Analisi CEASE-IT sulle aggressioni agli infermieri e ricadute sul Sistema Sanitario Nazionale
Nel 67% dei casi non segnalati, le motivazioni della mancata denuncia sono da ricondurre al fatto che l’infermiere ritiene che le cause siano nelle condizioni psicofisiche dell’assistito o dell’accompagnatore. Negli altri casi, la mancata fiducia verso gli organi superiori o per un mal posta rassegnazione verso questi episodi di violenza, giustificano l’assenza di segnalazioni.
Le conseguenze fisiche vanno da lievi escoriazione, per passare a fratture o lesioni, fino a qualche caso di invalidità nel 32% dei casi. Poco più del 10% di chi ha ricevuto un aggressione è vittima di burnout.
Gli ambienti di lavoro in cui vi è sovraccarico di assistiti e le unità e i servizi di area critica presentano probabilità maggiori per l’infermiere di subire violenza. Solo l’area della salute mentale supera questo rischio, con oltre quattro volte la probabilità di subire violenza rispetto ad altri reparti.
Secondo l’analisi CEASE-IT, oltre ad una ricaduta sull’efficacia assistenziale, l’assenza dei professionisti vittime di violenza, nelle proiezioni più ottimistiche, ha un costo sul sistema sanitario di oltre 11 milioni di euro, 600 euro a infermiere, nel peggiore dei casi si raggiungono stime di oltre 34 milioni di euro all’anno di costi totali a carico del SSN per la violenza sugli infermieri.
Dati presentati dalla presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli e Annamaria Bagnasco, ordinario di Scienze infermieristiche all’Università di Genova e coordinatrice della ricerca presso il seminario “#rispettachitiaiuta – La sicurezza degli operatori sanitari”, organizzato al Senato su iniziativa del senatore Gaspare Marinello e ove si sono succeduti numerosi onorevoli e senatori e i rappresentanti di tutte le professioni sanitarie.
“Lo studio ha dimostrato che gli infermieri conoscono i tratti e le caratteristiche di un potenziale comportamento di aggressione fisica o verbale; tuttavia, per varie ragioni non riescono a intercettare e prevenire questi episodi”, sono le parole di Annamaria Bagnasco. “Una delle concause dimostrate dallo studio – continua – è la comunicazione inadeguata che avviene tra il personale e l’assistito e/o l’accompagnatore; tuttavia, i processi comunicativi sono ampiamente influenzati dall’ambiente di lavoro, dallo staffing (carenza) e dal benessere dei professionisti”.
Fattori predittivi che riducono il rischio di aggressione
L’analisi ha individuato alcuni fattori che possono ridurre il rischio di aggressione: l’età del professionista, il riconoscimento dell’uso di sostanze da parte dell’assistito e procedure chiare per la gestione degli episodi di violenza sul luogo di lavoro riducono la probabilità di subire violenza.
È Barbara Mangiacavalli a chiarire le ripercussioni che questi dati dimostrano nel contesto sanitario e infermieristico: “Per restituire dignità all’attività professionale e garantire la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo è quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i “lavori gravosi. Lo studio – aggiunge – descrive le caratteristiche degli episodi di violenza e individua i fattori predittivi e le cause. I correttivi di cui c’è bisogno derivano da qui”.
La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari
I principali fattori di rischio si rinvengono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza, che risultano in grado di sviluppare danni fisici, ma anche disturbi psichici, negli operatori che subiscono violenza.
Il provvedimento legislativo, nel recare un sorta di diritto penale a presidio della
medicina, interviene con una severa risposta sanzionatoria, ma il problema va risolto
anche affrontando e rimuovendo le radici profonde della violenza … di un paziente che
arriva a colpire il proprio medico.
La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari
Oggi i giornali, le tv, il web e tutti i media li chiamano “i nuovi eroi”.Eppure, da tempo è nota a livello mondiale una nuova emergenza sociale: la violenza contro di loro, la violenza nei confronti degli operatori sanitari.Ogni giorno, sono dati forniti dall’Inail, in Italia si verificano infatti ben 3 episodi di violenza contro gli operatori sanitari, comprensivi di intimidazioni e molestie.I principali fattori di rischio si rinvengono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari, e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza.Varata in piena pandemia da Covid-19, la legge 14 agosto 2020, n. 113, “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, tenta di rispondere all’esigenza di sicurezza avvertita dal personale medico-sanitario, e contiene varie misure sia a livello sanzionatorio sia a livello educativo e preventivo.Viene inoltre introdotta un’ipotesi speciale del delitto di lesioni personali, una nuova circostanza aggravante comune, in presenza della quale i reati di lesioni e percosse diventano procedibili d’ufficio, e una sanzione amministrativa.Per rispondere, nell’immediatezza, alle esigenze innanzitutto di praticità degli operatori, il volume presenta un primo commentario e una dettagliata e accurata analisi della legge n. 113/2020, e tenta altresì di prefigurare le ricadute derivanti dall’impatto delle nuove disposizioni nel tessuto normativo del sistema.Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, Patrocinante in Cassazione. LLB presso University College of London, è Docente di Diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della Facoltà di Giurisprudenza, Coordinatore e Docente di master universitari e corsi di formazione. Giornalista pubblicista, è autore di pubblicazioni e monografie in materia di Diritto penale e amministrativo sanzionatorio.
Fabio Piccioni | 2021 Maggioli Editore
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