosa e di divertirsi: magari ridendo mentre ricorda vecchi proverbi o mettendosi a cantare le canzoni dei suoi tempi riportate negli esercizi. Cristina Gueli, Specialista in Medicina Interna è dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria dell’Ospedale Maggiore di Bologna. Ha lavorato per molti anni presso l’ex Centro esperto dei disturbi cognitivi e della memoria dell’Ospedale Maggiore di Bologna partecipando anche come docente a corsi per i familiari e per i medici di medicina generale, organizzando attività creative per i pazienti affetti da demenza come la “tombola visuale”. Prima di ciò ha vissuto in prima persona il ruolo di “caregiver” di sua madre affetta da Alzheimer.

Cristina Gueli | 2013 Maggioli Editore

19.00 €  18.05 €

  1. Gestire il tempo in modo equilibrato.

Organizzare, per quanto possibile, il lavoro cercando di fare delle pause per riprendere fiato.

  1. Stiamo in contatto con noi stessi.

Dedichiamo un po’ del nostro tempo alla riflessione. Questo ci sarà utile per consapevolizzare ciò che stiamo provando in relazione alle situazioni che ci troviamo a vivere quotidianamente e al carico emotivo che portano con sé. Inoltre questo consentirà anche di monitorare il nostro stato psicologico e nel caso trovare delle strategie per abbassare il livello di stress.

  1. Strategie antistress.

Se ti sei già trovato a vivere situazioni di intenso carico emotivo e psicologico avrai probabilmente messo in atto alcune strategie di coping, ossia di fronteggiamento dello stress. Ebbene se quelle strategie hanno funzionato, mettile ancora in pratica. Inoltre ti suggerisco un esercizio di respirazione semplice ma efficace per abbassare il livello d’ansia e di stress e ritrovare un po’ di serenità.

Qui di seguito trovi il link all’articolo con le indicazioni per eseguire l’esercizio:

  1. Potenziamo la nostra auto-efficacia.

Come abbiamo detto in precedenza, ciò che ti trovi a vivere, può farti sviluppare un forte senso di impotenza. Per gestire questo stato d’animo così spiacevole, possiamo cercare di fare un bilancio il più realistico possibile di ciò che siamo in grado di fare e di controllare e di ciò che si è fatto. In questo bilancio si deve attribuire la giusta importanza e il giusto merito ai risultati positivi anche se piccoli. Quando qualcosa, invece, non è andata come avremmo voluto, riconosciamo obiettivamente quale peso hanno avuto le nostre azioni e quale i limiti imposti dalle circostanze.

  1. Mantenere la propria rete personale, amicale e parentale.

Questa situazione, con la paura del contagio, con il carico di lavoro che porta meno dialogo fra colleghi, con la lontananza dalle proprie famiglie e dagli amici e, a volte, con la discriminazione può portare all’autoisolamento. Per evitare tutto questo cerchiamo di sfruttare tutto ciò che ci mette a disposizione la tecnologia per rimanere in contatto e coltivare i nostri rapporti personali. Infine cercate il confronto con i colleghi per avere supporto e vicinanza emotiva.

  1.  Tre cose belle

Ed infine mi sento di dare un consiglio che sto dando a tutti i miei pazienti. Concludiamo la nostra giornata pensando a tre cose belle che sono accadute. Da quelle piccole a quelle grandi. Questo orienterà il nostro sguardo e i nostri pensieri e ci aiuterà a cogliere il bello che c’è e che in questo momento non riusciamo a vedere.

Autore: Dott.ssa Claudia Vincis, Psicologa e Psicoterapeuta –

Autrice del blog www.beneficamente.it

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Photo Credits: Photo by National Cancer Institute on Unsplash

Claudia Vincis

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