Ho lavorato come infermiere in un ospedale da campo Covid e vi racconto cosa ho vissuto.
Ho accettato di andare volontario. Non che mi fossi proposto prima che qualcuno me lo chiedesse ma, e solo per senso del dovere che, ho accettato di affrontare anche questa sfida. Del perché dopo aver vissuto una difficile prima ondata in un reparto Covid io mi sia nuovamente offerto volontario è un mistero anche per me. Sarà che a fare l’infermiere non devi essere tanto apposto con la testa, ma tant’é…
Insieme ad altri infermieri, compagni di avventura, iniziammo sin da subito il breve circo degli incontri, il carattere di urgenza era percettibile dall’accavallarsi di queste: una riunione per parlare del nostro destino, una per aggregarci, una per formarci velocemente e iniziare.
In questi incontri ho conosciuto quasi tutti i colleghi con cui avrei lavorato. Dopo una rapida consultazione con il mio futuro e giovane coordinatore infermieristico ho deciso di seguire il suo consiglio (e per questo ti ringrazio Marco!) e prendere posto presso il Presidio Medico Avanzato alla Fiera di Bergamo che è il modo affascinante di dire “ospedale da campo“, certo all’avanguardia e all’interno di una struttura gigantesca nata per accogliere centinaia di persone, ma pur sempre un ospedale da campo.
Dal “Si, vado!” al ritrovarmi in un reparto di terapia intensiva Covid, pronto per accogliere pazienti intubati e affetti da Coronavirus è stato un attimo. Davvero.
Cos’è l’ospedale da campo “Presidio Medico Avanzato Fiera di Bergamo”?
Il P.M.A. Fiera Bergamo è un allestimento innovativo all’interno di un polo fieristico di grandi dimensioni e finalizzato al ricovero e all’assistenza dei pazienti Covid-19.
Questo progetto è stato premiato anche dalla Joint Commission Italia per la sua replicabilità e per i risultati ottenuti. Devo ammettere che, al contrario di quello che mi aspettassi, il presidio non ha mai avuto l’aspetto di un allestimento fatto all’ultimo minuto. Difatti, per quanto possibile, siamo sempre stati accerchiati da tutti i dispositivi, i servizi e gli strumenti essenziali e necessari per svolgere al meglio il nostro lavoro.
Conosciuto il nostro futuro luogo di lavoro, ci assegnarono una camera d’hotel liberamente usufruibile ogni volta che fosse necessario ( ad esempio prima di rientrare a casa dopo un turno particolarmente impegnativo la notte), pasti in abbondanza, e fummo pronti per iniziare.
Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore
15.00 € 12.00 €
Tutto è più facile con i colleghi giusti!
La sfida mia e di molti colleghi che, come me, non provenivano direttamente da reparti di rianimazione e terapia intensiva propriamente detto, è stata quella di adeguarsi in maniera rapida ai bisogni dei pazienti sedati e intubati che dovevamo assistere nei giorni successivi.
Ammetto che nel confrontarmi con infermieri di terapia intensiva rodati io mi sia sentito molto piccolo e inesperto. Ma qui ho imparato che, nonostante non sia proprio un infermiere di primo pelo, non bastano cento corsi di aggiornamento ad equiparare un singolo consiglio di un collega esperto: al momento giusto il valore dei colleghi esperti si mostra a noi, attraverso il consiglio preciso che, ti guida verso competenze specifiche. Competenze che non potevo mai aspettarmi di raggiungere così in fretta.
Quello che sembra insormontabile diventa fattibile, poi semplice e infine anche abbastanza ovvio. È probabile che in una situazione di emergenza in cui sei in balia degli eventi sia l’allievo che il maestro sono perfettamente allineati verso lo stesso obiettivo: rendere indipendente chi impara e libero chi insegna.
È solo grazie ai colleghi esperti in terapia intensiva che, tutti noi infermieri racattati dalle sale operatorie o dai reparti di cardiologia e UTIC, siamo riusciti, in pochi giorni a formare un gruppo coeso ed entusiasta. Tra le mille difficoltà di lavorare in una specialità che non conosci, con colleghi che hai incontrato pochi giorni fa, diventa quindi irrilevante il fatto che quel luogo a te completamente sconosciuto fino a qualche mese fa era adibito a mostra commerciale.
E non so come, alla fine, dopo qualche giorno di rodaggio le cose hanno iniziato a funzionare. Tutto sommato meglio di quello che mi aspettavo.
Anche con i medici si è creato velocemente un rapporto di complicità e collaborazione. Loro, tutti rianimatori esperti, ci mettevano veramente le mani. Ne ho sbirciato più di uno, e più volte, sbrigarsi di tutto e in autonomia: forse perché rispettavano le nostre difficoltà o forse perché trottolavamo da una parte all’altro per tutto il turno e pensavano che comunque non avrebbero ricevuto chissà quale supporto da noi, povere anime in pena, che saltavamo da un paziente all’altro.
Il resto del capitolo lo conosciamo tutti a memoria: ventilatori, maschere, visiere, intubazione, emergenze, emogasanalisi, sedazione. Qualcuno guarisce, qualcuno no. Per il rispetto dei pazienti e dei miei colleghi non voglio approfondire più di così questa parte del racconto, anche perché penso che sia la parte meno interessante. Credo sia più giusto raccontarvi quello che potreste vivere emotivamente, se capitasse anche a voi di fare l’infermiere in un ospedale da campo.
Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore
15.00 € 12.00 €
Lavorare come infermiere in un ospedale da campo
Ho concluso questa meravigliosa (ma anche terrificante) esperienza dopo un mese appena ma rimarrà per sempre con me tutto l’aiuto e le risate dei colleghi infermieri, coordinatori, medici e oss. Devo a tutti loro un bellissimo ricordo e una nuova consapevolezza positiva: avere paura di fare qualcosa è la più forte motivazione per buttarcisi a capofitto. Prima di poter dire “non posso farlo!” e bene scoprirlo sulla propria pelle.
Perché forse da solo, no, non c’è l’avrei mai fatta. Ma tutti insieme, si. Insieme a tutti i colleghi si possono fare cose importanti. E questo, per me, lo è stato davvero.
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