Infermiera molestata nel bresciano, primario condannato. Ma solo una donna su 10 denuncia gli abusi in corsia

Un primario dell’ospedale di Chiari, in provincia di Brescia, è stato condannato a un anno e mezzo di reclusione con pena sospesa, per gli abusi sessuali denunciati da un’infermiera, avvenuti nel 2020. Secondo l’accusa, il medico avrebbe molestato la donna e tentato di baciarla contro la sua volontà. L’infermiera, che poi è stata trasferita in un altro presidio della ASST, aveva raccontato di telefonate e messaggi indesiderati, inviti a cena costantemente respinti, apprezzamenti inopportuni e, in alcune occasioni, palpeggiamenti, tra il 2019 e il 2020.


In aula, il primario ha fornito la sua versione dei fatti, negando le accuse. Dopo un inizio sereno, ha spiegato di aver avvertito un clima di crescente tensione con l’infermiera, che a suo parere avrebbe alimentato conflitti tra i medici del reparto, cercando di favorire la sua permanenza in sala operatoria e alterando le liste degli interventi. “Mi ero fatto l’idea che lei volesse liste con meno pazienti per ridurre il carico di lavoro, ma per me è prassi spingere; i pazienti sono tanti. Credo mi abbia denunciato per vendetta dopo il trasferimento, ha dichiarato il medico (VEDI Il Giorno).


Secondo un recente report di Women in Surgery Italia, che ha coinvolto 3.242 partecipanti, le lavoratrici della sanità a subire molestie sessuali sul lavoro sono moltissime (addirittura il 57% delle chirurghe e il 65% delle specializzande). E sebbene la denuncia dovrebbe essere la soluzione migliore, chi decide di farla spesso si ritrova senza alcuna protezione o difesa. Sono infatti pochissime le donne che hanno trovato il coraggio di rivolgersi alle autorità: solo una su dieci.


E moltissime quelle che, tra loro, hanno dichiarato di «non essere state credute», di essere state accusate di «aver esagerato», o di aver «ricevuto ripercussioni». Innumerevoli le testimonianze raccolte nel dossier. C’è chi confessa di aver rischiato «uno stupro di gruppo dai colleghi» e chi riferisce di «molestie anche nei confronti delle pazienti». Senza dimenticare gli epiteti sessisti con cui vengono quotidianamente apostrofate le lavoratrici di ogni grado – sia dai colleghi che dai pazienti – o le subdole clausole contrattuali e non che spesso impediscono alle lavoratrici di intraprendere una gravidanza.

burnout infermieristico

Alessio Biondino

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento