Infermieri aggrediti, è un bollettino di guerra: “Va ricostruito il rapporto tra cittadini e sanità”


Negli ultimi anni, le aggressioni nei confronti del personale sanitario (soprattutto infermieri) sono diventate un problema sempre più allarmante, con episodi che si verificano quasi quotidianamente. Non si tratta di un’esagerazione mediatica: i dati evidenziano una realtà inquietante. Nel solo 2024, tra strutture sanitarie pubbliche e private, sono state denunciate oltre 25.000 aggressioni, senza contare i numerosi episodi che restano nell’ombra.

Uno degli eventi più significativi di recente, che ha contribuito a modificare la percezione pubblica del fenomeno, è avvenuto lo scorso settembre al Policlinico Riuniti di Foggia. Un reparto di Chirurgia toracica è stato preso d’assalto da decine di persone, amici e familiari di una giovane paziente deceduta durante un intervento chirurgico. I medici, per proteggersi, si sono barricati in una stanza, utilizzando mobili e il proprio corpo per impedire l’accesso ai parenti in preda alla rabbia. La scena, ripresa in un video divenuto virale, ha suscitato indignazione e ha spinto sindacati, associazioni di categoria e politici a chiedere interventi più incisivi. Poco dopo, il governo ha varato il cosiddetto decreto “anti-violenze”, trasformato in legge lo scorso novembre su iniziativa del ministro della Salute, Orazio Schillaci.


Questa normativa prevede pene più severe per chi aggredisce operatori sanitari, introducendo anche il reato di danneggiamento delle strutture sanitarie. In particolare, è stato istituito il reato specifico di lesioni personali contro il personale sanitario e socio-sanitario, con arresto obbligatorio in flagranza e, in determinate condizioni, l’arresto in flagranza differita.

A fare il punto sulla situazione è il professor Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana delle Aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari, in programma per domani,12 marzo. Migliore sottolinea come Fiaso abbia da tempo sollecitato un inasprimento delle pene e l’adozione di protocolli di sicurezza con le forze dell’ordine, richieste ora accolte dal governo e dal parlamento. Secondo Migliore, le nuove norme rappresentano un chiaro segnale di tolleranza zero verso la violenza, anche se servirà tempo per valutarne l’efficacia. Attualmente, i dati indicano un incremento del 5,5% degli episodi di aggressione, con una media di 116 casi per ogni azienda sanitaria all’anno.


Un dato particolarmente significativo riguarda le vittime: il 70% degli aggrediti sono donne, un riflesso della crescente presenza femminile nella sanità (oltre il 65% degli operatori è donna), ma anche della natura di alcune aggressioni, spesso riconducibili a violenza di genere. Secondo Migliore, chi aggredisce il personale sanitario tende a colpire chi percepisce come più vulnerabile, sfogando frustrazioni e rabbia su chi si trova in prima linea a gestire situazioni critiche.

Tuttavia, l’approccio al problema non può essere esclusivamente punitivo. “La sicurezza del personale sanitario passa anche da ambienti di lavoro più protetti, da una formazione mirata e da un monitoraggio costante del fenomeno”, sottolinea Migliore. Un’importante innovazione introdotta dalla nuova normativa è l’arresto in flagranza differita, misura che Fiaso aveva richiesto da tempo. Nel frattempo, molte aziende sanitarie si stanno adoperando per rendere più sicure le aree d’emergenza, controllare gli accessi agli ospedali e potenziare i sistemi di videosorveglianza.


Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha dato un contributo significativo a questi interventi: attualmente, sette pronto soccorso su dieci sono dotati di sistemi di videosorveglianza e personale di vigilanza, e oltre la metà dispone di presidi fissi di polizia. Un sondaggio Demopolis, condotto tra i lettori delle testate Citynews, mostra che l’83% degli intervistati sarebbe favorevole a una presenza costante delle forze dell’ordine nei pronto soccorso.

Nonostante questi passi avanti, il problema non si limita agli ospedali. Circa il 50% delle aggressioni avviene al di fuori delle strutture sanitarie, nei piccoli centri e sul territorio. È necessaria una revisione del sistema della continuità assistenziale, afferma Migliore, evidenziando che le attuali guardie mediche, con diecimila medici e numerosi operatori sanitari, rappresentano un presidio ormai obsoleto e non adeguatamente sicuro.


Le cause del fenomeno sono molteplici. Secondo il sondaggio Demopolis, il 68% degli intervistati indica il sovraffollamento e i lunghi tempi di attesa nei pronto soccorso come il principale fattore scatenante delle tensioni. Seguono il senso di ansia e frustrazione dei pazienti e dei loro accompagnatori (56%), la difficoltà di ottenere informazioni e strutture di accoglienza inadeguate. La percezione che le cure siano insufficienti, invece, è minoritaria.

Sul fronte delle soluzioni, Migliore insiste sulla necessità di ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e sistema sanitario. “Una comunicazione chiara e trasparente è essenziale: i cittadini devono sapere cosa aspettarsi in termini di cure e tempi di attesa”, afferma. Secondo il sondaggio Demopolis, il 60% degli intervistati ritiene che un miglioramento della comunicazione tra il personale sanitario e l’utenza potrebbe ridurre le tensioni, mentre il 78% auspica un incremento del personale per alleviare il problema del sovraffollamento.


Infine, è cruciale cambiare la narrazione sulla sanità pubblica. “Oggi il Servizio sanitario nazionale è spesso descritto solo attraverso le sue criticità, spesso enfatizzate dalla polemica politica e dai media”, osserva Migliore. Tuttavia, la sanità pubblica italiana è sinonimo di eccellenza, innovazione e professionalità. Ogni giorno garantisce cure di alto livello a tutti i cittadini, offrendo interventi complessi e trattamenti innovativi, spesso gratuiti per i pazienti affetti da patologie croniche e rare. “Se la vita media degli italiani si è allungata, è anche grazie al nostro Servizio sanitario nazionale. Focalizzarsi solo su ciò che non funziona significa ignorare questa realtà e ostacolare una visione costruttiva per il futuro”, conclude Migliore. Il messaggio del 12 marzo è chiaro: non basta denunciare le aggressioni, è necessario costruire un sistema più sicuro e promuovere una narrazione equilibrata della sanità pubblica (VEDI Today).

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Alessio Biondino

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