La notte tra venerdì e sabato scorsi, all’interno dell’ospedale Moscati di Taranto, tre infermiere sono state aggredite brutalmente da un paziente ricoverato nel reparto di Otorinolaringoiatria. Calci, pugni, insulti e botte… Che per il personale sanitario italiano, sempre più stanco e provato, non accennano a diminuire.
La testimonianza di una delle colleghe del Moscati, a dir poco traumatizzata dall’accaduto, fa riflettere e rabbrividire: (VEDI Quotidiano di Puglia): «Ho paura di tornare a lavorare e anche di denunciare. Picchiava come una furia, la mia collega è stata letteralmente presa e sbattuta da una parte all’altra come se fosse una bambola».
Il suo racconto parte dall’inizio di quel turno maledetto: «Appena arrivate ci siamo un po’ intrattenute con i colleghi che avevano fatto il turno pomeridiano. Erano preoccupati – racconta la professionista – perché quel paziente si era allontanato dall’ospedale e non riuscivano più a trovarlo. È rientrato verso le 21.10, completamente nudo, aveva addosso solo il camice operatorio».
E ancora: «Lo abbiamo accolto – ricorda l’infermiera – gli abbiamo sostituito il camice e somministrato la terapia. Gli abbiamo anche dato dei tranquillanti inseriti nel piano terapeutico e la moglie che lo assiste in reparto, gli ha preparato una camomilla. Sembrava essersi calmato».
Poi, però, alle due di notte, la catastrofe: «Non riuscivo a credere ai miei occhi. Stava prendendo a pugni e calci la moglie. Oltre a soccorrere la donna, avevamo paura che potesse staccarsi i tubi della tracheotomia e l’ossigeno, quindi una collega ha provato a fermarlo. Da lì sono partiti calci e pugni a più non posso, siamo state letteralmente pestate. Non mi era mai capitata una cosa del genere. Abbiamo chiesto aiuto al reparto psichiatrico, la dottoressa lo ha sedato e in 7 non riuscivamo a mettergli le fasce di contenimento. I tranquillanti non facevano effetto».
E ora la professionista è terrorizzata all’idea di tornare al lavoro: «Non so se denuncerò perché non so chi sia quest’uomo e temo ripercussioni. Ho anche paura di tornare a lavorare, sono psicologicamente distrutta. Noi siamo completamente abbandonate. Siamo immediatamente rimproverate se commettiamo un errore, poi quando c’è da darci aiuto tutti si voltano dall’altra parte.
A volte in tre dobbiamo assistere 15 pazienti, perché chi entra in sala operatoria capita che venga sottoposto a tracheotomia e sia poi ricoverato qui. A volte siamo anche solo in due e la situazione è ingestibile. Capitano i pazienti scontrosi che al massimo ti rispondono male, ma una furia come quella notte non l’avevo mai vista. Ho avuto paura di morire. Picchiava come una bestia, con forza e rabbia».
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